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Succede a Vicenza

Quello trascritto qui sotto è un testo scritto da alcuni amici della persona coinvolta. Oltre che per dargli la massima diffusione lo riportiamo perchè, purtroppo, ben si inserisce nel fosco quadro di politiche securitarie della città berica, di cui abbiamo già avuto modo di parlare prima, dopo e durante le iniziative contro il carcere di fine gennaio.


Succede a Vicenza
Tra lotta agli “abusivi”, caccia al migrante e nottate folli nelle mani dei questurini

Quello che si sta per raccontare è un gesto di denuncia, un atto di solidarietà spiccia a partire da un fatto recentemente accaduto in città. Protagonisti di questa disgustosa narrazione sono alcuni ragazzi di provincia che, al termine di una bella serata passata a festeggiare tra amici, hanno avuto la sfiga di incontrare per puro caso… la polizia.
E’ stata sufficiente una banalissima lamentela in stazione, i toni un po’ accesi perché ti girano i coglioni se vedi l’autobus ignorarti, anche se l’autista ha visto benissimo che hai il biglietto e stai aspettando che si fermi per salire e tornartene finalmente a casa.
E’ bastato così poco per giustificare l’intervento delle forze dell’ordine: intervento insolitamente rapido e, ovviamente, “Muscolare”. Infatti, prima che i protagonisti di questa brutta vicenda avessero il tempo di chiarire agli agenti la situazione, questi ultimi si sono premurati di neutralizzare il più “agitato” del gruppo con l’abbondante utilizzo di spray urticante (è il secondo caso nel vicentino, in cui viene utilizzato questo strumento di “contenzione”).
Ma questa storia non finisce qui! Il giovane intossicato, viene ammanettato e condotto in questura per la stesura del verbale, il foto-segnalamento e la rilevazione delle impronte digitali.
È risaputo e comprovato il fatto che nei meandri oscuri di caserme o prigioni vengono compiute indicibili nefandezze che spesso rimangono ignote, incapaci di penetrare oltre quelle mura di omertà, corroborate dall’indifferenza di una stampa prezzolata che dà ascolto soltanto alle veline dei servi in divisa.
Ma andiamo con ordine: dopo aver prelevato il ragazzo in questione ed averne appurato i precedenti penali, il personale della questura ha ben pensato di dargli una sana lezione di galateo a suon di pugni; non si permettesse più di urlare a quel modo contro gli impiegati della stazione, dopo essere stato provocato e sbeffeggiato da autisti e controllori. Ne seguono due notti in stato d’arresto, rinchiuso in camera di sicurezza con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni private. A ciò si aggiungano le energiche misure cautelari che condannano il colpevole a visitare l’infame luogo in cui è stato picchiato e svilito, almeno tre volte a settimana.
Non stupisce che fattacci del genere si siano verificati in una città medio-piccola del ricco nord est in declino; vetrina costruita ad arte per soddisfare gli interessi di industriali, imprenditori, banchieri e yankee guerrafondai e sostenuta mediante il pressante esercizio di provvedimenti securitari e repressivi.
Non stupisce che episodi simili si riproducano in un contesto all’interno del quale maturano leggi come il daspo urbano e dove il malcontento generale viene canalizzato verso i più poveri ed emarginati dalla propaganda dei vari imprenditori morali, sempre pronti ad invocare maggiore sicurezza a protezione di capitale e proprietà. Un contesto, questo, in cui trovano giustificazione le varie retate condotte in Campo Marzio contro gli immigrati, gli irregolari, i senzatetto e chi non rientra nei canoni perbenisti nei quali si identifica il ceto medio piccolo borghese.

Quello che è accaduto al nostro malcapitato amico poteva accadere a ciascuno di noi. Finire nelle grinfie della polizia, al momento sbagliato!
Poche righe non bastano per descrivere in modo esauriente questa storiaccia i cui risvolti si protrarranno nel tempo. Ciò che preme è, in primis, non far passare sotto silenzio la prassi quotidiana che accomuna indistintamente i tutori dell’ordine, fatta di pestaggi, soprusi, violenze e umiliazioni d’ogni sorta.
Affinché il dissenso non si limiti più a essere mera denuncia.

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marzo 2017


Due sabati

Lo scritto che segue è un breve resoconto delle due iniziative messe in campo a Vicenza sabato 28 gennaio e il successivo 4 febbraio. Appuntamenti che hanno dato buoni spunti come sollevato criticità importanti, da cui sarà necessario partire per continuare ad organizzarsi attorno a ciò che succede dentro e fuori il carcere di San Pio X.

