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Perchè no (?)

Questo testo è stato scritto dal compagno sottoposto alla richiesta di Sorveglianza Speciale. Per continuare la mobilitazione ricordiamo il prossimo appuntamento del 20 settembre, giorno dell’udienza, dalle ore 10 a Santa Marta, Campo dei Sechi.


Lo scorso 9 giugno, pioveva ed era l’inizio di un gioioso giovedì, la polizia anticrimine di Venezia ha notificato a chi scrive la richiesta di Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza. Un nome da pessimo film-noir che designa la misura di prevenzione più gravosa prevista per chi, come nel mio caso, appartiene alla categoria di persone sospettate di “essere dedite alla commissione di reati che mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”. Minorenni e lsd negli acquedotti a parte, la richiesta in questione è costruita mettendo insieme una lunga serie di fatti riguardanti la mia persona dal 2008 in avanti, rilevanti o meno da un punto di vista penale, e delle considerazioni generali della Questura tese a dimostrare la mia “pericolosità sociale”, requisito fondamentale per l’applicazione di ogni misura preventiva. Un elenco di “indizi e sospetti” che, oltre a ricordarmi un certo numero di bei momenti altrimenti passati nel dimenticatoio, sono definiti “altamente sintomatici”, con piena appropriazione del linguaggio medico, di una patologia a cui la polizia si sta prodigando a trovare una cura.

Ora, che la mancata lealtà verso l’ordine costituito venga perseguitata anche tramite la costruzione di un immaginario di “devianza” non è più una novità dai tempi dell’Inquisizione ma, prerogativa squisitamente democratica spruzzata di stalinismo, la Sorveglianza fa un passo ulteriore: si propone di mettermi da parte per il mio bene, oltre che per preservare “la pacifica coesione sociale tra le parti”.

Nelle 16 pagine di morbosa e voyeuristica compilazione non è dato sapere quale tipo di coesione sociale tra le parti sarebbe da preservare, se quella tra sfruttati e sfruttatori o, ad esempio, quella tra i detenuti e i loro carcerieri o, per non andare troppo in là, quella tra i ricchi di questa città e chi è costretto ad andarsene.

Così la mia partecipazione ai cortei No Tav in Val di Susa, o a molti presidi sotto il carcere di Santa Maria Maggiore, sarebbero sintomi di pericolosità non di per sè stessi, ma in relazione all’ aver abbandonato gli studi o al non possedere un contratto di lavoro stabile. Conseguentemente, con peloso quanto insopportabile paternalismo, viene proposta una guarigione attraverso quella che è, a tutti gli effetti, una pena senza reato.

Il giudizio del Tribunale del Riesame, che si esprimerà sulla convalida della misura il prossimo 20 settembre in mancanza di dati giuridici oggettivi, non potrà quindi che avere un carattere essenzialmente psichiatrico: ad essere valutate saranno le intere condotte della mia vita, sulla base della suggestione proposta da chi, per mestiere, la spia dal buco di una serratura.

La Sorveglianza, una volta convalidata da un giudice, impedisce la frequentazione di assemblee e locali pubblici, quella delle bettole e delle osterie, obbliga il sorvegliato a stare a casa dall’alba al tramonto e, una specifica del mio e di altri casi, a non lasciare il proprio comune di residenza. Inoltre poichè la Sorveglianza vieta l’incontro con pregiudicati e destinatari di misure di prevenzione, ed essendo praticamente la totalità dei miei compagni affetti da fogli di via o avvisi orali, l’effetto (o lo scopo?) di questa misura sarebbe quello di isolarmi completamente dalle persone con cui ho scelto di vivere e lottare. Il tutto per due anni.

In mancanza di altri strumenti legali per mettermi fuori gioco, la Questura di Venezia cerca di farmi fare lo sbirro di me stesso, delegandomi il controllo delle mie abitudini e delle mie frequentazioni, sotto il costante ricatto di commettere una violazione punibile con la reclusione da 1 a 5 anni.

Un ricatto inaccettabile e un ruolo che non intendo ricoprire.

