Un contributo sulla recente operazione antiterrorismo effettuata a Venezia, sul terrore che ne è conseguito e sull’idiozia che ne ha fatto da contorno. Per non perdere di vista il cuore del problema
Il 30 marzo scorso reparti speciali di polizia e carabinieri fanno irruzione in una decina di appartamenti del centro cittadino, arrestando quattro persone di nazionalità kosovara con l’accusa di terrorismo internazionale. Altri tre indagati, con posizioni più marginali, in attesa di essere espulsi dal paese, vengono rinchiusi nel Cie di Torino.
Dopo non poche figuracce, rimediate ai danni di anarchici e presunti “islamisti” con perquisizioni e indagini cadute regolarmente nel vuoto, il pool antiterrorismo della procura veneziana salva la faccia con un’operazione da film in grande stile. Lo fa senza nemmeno aver bisogno di armi o esplosivi con cui scattarsi qualche foto ricordo, dal momento che l’inchiesta in questione si basa esclusivamente su intercettazioni ambientali, pedinamenti e analisi dei profili social degli arrestati. Su idee quindi che, per quanto raccapriccianti, restano tali per ammissione stessa degli inquirenti.
La nostra totale avversità al loro contenuto non può però, in nessun caso, farci trovare zitti di fronte alle mosse e alle narrazioni della controparte.
Un modo di procedere già sperimentato in altre occasioni e che, sotto lo spauracchio della jihad globale, diventa prassi nel silenzio generale. Abbiamo già visto a cosa hanno portato leggi come il Patriot Act di Bush all’indomani dell’11 settembre o, più recentemente, la promulgazione dell’Etat d’Urgence in Francia: schedature di massa, chiusura e controlli alle frontiere, più poteri a sbirri e magistratura. Provvedimenti che, lungi dal proteggere dagli attentati, hanno sempre come bersaglio l’intera popolazione.
Con buona pace di Voltaire e dei “valori di libertà” occidentali, gli stessi che si vorrebbero contrapporre alla “barbarie” islamica, il discorso pubblico seguito agli arresti dei sospetti terroristi ha già dato il peggio di sè. C’è chi implora di avere ancora più polizia e militari nelle strade, ma anche chi auspica la schedatura indiscriminata di tutti gli stranieri presenti sul territorio italiano. Giacchè quella attualmente in vigore, che permette di rinchiudere in veri e propri lager chi non ha i documenti in regola, sembra non più essere sufficiente. Non manca chi, senza timore di apparire ridicolo, propone di non parlare più di queste cose, ché il turismo ne potrebbe risentire. Trovano spazio sui giornali persino le dichiarazioni dell’ex datore di lavoro di due arrestati, condannato a risarcirli per comprovate irregolarità nell’assunzione, che chiede la revisione del provvedimento da parte del Tribunale alla luce degli ultimi sospetti.
L’unico vero terrore provato fino ad adesso è quello verso quest’idiozia collettiva, l’appiattimento totale di ogni intelligenza verso il culto della sicurezza. Culto che è sempre amore per l’autorità e il potere che la rappresenta. Se sono bastate delle parole a risvegliare tutta questa voglia di sbarre e manette, la prospettiva di un reale attentato spaventa oggi più dei morti che potrebbe fare.
Del resto la merda dell’ideologia dell’ IS, che non è altro che ideologia di (un altro) Stato, è pensare di potersi affermare ammazzando indiscriminatamente tra la popolazione. Esattamente ciò che i governi occidentali, con mercenari meglio addestrati e più prezzolati, fanno nel resto del mondo da diversi secoli in nome della democrazia e della libertà. Anche il governo italiano, con la sue politiche internazionali e i suoi colossi nel campo della vendita di armi e tecnologie di guerra come Leonardo-Finmeccanica, non fa eccezione, avendo sempre le mani più sporche di sangue di qualsiasi fascio-fanatico religioso. Finchè tutto questo continuerà a non trovare nessun tipo di opposizione, a trovarci apatici e indifferenti, lo scoppio di una bomba sul ponte di Rialto potrà inorridirci, ma non certo sorprenderci.
Fermare il terrorismo vuol dire fermare la guerra e le sue cause, prima che questa torni indietro a un passo dalle nostre vite sicure. Sabotarla con ogni mezzo prima che altri oppressi perdano la vita, ad Aleppo, a Parigi o nel cuore di Venezia. Un compito che non spetta a sbirri e militari nè a politici di sorta, ma solo a chi sceglie di disertare il fronte interno di quest’ordine assassino.
Antimilitariste e antimilitaristi