Il 28 gennaio ci si è ritrovati a Campo Marzio, ampio parco prospiciente alla stazione dei treni, al contempo punto di grande passaggio e luogo di forte presenza poliziesca. In questa zona, recentemente, sono stati intensificati controlli e retate ai danni dei tanti “irregolari” che la popolano. Negli ultimi due mesi, sono stati almeno 4 i rastrellamenti compiuti dagli uomini dell’appena insediato questore Petronzi, personaggio fin troppo noto per essere stato uno dei principali persecutori del movimento No Tav e dei compagni torinesi. 
Per tutti questi motivi venire qui a parlare di ciò che succede al San Pio X ha avuto molto più senso che altrove: chiameremo carcere non solo le mura che ne ospitano l’istituzione, ma anche tutte quelle maglie di repressione e sfruttamento che portano le celle a riempirsi.
Tramite volantini e microfono si sono ricordate le più recenti problematiche del penitenziario berico: i tre tentati suicidi in due giorni di metà novembre, il suicidio riuscito di Carlo Helt avvenuto appena dieci giorni prima, l’ormai confermata esistenza di una squadretta punitiva di secondini (denominata il “Nucleo”), che si avvale della collaborazione di alcuni infami per “regolare i conti” con i più intransigenti. Il tutto sotto l’egida e la protezione del comandante delle guardie Giuseppe Lo Zito, sindacalista CGIL, già indagato nel 2014 per maltrattamenti e pestaggi ai danni di alcuni detenuti dello stesso carcere. Fatti per i quali oggi 4 agenti della penitenziaria saranno processati con l’accusa di “abuso d’autorità”.
Sabato 4, sotto una pioggia battente, un imponente dispositivo poliziesco ha di fatto impedito l’avvicinamento di qualsiasi solidale al perimetro del carcere. Unico spazio “concesso” per montare l’impianto del presidio una piazzola-parcheggio distante diverse centinaia di metri dalle mura della struttura, troppo distante per pensare di farsi udire in qualche modo dai reclusi. Un’imposizione provocatoria che si è deciso di evitare, preferendo sbucare “a sorpresa” in centro città per guastare la quiete del sabato pomeriggio nella pettinata Vicenza con megafonate, volantinaggi e striscioni in solidarietà ai prigionieri del San Pio X
Una scelta, quella della questura, che esprime chiara la volontà di impedire con ogni mezzo qualsiasi contatto con la popolazione detenuta. Una scelta che si può interpretare con il fatto che, molto probabilmente, al San Pio X vi sono dei grossi punti oscuri non ancora noti, oltre ai problemi già sopracitati.In ultima analisi una presa di posizione netta contro la quale, nei prossimi tempi, sarà necessario attrezzarsi adeguatamente. Consapevoli che l’unica arma che impensierisce chi vorrebbe tenere il carcere di Vicenza sotto una coltre di silenzio è la solidarietà diretta e senza mediazioni.

Cie a Campalto?A volte ritornano

Quattro giorni fa una rivolta ha scosso il centro di prima accoglienza di Cona, in seguito alla morte per cause naturali di una ragazza e al ritardo nell’arrivo di medici e ambulanza per soccorrerla. Molto si è detto e scritto in questi giorni su ciò che è accaduto nella ex base militare, che “ospita” al momento più di 1500 persone. In mancanza di ulteriori fonti dirette e aggiornamenti sulla situazione rimandiamo al bell’articolo apparso sul blog Hurriya ieri, di cui qui trovate il link.

Sull’escalation di vessazioni che ha portato all’esplosione del 2 gennaio rimandiamo ad un altro articolo del medesimo blog (qui), dove vengono anche sollevate le responsabilità della cooperativa Ecofficina, nota anche come Edeco, vincitrice del bando per la gestione del centro. Responsabilità che appaiono tutt’altro che secondarie, data la fama che la cooperativa di Battaglia Terme si è guadagnata negli ultimi anni nei centri di accoglienza di Bagnoli di Sopra, Montagnana, Due Carrare e Oderzo.

Notizia odierna, tutta da confermare ma con buoni margini di attendibilità, è invece l’ apertura, nel prossimo futuro, un Cie nella zona di Campalto, conformemente alla volontà del governo di istituire un centro di identificazione e di espulsione in ogni regione.