Per questi, e per molti altri motivi, voglio dire ai miei amici e ai miei compagni che, qualora il giudice dovesse confermare questa misura, non ho nessuna intenzione di sottostarvici. Portare fino in fondo questa scelta significa necessariamente assumersi le conseguenze che potrebbe comportare, non ultima la reclusione. Una prospettiva che non mi fa più paura di passare i prossimi due anni a stare attento a chi incontro per strada, lontano da tutte le cose che faccio, cercando di vivere come la polizia ha detto che dovrei. Del resto, come ci hanno dimostrato le lotte dei detenuti dell’ultimo anno, il carcere non è la fine di niente.

Nei tanti contesti di lotta che ho avuto la fortuna di attraversare ho sempre pensato che l’essenziale, ciò che rende uno slancio generoso realmente rivoluzionario, fosse quanto di noi da quei momenti non sarebbe più tornato indietro come prima. Quante ansie e barriere saremmo riusciti a lasciarci alle spalle, dischiudendo altre possibilità dove prima avremmo visto solo muri.

Più di qualcuno, prima di me, si è trovato per scelta o per necessità ad affrontare a viso aperto lo spinoso terreno della repressione cautelare e preventiva, avendo il coraggio di aprire nuove strade che restano ancora per molti versi inesplorate. Al di là dell’efficacia o meno di questo tipo di risposta, il merito è stato senz’altro quello di rivelare un nuovo campo in cui è possibile battersi, proprio lì dove sembrava più difficile (o nessuno aveva ancora pensato di andare).

Proseguire su questa strada non sarà, per forza di cose, un affare soltanto mio. Ritengo sia imprescindibile un confronto, fra compagni e non, su cosa significa continuare con ciò che si sta portando avanti nonostante le imposizioni poliziesche, e come far fronte ai rischi che comporta la loro violazione trasformandoli, per quanto possibile, in altrettante occasioni di rilancio.

Per ora, semplicemente, intendo proseguire questa discussione non temendo di incontrare i miei affetti, seduto al tavolo di qualche bettola e senza l’ansia di dove tornare a casa la sera.

Nicholas

definitivo IMMAGINA WEB


Ancora qua

Si è da poco conclusa la quinta edizione della Sagra Marziana. Una festa attraversata da centinaia di persone, nata quest’anno tra qualche difficoltà legata alle (tentate) imposizioni questurine.

Ringraziando tutte le persone che hanno contribuito alla perfetta riuscita dell’evento, qui sotto trovate qualche foto e, per chi se lo fosse perso, uno dei testi distribuiti durante le serate.


Ancora qua

Con l’aria, col sole
Con la rabbia nel cuore
Con l’odio, l’amore
In quattro parole
Io sono ancora qua

-Vasco Rossi-

Quest’anno la Sagra Marziana è arrivata alla sua quinta edizione. Un’avventura partita quasi per scherzo, tra una chiacchiera e un bicchiere di vino in un’orticello appena piantato, tra il muro che divide Santa Marta dal resto della città e il fumo delle navi da crociera. Un’avventura che, all’inizio, sembrava impossibile: far ritornare al meglio una vecchissima festa di quartiere, con molta buona volontà ma con pochissimi mezzi materiali ed economici. Un’idea che è riuscita a concretizzarsi solo grazie all’aiuto di un grandissimo numero di persone, di storie che hanno saputo incrociarsi, di incontri formidabili avvenuti al momento giusto.

Lo spirito con cui abbiamo cercato di affrontare l’organizzazione della Festa è sempre stato quello di non limitarsi a un pur sacrosanto “magna e bevi”, ma di portarvi, per quanto possibile, una visione e una maniera di vivere il quartiere lontana dalle logiche economiche dominanti. La ricerca costante di uno stare assieme che mettesse al centro il mutuo appoggio, l’amicizia, la solidarietà tra chi è nato o chi ha scelto di abitare in uno dei pochi angoli di Venezia tagliati fuori dal passaggio dei flussi turistici.

Uno sforzo che abbiamo sempre voluto non limitato a questi pochi giorni di fine luglio, ma a una quotidianità altra, per forza di cose antagonista a gran parte di ciò che ci passa sotto gli occhi tutti i giorni.

Per queste ragioni giusto un anno fa, mentre fervevano i preparativi della scorsa edizione, non ci abbiamo pensato due volte prima di recarci sotto le mura del vicino carcere di Santa Maria Maggiore, scosso in quei giorni da una rivolta scoppiata a causa del sovraffollamento e delle pesantissime condizioni di reclusione, per portare un po’ di solidarietà ai detenuti.

Un gesto che è costato a una trentina di persone un foglio di via dal Comune di Venezia, un provvedimento di allontanamento totalmente discrezionale, che può venire emesso dal Questore anche in assenza di reati o processi specifici. Un gesto che, per il valore che ha avuto, continueremo a fare mille altre volte.

Molte delle persone colpite da questi odiosi provvedimenti sono, o sono state, parte integrante nell’organizzazione della Sagra Marziana e di altri momenti di incontro in quartiere. Insieme si è deciso di violare questi provvedimenti, di non sottostare al ricatto questurino e di continuare con ciò che si stava portando avanti, ritenendo i propri affetti e i legami intessuti con il territorio più importanti di qualsiasi imposizione poliziesca.

Una scelta che costerà in termini di denunce e processi, ma che rivendichiamo in pieno.

Recentemente il Questore, evidentemente non soddisfatto dal “risultato”, ha anche richiesto l’applicazione della sorveglianza speciale per un’altra persona, anch’essa attiva da anni nell’organizzazione della festa. Una misura che, qualora venisse approvata, imporrebbe l’obbligo di soggiorno per due anni nel comune di Venezia, l’obbligo di rientro notturno e il divieto di incontro con pregiudicati o soggetti destinatari di misure di prevenzione, oltre al divieto di frequentare assemblee e luoghi di ritrovo. L’udienza che deciderà in merito all’applicazione di questa misura è stata fissata per il prossimo 20 settembre.

Pensiamo sia utile e necessario, per tutti, far nascere di continuo momenti di confronto e di scambio sulle questo tipo di misure repressive. Non per piangersi addosso, o per riscuotere formali attestati di solidarietà, ma per trovare insieme nuove maniere di affrontarle, partendo dai luoghi in cui si vive e da ciò che già si fa.

Partendo da momenti come questa festa.

Qualche marziano bandito dal pianeta terra

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CRIMINALE È CHI SFRATTA E LASCIA LE CASE VUOTE!

SOLIDARIETà PADOVA

Diffondiamo il comunicato dei compagni di Padova in merito alla vile operazione di Polizia ai danni del Comitato di Lotta per la Casa. Ribadendo la nostra solidarietà, invitiamo tutti al CORTEO A SOSTEGNO DEI COMPAGNI INDAGATI: SABATO 27, ORE 16, PIAZZETTA CADUTI DELLA RESISTENZA-PADOVA.


 

La mattina del 18 febbraio dalle 6.30 sono state eseguite dalla Questura di Padova perquisizioni abitative e corporali tra Padova, Schio (Vi) e Cagliari nei confronti di 11 compagni del Comitato di Lotta per la Casa, attivi anche nella radio web RadiAzione e all’interno dell’Associazione culturale N. Pasian.

Queste si sono tramutate in 11 misure cautelari tra cui: 4 arresti domiciliari, 2 divieti di dimora e 5 obblighi di firma. Inoltre senza alcun avviso è stata sigillata con un portone di metallo la sede di Piazza Toselli, storico punto di riferimento a Padova, in cui si sono sempre svolte le attività dello sportello antisfratto del Comitato di Lotta per la Casa, dell’Asd Quadrato Meticcio, del doposcuola, dell’associazione N. Pasian, della Boxe Popolare Chinatown, della biblioteca del Centro di Documentazione C. Giacca e della web radio RadiAzione (a cui è stata requisita tutta la strumentazione). Attualmente la stessa sede è stata posta sotto sequestro.
L’accusa è quella di associazione a delinquere. Negli ultimi anni il reato associativo è stato sempre più utilizzato perchè consente da una parte di incarcerare e dare misure cautelari preventive, così da togliere dei compagni attivi dalle lotte, e dall’altra di allargare il raggio d’azione dell’inchiesta coinvolgendo anche strutture, sedi fisiche e strumenti di informazione come RadiAzione.
I fatti specifici constano di numerosi picchetti antisfratto ed alcune occupazioni abitative. La costruzione accusatoria però parla di un’organizzazione criminale, capace di circuire persone straniere e, fingendo di erogare loro un servizio inerente alla loro problematica abitativa, prima fidelizzarle e in seguito spingerle ad occupare inconsapevolmente un alloggio. Il Comitato, sempre secondo l’accusa, si serviva di RadiAzione come strumento per “promuovere le proprie attività criminali”.