Un progetto non nuovo, di cui si è molto parlato tra il 2010 e il 2011, che inizialmente doveva prevedere anche la costruzione di un nuovo carcere, attiguo al centro per migranti. All’epoca furono in molti a mobilitarsi, dalla Lega alla sinistra radicale, con presupposti in aperta contraddizione . Il progetto, che doveva rientrare nel piano carceri nazionale del 2009, finì con un nulla di fatto dovuto essenzialmente alla mancanza di fondi, già destinati alla costruzione della nuova ala del San Pio X e del nuovo carcere di Rovigo.

Singolare che l’ultima volta in cui pubblicamente si è riproposta la questione della costruzione di una struttura di reclusione in quell’area fu in seguito ad un’altra rivolta, quella dei detenuti di Santa Maria Maggiore nel 2015. Poco dopo i fatti il Movimento 5 Stelle dichiarò la necessità di disporre di un carcere più moderno ed efficiente, immaginandolo proprio sul vecchio progetto caldeggiato da Maroni.

Una volontà che sembra dunque persistere nel tempo, venendo rispolverata al manifestarsi di qualsiasi situazione di criticità e che ha tutta l’aria di essere “già pronta” nelle teste e nelle tasche di qualcuno.

Occhi e orecchie ben aperte, dunque.

 


La città e il suo rovescio/ incontro all’ex Ospizio Occupato

Martedì 29 novembre all’ex Ospizio Occupato, in Fondamenta delle Terese, si terrà l’incontro “La città e il suo rovescio”, una discussione con Jean Pierre Garnier a partire dalla presentazione dell’opuscolo “Architettura e anarchia, un binomio impossibile” (edito da Nautilus).

Garnier sarà presente, nei giorni prima, anche nelle seguenti città:

22 novembre Milano (Off Topic), 24 novembre Torino (Radio Blackout), 25 novembre Genova (Pellicceria Occupata), 28 novembre Trento ( Facoltà di Sociologia).

Sempre a Venezia, mercoledì 30 novembre, lo stesso autore sarà presente allo IUAV, dalle ore 9.30 in Aula B alle Terese, per un seminario dal titolo “Lo spazio indifendibile. La pianificazione urbana nell’epoca della sicurezza”.

Nei prossimi giorni saranno prodotti alcuni materiali scritti riguardo alle specifiche dell’incontro veneziano. Nel frattempo qui sotto trovate scaricabili le locandine e i flyer dell’evento, oltre a un paio di opuscoli dello stesso autore sulle tematiche di metropolizzazione, diritto alla città e architettura sociale.

Buona lettura.


lungo-ospizio

Opuscolo “Architettura sociale e logiche capitaliste”, con all’interno l’intervista “E’ ancora attuale il diritto alla città?”: scarica

Opuscolo “Metropolizzazione”: scarica

Flyer dell’incontro all’ex Ospizio: scarica

Locandina del tour: scarica

Locandina del seminario “Lo spazio indifendibile. La pianificazione urbana nell’epoca della sicurezza”: scarica

Articolo di Leonardo Lippolis “Spazio urbano e lotta di classe”: leggi


Perchè no (?)

Questo testo è stato scritto dal compagno sottoposto alla richiesta di Sorveglianza Speciale. Per continuare la mobilitazione ricordiamo il prossimo appuntamento del 20 settembre, giorno dell’udienza, dalle ore 10 a Santa Marta, Campo dei Sechi.


Lo scorso 9 giugno, pioveva ed era l’inizio di un gioioso giovedì, la polizia anticrimine di Venezia ha notificato a chi scrive la richiesta di Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza. Un nome da pessimo film-noir che designa la misura di prevenzione più gravosa prevista per chi, come nel mio caso, appartiene alla categoria di persone sospettate di “essere dedite alla commissione di reati che mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”. Minorenni e lsd negli acquedotti a parte, la richiesta in questione è costruita mettendo insieme una lunga serie di fatti riguardanti la mia persona dal 2008 in avanti, rilevanti o meno da un punto di vista penale, e delle considerazioni generali della Questura tese a dimostrare la mia “pericolosità sociale”, requisito fondamentale per l’applicazione di ogni misura preventiva. Un elenco di “indizi e sospetti” che, oltre a ricordarmi un certo numero di bei momenti altrimenti passati nel dimenticatoio, sono definiti “altamente sintomatici”, con piena appropriazione del linguaggio medico, di una patologia a cui la polizia si sta prodigando a trovare una cura.