Questa è la costruzione messa in piedi dalla Digos e commissionata da coloro che nell’edilizia residenziale pubblica vedono l’ennesimo bacino di speculazione da dove poter succhiare quei sempre più risicati margini di guadagno che la crisi del sistema produttivo ed economico ancora concede. Dal momento che le istituzioni non vogliono dare risposte serie alle problematiche sociali tipiche dei quartieri popolari (e chiunque conosca le condizioni in cui versano le case Ater non farà fatica a credere a queste parole), si cerca di risolverle reprimendo e criminalizzando le realtà politiche identificate come capaci di focalizzare la rabbia diffusa che in tali quartieri si respira.
Ed ecco che chi lotta per evitare che persone in difficoltà vengano buttate fuori di casa (perchè ree di morosità incolpevole), diventa un criminale, chi aiuta famiglie costrette a vivere in auto ad occupare alloggi lasciati colpevolmente vuoti dall’Ater, in attesa di poterli svendere all’asta al palazzinaro di turno, viene arrestato e una radio che denuncia la situazione di miseria a cui sempre più persone sono costrette, pur di garantire la ricchezza dei soliti pochi, viene fatta tacere.

Queste menzogne però si scontrano ogni giorno di più con le contraddizioni palesi della società in cui viviamo, come testimonia anche la grande solidarietà espressa fin da subito da molti abitanti del quartiere e da tutta Italia. Una società strozzata dalla crisi economica irreversibile che per mantenere inalterati i propri profitti promuove misure antipopolari tagliando l’istruzione e la sanità, allungando i termini per le pensioni, riducendo e privatizzando sempre più i servizi come i trasporti, precarizzando ulteriormente il mondo del lavoro e speculando sull’edilizia residenziale pubblica. Tutto ciò, a fronte del costante rifinanziamento degli investimenti bellici, espressione della tendenza alla guerra sempre più marcata e che si intreccia sul fronte interno con l’apparato repressivo dello stato.
Per continuare con le riforme “dei sacrifici”, la classe dirigente necessita di un clima di pace sociale e di tenere a freno il malessere popolare che, invece, aumenta sempre più e in tutta la penisola. Questo fine lo persegue con l’inasprimento della repressione e l’attacco verso le diverse forme di lotta che maturano in tale contesto; attraverso inchieste giudiziarie o con il manganello della polizia, com’è successo nei giorni scorsi ai lavoratori della logistica della Bormioli, in lotta per il proprio posto di lavoro.
Questo è un attacco rivolto a tutta una classe sociale e non solo agli 11 indagati.
Perchè quella che loro identificano come “un vero e proprio sodalizio criminale, strutturato e organizzato in maniera stabile”, è una realtà impegnata nella costruzione di un tessuto sociale capace di rispondere in maniera autorganizzata alle proprie esigenze, senza bisogno di andare ad elemosinare le briciole dalla giunta di turno, magari in cambio di qualche voto in più. Questo tessuto ci conosce e sa bene che i veri criminali sono quelli che prima in nome della ripresa, propongono ricette fatte di supersfruttamento, stipendi da fame e licenziamenti indiscriminati e poi, quando non hai abbastanza soldi per pagare loro un affitto, mandano la polizia a buttarti fuori di casa.

Le accuse che ci muovono le rimandiamo al mittente, consci che se è successo tutto questo è perchè hanno paura e noi dal canto nostro non abbiamo intenzione di smettere di fargliene.
Giovedì abbiamo salutato compagni determinati e con la rabbia negli occhi e siamo e saremo sempre pronti a raccoglierne il testimone.
Per questo l’appuntamento musicale del venerdì in Piazza Toselli verrà mantenuto e ci prenderemo le strade del quartiere per portarlo avanti. Per questo continueremo a lottare.
Abbiamo bisogno del sostegno di tutti e tutte. Le istituzioni hanno dato la loro risposta a chi chiedeva uguaglianza sociale, adesso è il momento di dare la nostra.