Ora, che la mancata lealtà verso l’ordine costituito venga perseguitata anche tramite la costruzione di un immaginario di “devianza” non è più una novità dai tempi dell’Inquisizione ma, prerogativa squisitamente democratica spruzzata di stalinismo, la Sorveglianza fa un passo ulteriore: si propone di mettermi da parte per il mio bene, oltre che per preservare “la pacifica coesione sociale tra le parti”.

Nelle 16 pagine di morbosa e voyeuristica compilazione non è dato sapere quale tipo di coesione sociale tra le parti sarebbe da preservare, se quella tra sfruttati e sfruttatori o, ad esempio, quella tra i detenuti e i loro carcerieri o, per non andare troppo in là, quella tra i ricchi di questa città e chi è costretto ad andarsene.

Così la mia partecipazione ai cortei No Tav in Val di Susa, o a molti presidi sotto il carcere di Santa Maria Maggiore, sarebbero sintomi di pericolosità non di per sè stessi, ma in relazione all’ aver abbandonato gli studi o al non possedere un contratto di lavoro stabile. Conseguentemente, con peloso quanto insopportabile paternalismo, viene proposta una guarigione attraverso quella che è, a tutti gli effetti, una pena senza reato.

Il giudizio del Tribunale del Riesame, che si esprimerà sulla convalida della misura il prossimo 20 settembre in mancanza di dati giuridici oggettivi, non potrà quindi che avere un carattere essenzialmente psichiatrico: ad essere valutate saranno le intere condotte della mia vita, sulla base della suggestione proposta da chi, per mestiere, la spia dal buco di una serratura.

La Sorveglianza, una volta convalidata da un giudice, impedisce la frequentazione di assemblee e locali pubblici, quella delle bettole e delle osterie, obbliga il sorvegliato a stare a casa dall’alba al tramonto e, una specifica del mio e di altri casi, a non lasciare il proprio comune di residenza. Inoltre poichè la Sorveglianza vieta l’incontro con pregiudicati e destinatari di misure di prevenzione, ed essendo praticamente la totalità dei miei compagni affetti da fogli di via o avvisi orali, l’effetto (o lo scopo?) di questa misura sarebbe quello di isolarmi completamente dalle persone con cui ho scelto di vivere e lottare. Il tutto per due anni.

In mancanza di altri strumenti legali per mettermi fuori gioco, la Questura di Venezia cerca di farmi fare lo sbirro di me stesso, delegandomi il controllo delle mie abitudini e delle mie frequentazioni, sotto il costante ricatto di commettere una violazione punibile con la reclusione da 1 a 5 anni.

Un ricatto inaccettabile e un ruolo che non intendo ricoprire.

Per questi, e per molti altri motivi, voglio dire ai miei amici e ai miei compagni che, qualora il giudice dovesse confermare questa misura, non ho nessuna intenzione di sottostarvici. Portare fino in fondo questa scelta significa necessariamente assumersi le conseguenze che potrebbe comportare, non ultima la reclusione. Una prospettiva che non mi fa più paura di passare i prossimi due anni a stare attento a chi incontro per strada, lontano da tutte le cose che faccio, cercando di vivere come la polizia ha detto che dovrei. Del resto, come ci hanno dimostrato le lotte dei detenuti dell’ultimo anno, il carcere non è la fine di niente.

Nei tanti contesti di lotta che ho avuto la fortuna di attraversare ho sempre pensato che l’essenziale, ciò che rende uno slancio generoso realmente rivoluzionario, fosse quanto di noi da quei momenti non sarebbe più tornato indietro come prima. Quante ansie e barriere saremmo riusciti a lasciarci alle spalle, dischiudendo altre possibilità dove prima avremmo visto solo muri.

Più di qualcuno, prima di me, si è trovato per scelta o per necessità ad affrontare a viso aperto lo spinoso terreno della repressione cautelare e preventiva, avendo il coraggio di aprire nuove strade che restano ancora per molti versi inesplorate. Al di là dell’efficacia o meno di questo tipo di risposta, il merito è stato senz’altro quello di rivelare un nuovo campo in cui è possibile battersi, proprio lì dove sembrava più difficile (o nessuno aveva ancora pensato di andare).