SOLIDARIETÀ A TUTTI I COMPAGNI DEL COMITATO DI LOTTA PER LA CASA
LE LOTTE NON SI ARRESTANO!

SABATO 27, ORE 16, PIAZZETTA CADUTI DELLA RESISTENZA-PADOVA
CORTEO A SOSTEGNO DEI COMPAGNI INDAGATI

Comitato di Lotta per la casa, redazione di RadiAzione.info, Associazione Culturale N. Pasian, Mensa Marzolo Occupata, Centro di documentazione C. Giacca

 


The bridges of Gentrification, with(out) graffiti

Parlare di gentrification a Venezia può, molto spesso, essere fuorviante. Più che a un “imborghesimento”, a un’espulsione di abitanti originari ad opera di una nuova classe più abbiente, quello a cui quotidianamente si assiste è la sostituzione di una popolazione (residente o meno) cittadina con una turistica. Un fenomeno molto specifico, che avremo modo di approfondire e analizzare.
In alcuni pezzi di città, tuttavia, il concetto tradizionale di “gentrification” resta ancora valido per capire al meglio la portata dei cambiamenti in corso. La zona di San Basilio e della Stazione Marittima, adiacente al popolare quartiere di Santa Marta, è una di queste.
La vecchia giunta comunale aveva a più riprese manifestato l’intenzione di far arrivare una linea del tram fino a San Basilio, convertendo l’attuale Stazione Marittima in un grande terminal tranviario con servizi annessi. La giunta attuale, per la prima volta in sintonia con la presenza e i progetti dell’Autorità portuale in centro storico, pur accantonando il prolungamento della linea del tram, dichiara, nella persona del Sindaco, di voler spostare in quell’area la “movida” di Santa Margherita, da tempo invisa ai residenti.
Una vita notturna, s’intende, limitata alla fruizione di qualche baretto a prezzi spropositati ma che, a seguito di precise politiche di zonizzazione delle aree cittadine, è diventata in pochi anni prerogativa esclusiva del “Campo”, con le inevitabili coneguenze del caso.
Nell’offerta di quel parco commerciale che è diventato il centro storico veneziano manca proprio un “distretto del divertimento” rivolto a giovani turisti e studenti fuori sede che, per gustare un aperitivo all’ultima moda o ballare al ritmo di musica elettronica, devono oggigiorno recarsi nei locali della terraferma a Mestre e Marghera.
Ma perché proprio a san Basilio, quando in passato tentativi in tal senso sono già stati attuati all’Arsenale o al Tronchetto tramite eventi organizzati ad hoc? L’area in questione è caratterizzata da un basso numero di abitanti, dalla presenza di grosse sedi universitarie dello IUAV e di Ca’ Foscari, dal Porto, da un gran numero di posti auto. Un luogo in grado di garantire una costante presenza di flussi, con la possibilità di aprire nuove attività commerciali in edifici esistenti e in nuove cubature edificabili, senza arrecare troppo disturbo. Una prerogativa pressoché unica in una città già completamente urbanizzata nella sua parte insulare, dove le uniche aree “vuote” meritevoli di riqualificazione sono quelle lasciate dalla dismissione di parte dell’attività portuale.
Curioso che la vocazione al “divertimento” di San Basilio e della Marittima sia stata indirettamente suggerita da momenti di convivialità auto-organizzati. Nel 2008 il movimento studentesco, organizzò le prime feste, autorizzate e non, tra i vecchi docks del Porto, da pochi anni adibiti ad aule dalle università. Da quell’anno trovarono spazio di espressione diversi eventi musicali, anche non prettamente concordati con le autorità competenti: dai concerti delle associazioni universitarie all’approdo “selvaggio” dei tradizionali carretti carnevaleschi che, sfruttando la presenza di vicini eventi ufficiali, non di rado sottraeva pubblico a questi ultimi.
Veniamo ora al primo “ponte” tangibile lanciato alla realizzazione di questo progetto: l’apertura dell’evento collaterale della Biennale d’arte, in programma da maggio a novembre 2015, denominato the Bridges of Graffiti.
Questo evento temporaneo ha trovato spazio all’interno della stazione marittima, nella parte più vicina alle sedi universitaria, ribattezzata per l’occasione Arteterminal. L’ambiente, caratterizzato dalle opere di dieci artisti internazionali (che per l’occasione hanno anche collaborato per creare un murales collettivo), è diventato un vero e proprio locale da aperitivi e dj-set sotto le insegne della prestigiosa esibizione artistica.
Gustosto notare come l’inaugurazione di questo spazio, che dal nome richiama esplicitamente la street art e all’interno del quale si poteva assistere a talks sul writing, abbia coinciso con la pulizia delle innumerevoli scritte e murales che caratterizzavano il muro della Marittima.
Bridges of Graffiti ha solamente avuto la funzione di testare, con un progetto temporaneo e, almeno nella sua fase di insediamento, discreto, la validità di investimenti futuri. Il nuovo campus per studenti di Santa Marta, i cui inizio lavori è previsto per la prossima estate, creerebbe di fatto la domanda di un distretto del divertimento raggiungibile comodamente, meglio se distante dal centro monumentale e turistico.