Proseguire su questa strada non sarà, per forza di cose, un affare soltanto mio. Ritengo sia imprescindibile un confronto, fra compagni e non, su cosa significa continuare con ciò che si sta portando avanti nonostante le imposizioni poliziesche, e come far fronte ai rischi che comporta la loro violazione trasformandoli, per quanto possibile, in altrettante occasioni di rilancio.

Per ora, semplicemente, intendo proseguire questa discussione non temendo di incontrare i miei affetti, seduto al tavolo di qualche bettola e senza l’ansia di dove tornare a casa la sera.

Nicholas

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Tre giorni contro la Sorveglianza

Una proposta. Tre giorni di discussione e iniziative contro la richiesta di Sorveglianza Speciale. Tre spazi di confronto e possibile azione.

A Venezia, il prossimo 16, 19 e 20 settembre.

Sempre contro ogni galera, con o senza sbarre.

 

Troverete tutti i materiali fin’ora prodotti sulla questione (volantini e manifesti scaricabili) a questo indirizzo.

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Il cerchio si chiude (?)

ACCADIMENTI

Qualche giorno addietro, in una umida e piovosa mattina di giugno, due loschi figuri bussano alla porta di una casa nel quartiere di Santa Marta, pianeta Terra, lembo sud-occidentale della città di Venezia. “Che novità sono queste? Voglio proprio vedere chi c’è di là, e che scuse accamperà la signora Grubach per questa seccatura”. In mano un plico di fogli recante foto sbiadita dell’interessato, corredato da timbri e controfirme:”Richiesta di sorveglianza speciale. No sta rider. No xe da rider”.

NOTE DI INTERMEZZO

La Sorveglianza Speciale è una misura di prevenzione regolata da una legge del 27 dicembre 1956, ma l’idea, ad occhio e croce, risale almeno a una ventina d’anni prima. Erede diretta dell’ “ammonizione” fascista (un provvedimento che, tra le altre cose, impediva di camminare sui marciapedi), è stata rimaneggiata più volte fino al 2011, con l’unico scopo di renderla ancora più pesante e invasiva.

Essendo, per l’appunto, una misura di prevenzione, la sua applicazione può venire richiesta anche in assenza di reati passati in giudicato, purché si comprovi la “pericolosità sociale” del soggetto. Pericolosità che si delinea attraverso un minuzioso collage dei comportamenti penalmente rilevanti e non dell’interessato, comprese le sue frequentazioni abituali, il suo stato patrimoniale, le idee a cui si richiama e ciò che fanno i suoi amici in sua assenza.

La Sorveglianza ha lo scopo dichiarato di favorire la resipiscenza del soggetto, mirabile termine giuridico che designa il “ravvedimento operoso” (e che deriva dal latino resipiscere, riprendere i sensi, o, più volgarmente, darsi una reffata). Per raggiungere questo scopo la misura, una volta effettiva, impedisce al sorvegliato di frequentare luoghi pubblici o assemblee, di incontrarsi con più di tre persone alla volta, di parlare con pregiudicati o sottoposti ad altre misure di prevenzione, di essere fuori casa dopo le 21 e di non frequentare bettole, osterie o postriboli (ah, i postriboli!). Il provvedimento, come nel nostro caso specifico, può essere aggravato dall’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, dall’obbligo di firma in questura o da quello di comunicare alla polizia ogni proprio spostamento. Il tutto per una durata tra gli uno e i cinque anni, che si sospende in caso di carcerazione e che può essere comunque rinnovata in caso di mancato ravvedimento del soggetto, potenzialmente all’infinito.

La seguente citazione, tratta da uno scritto sulla sorveglianza speciale di alcuni “insuscettibili di ravvedimento”, ne fornisce senza ombra di dubbio una descrizione calzante:

“Una repressione fuori e dentro il Diritto, una sorta di carcerazione “a costo zero” che raccoglie e affina diversi arnesi del potere: antropologia criminale, ortopedia sociale, giudizio psichiatrico, sospetto fascista, rieducazione stalinista e perbenismo democratico. Non un’anticaglia del passato, dunque, ma il volto del presente”.

MA NON DOVEVAMO VEDERCI PIù?

Nella richiesta formulata a Venezia ad essere presa in esame è la vita dell’interessato dal 2008 ai giorni nostri, illustrando con dovizia di particolare una lunga serie di episodi “dall’alto valore sintomatico” che lo ricondurrebbero alla categoria di persone pericolose per la tranquillità e la sicurezza pubblica. Tra questi, tanto per dire, l’essere stato presente mentre veniva acceso un fumogeno allo stadio o essere stato avvistato nella ridente cittadina di Rovereto (TN).

Se i sintomi designano una malattia, la cura va presto somministrata: due anni ben lontano dai propri affetti e dalle proprie geografie, pur non potendo lasciare il posto dove si vive. Ma, come si evince dalla conclusione del rapporto questurino, tutto a fin di bene: in fin dei conti l’interessato ha persino lasciato gli studi e non possiede un lavoro stabile, perchè troppo occupato ad essere un pericolo sociale ambulante.

Nella relazione, particolare enfasi viene posta alle azioni di solidarietà intraprese a sostegno delle mobilitazioni dei detenuti nell’ultimo anno, a Venezia e nel resto della regione. Presenze solidali che sono già costate più di trenta fogli di via dalla città e tre avvisi orali (provvedimento che, pur non comportando conseguenze nell’immediato, apre di fatto alla procedura per richiedere la Sorveglianza stessa, l’equivalente di un più prosaico “Hai rotto il cazzo”).

Ora, dato che tra le imposizioni della Sorveglianza vi è il divieto di incontro con chi è sottoposto a misure di prevenzione, come il foglio di via, appare chiaro l’intento di disarticolare definitivamente i legami all’interno di un gruppo di persone , individuato come particolarmente attivo nella lotta al sistema carcerario.

IL CERCHIO SI CHIUDE, O FORSE NO.

Con quest’ultima trovata si chiude idealmente il cerchio della repressione preventiva iniziato con i primi banditi lo scorso settembre, anche se tutto fa pensare che non sarà l’unica misura di questo tipo richiesta nei prossimi tempi.

Così la Questura cerca di ottenere il massimo risultato (l’allontanamento delle persone dai contesti di vita e di lotta a cui appartengono) con il minimo sforzo, senza darsi la pena di perdere anni per processare reati comunque, di per sè stessi, poco rilevanti. Per farlo si avvale di un Diritto d’ “eccezione”, ma normato e presente nei codici almeno da un secolo. Così, se per caso qualcuno volesse spenderci una riflessione.

Spezzare il cerchio è oggi affare di tutti e di ciascuno. I perchè sono molteplici, si possono ricercare tra le sbarre di quell’inferno che sono le carceri italiane, nei mille immobili vuoti o nei mille alberghi di questa città, nel calore delle sue bettole e osterie (quelle poche che sono rimaste frequentabili). Non è un affare tra anarchici, ma nemmeno si tratta di chiedere indietro uno”Stato di diritto” che non è mai stato altro che bastonate e morti ammazzati in galere e nelle strade.

In ballo c’è la possibilità di decidere della propria vita, dei propri affetti e delle proprie idee, rifiutando l’idea che uno sbirro, una piovosa mattina di giugno, bussi alla tua porta per dirti che devi smettere di essere così, per il tuo bene e quello del prossimo.

Giovedì 30 giugno, alle 10 del mattino, ci sarà l’udienza in cui il Tribunale del Riesame deciderà in merito all’applicazione della Sorveglianza Speciale, nell’Aula Bunker di Mestre. Nonostante molti solidali non disdegnino le gite nei campi, specie se molto isolati e lontani dagli altri esseri umani, nessuna presenza è stata prevista lì per quel giorno.

Prima, dopo, durante le occasioni per farsi sentire si troveranno, basta cercarle.

Molotv quartiere


Sorveglianza Speciale

Ieri mattina, 9 giugno, la polizia anticrimine ha bussato alle porte di una casa nel quartiere S.Marta, per notificare a un compagno una richiesta di sorveglianza speciale  per due anni.

Un plico di  16 pagine che, oltre a citare gli ultimi episodi relativi al sostegno alle mobilitazioni dei detenuti, prende in esame praticamente l’intera vita dell’interessato, mettendo in mezzo anche tutta una serie di fatti non penalmente rilevanti ma che, secondo la Questura, possiedono un alto “valore sintomatico” per delineare la pericolosità sociale del soggetto. Come l’aver frequentato lo stadio o il fatto di essere stato più volte identificato in Val di Susa e in altri contesti di lotta.

La sorveglianza è inoltre aggravata dalla richiesta dell’obbligo di soggiorno nel comune di Venezia per due anni, motivato dal fatto che “una totale libertà di movimento, in assenza di un lavoro fisso, porta con tutta evidenza alla prosecuzione di comportamenti illeciti”. Per condire il tutto con ulteriore cupezza l’udienza che deciderà in merito alla richiesta è stato fissata nell’Aula Bunker di Mestre, giovedì 30 giugno prossimo.

Seguiranno aggiornamenti sul da farsi.

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Guerra senza fronte. Due giorni di discussione.

La guerra di oggi non ha un fronte. Il nemico è ovunque, perchè l’unico nemico da combattere è la popolazione stessa, in Siria, in Turchia o nel cuore dell’Europa. Per farlo chi governa sta affinando i suoi mezzi e rafforzando i suoi avamposti: nuove frontiere vengono erette mentre politiche securitarie si sostituiscono alle già misere libertà concesse.
Appare urgente, in questo scenario, trovarsi in una posizione rivoluzionaria all’altezza dell’epoca, senza cedere alle ipocrisie e alle scorciatoie.
Due incontri per discutere, ed iniziare ad organizzarsi, per il prossimo futuro.

21 APRILE 2016 ORE 18.30
Masse di persone, in fuga dalla guerra e da un avvenire già scritto, premono per entrare in un’Europa definita ormai solo dai muri che erige. A spaventare è la loro ingovernabilità che, prima che si affermi come forza, diventa un’emergenza da trattare con reti e fili spinati.
In questi giorni, al Brennero, l’Austria ha iniziato a militarizzare i propri confini.

Ne discutiamo con alcuni compagni e compagne trentini, in vista della giornata di lotta “Abbattere le frontiere, al Brennero e ovunque” del prossimo 7 maggio (per info https://www.facebook.com/events/990212361015937/)

22 APRILE 2016 ORE 18.00
Mentre, tra Siria ed Iraq, il Califfato comincia a “farsi Stato”, con i massacri, le deportazioni, le esecuzioni sommarie che ciò comporta, migliaia di giovani partono per arruolarsi tra le sue fila. Fanno esperienza della morte, alcuni tornano a casa con la determinazione necessaria per muovere guerra al ventre dello stesso Occidente da cui provengono. A spingerli non è il fervore religioso nè l’ortodossia, ma l’odio verso una società vuota di presenze, dove la morte sembra essere l’ultima delle avventure possibili.

Ne parleremo a partire dalla presentazione de “Il gioco più vecchio del mondo”, delle edizioni Cirtide. Per riflettere sui limiti delle nostre prospettive, su ciò che abbiamo perso per strada, sulla desiderabilità delle nostre ipotesi rivoluzionarie.

Per vedere, sfogliare, leggere il testo (https://editricecirtide.noblogs.org/files/2016/04/IlGiocopiùVecchiodelMondo_web.pdf)

Per saperne di più sulle edizioni Cirtide e per leggere gli altri titoli (https://editricecirtide.noblogs.org/)

A SEGUIRE MUSICA LIVE CON PIOTRE (UD)!

impaginato due giorni


Mira-ggi di sgombero

Via Borromini 7, Mira. Una palazzina occupata che, da anni, è al centro delle cronache della Riviera. Prima per le intemperanze degli assistenti sociali del comune, che a più riprese hanno minacciato gli occupanti con figli di togliere loro la patria potestà, poi con l’iniziativa, spinta dalla giunta 5 stelle, di sventrare la strada antistante per tagliare l’allacciamento alla rete idrica.

Una situazione che si trascina da più di tre anni e che trovate riassunta nel Volantino scritto all’epoca dei fatti da un’assemblea solidale.

Ultima minaccia, in ordine di tempo, di sgombero dello stabile era fissata per ieri, 16 marzo. Dalla mattina un picchetto composto da amici e solidali degli occupanti presidia l’ingresso dell’abitazione. Dopo mezzogiorno, cogliendo l’occasione dell’allontamento di alcuni solidali, interviene in forza la polizia locale, con un inedito armamentario di caschi, scudi e spray al peperoncino. Scortano la ditta incaricata di lamierare porte e finestre degli appartamenti.

Giunti sul retro della casa, mentre gli operai provano a chiudere le finestre di un appartamento “per questioni di emergenza sanitaria” (senz’acqua, del resto…), la determinazione del picchetto appena ricomposto fa tornare la polizia a più miti consigli. Non sarebbe stato sicuro proseguire, dichiareranno poi ai giornali.

Ad andarsene a testa bassa, ieri in via Borromini, sono stati solo gli operai e gli agenti incaricati di proteggerli.

borromini

Di seguito il testo di cui sopra, scritto ormai tre anni fa ma che ben illustra la situazione:

Nel corso del 2012 molti comuni della Riviera del Brenta, e tra questi il comune di Mira, si sono dovuti confrontare con la cosiddetta “emergenza casa”.

Le richieste di partecipazione al bando per l’assegnazione di alloggi popolari, a cadenza biennale, sono state più del doppio di quelle del 2010.

Altrettanto numerose sono state le richieste di contribuiti da parte di famiglie per riuscire a pagare l’affitto e non essere considerati morosi. La morosità è infatti una di quelle condizioni che preclude l’accesso alle graduatorie per vedersi assegnata una casa.

Nel 2010 un cittadino mirese, rimasto senza abitazione ed esasperato dai tempi infernali delle gradutatorie, ha condotto una singolare protesta portando tutti i mobili di sua proprietà in sala del consiglio comunale.

A fronte di centinaia di persone che, soffocate dalle condizioni di crisi imposte da padoni e banchieri, necessitano di una casa, ad oggi nel solo territorio comunale di Mira sono presenti 82 alloggi pubblici non assegnati e ben 947 appartamenti di privati lasciati vuoti.

E’ in questo contesto che nel giugno scorso quattro famiglie senza casa hanno deciso di occupare quattro appartamenti in via Borromini 7. Un edificio di proprietà comunale composto da dodici vani, tutti lasciati vuoti ed in stato di abbandono.

Gli occupanti hanno fin da subito reso pubblica la loro scelta attraverso volantinaggi e presidi informativi. Non nascondendo le loro condizioni e i loro bisogni, comuni a quelli di molte altre persone e famiglie, gli occupanti sono riusciti così a squarciare quella cappa di disperazione, vergogna e isolamento in cui spesso si racchiude chi si trova ad affrontare dei problemi.

Purtroppo, come spesso succede in una politica che non sa rappresentare più nulla se non sé stessa, la giunta grillina del Comune di Mira ha dimostrato tutto la sua incapacità e il suo infantilismo nell’affrontare la situazione.

Schermandosi dietro una legalità sorda e cieca, la soluzione più semplice per chi non è in grado di scendere dagli scranni del potere per guardare la realtà, la giunta e il sindaco Maniero hanno prima proposto alle madri e ai figli occupanti la collocazione presso una comunità d’accoglienza (di fatto dividendo il nucleo famigliare), in seguito hanno loro offerto una somma di denaro ridicola per lasciare il Paese (metà degli occupanti sono cittadini italiani…).

Al rifiuto da parte degli occupanti di queste umilianti proposte, il sindaco ha pensato bene di sventrare la strada davanti alla palazzina, tagliando con una ruspa la fornitura idrica in pieno agosto.

Un gesto disumano a cui è seguita la disumana persecuzione perpetrata dagli assistenti sociali del comune, nella persone della sig.ra Squizzato, che, riscontrata la mancanza di condizioni igieniche adeguate (senz’acqua, del resto…) ha spinto per togliere la patria potestà alle famiglie.

Potevamo pretendere maggiore sensibilità da parte di una giunta presieduta da un ragazzo di 26 anni e dalla sua amministrazione a 5 stelle?Probabilmente sì, anche se di certo non possiamo aspettarci che Alvise Maniero, che può permettersi di tenere vuota una casa di sua proprietà a Mira, o personaggi come Gino Biasiolo, che alla giusta rabbia degli occupanti in consiglio comunale risponde con “Che me ne frega, io di case ne ho tre”, si immedesimino nella situazione di chi non ha più un tetto sopra la testa.

Con il passare dei mesi si è costituita un’assemblea di sostegno agli occupanti, che sta riscuotendo crescente simpatia tra Padova e Venezia. Un’assemblea nata per ribadire la necessità, di fronte all’incapacità e agli interessi della politica, di prendersi ciò di cui si ha bisogno senza aspettare.

Appoggiamo via Borromini 7 augurandoci che tanti, nei prossimi tempi, non scelgano la disperazione e l’isolamento ma provvedano da soli alle proprie necessità.

L’acqua e un tetto ci servono subito, per la legalità possiamo aspettare

LA CASA SI PRENDE E SI DIFENDE!