graffiti


Chi non va in vacanza

E’ di oggi la notizia ufficiale che il Comune di Venezia si dichiarerà parte civile per quanto riguarda la pulitura delle scritte sui muri lasciate dopo il corteo del 5 dicembre. Il primo cittadino prende la palla al balzo per dichiarare la volontà di vietare le manifestazioni nella zona di Santa Margherita ( “C’è già tanta gente, così è facile dire che la manifestazione è riuscita. Sic)e di spostarne la caratterizzante “movida” in zona Stazione Marittima.  Una decisione, ci sembra, perfettamente in linea con i tempi e i progetti, ormai non più tanto nascosti, di gentrificazione della zona di Santa Marta. Un quartiere ancora tagliato fuori dai flussi turistici e commerciali che attraversano il resto di Venezia e che si vorrebbe “aprire” alla città costruendovi un campus universitario e un distretto del divertimento a pochi passi di distanza. Museificare uno degli ultimi campi ancora vivi, pur con tutte le contraddizioni del caso, per ghettizzare ulteriormente chi ha l’ardire di provare a vivere la propria città anche dopo le sette di sera, e tanto meglio se l’Autorità Portuale o il Costa di turno due palanche riescono a guadagnarle.

Nel frattempo, nonostante il gelo dicembrino, la situazione nei penitenziari della regione non accenna a raffeddarsi. Oggi, verso le sette di sera, una forte battitura ha coinvolto la sezione numero tre del carcere di Vicenza. Le motivazioni non sono ancora note, ma si tratta dell’ennesimo episodio simile che in questo 2015 ha coinvolto la popolazione detenuta nel San Pio X.

A Venezia ancora nessuna notizia ufficiale sulle cause della morte di Manuel, avvenuta il 28 novembre scorso tra le mura del carcere veneziano. E’ sempre di oggi invece la notizia che, verso mezzogiorno, due ragazzi marocchini hanno incediato la propria cella a Santa Maria Maggiore, intossicando alcuni agenti. Secondo le ricostruzioni dei giornali i due sarebbero poi stati tradotti in ospedale per gli accertamenti del caso. Evidentemente la recente visita del Patriarca in occasione del Giubileo non ha portato chissà che speranza tra le sbarre del penitenziario lagunare.

Qui sotto, con i migliori auguri di Natale, l’opera di alcuni vandali.

 

Una delle scritte lasciate dagli anarchici che hanno imperversato nel centro storico di Venezia, 05 dicembre 2015. ANSA


Due testi per una festa

Riportiamo qui sotto due testi diffusi durante la 4a Festa di Santa Marta (o Sagra Marziana che dir si voglia).


 

Primo, dei quartieri e delle comunità che vi abitano.

Finestre chiuse, sanitari intasati dal cemento, infiltrazioni d’acqua che coinvolgono gli appartamenti adiacenti. Chi vive a Santa Marta sa bene quante case vuote puntellino il tessuto urbano del quartiere. Tante almeno quanti i fondi di bottega lasciati in preda all’abbandono: il ricordo delle attività commerciali, e delle persone che le animavano, è sempre una nota di fondo nei discorsi di chi abita questo pezzo di città.
Questa situazione, che contribuisce a costruire l’idea di un quartiere triste e disabitato, è il frutto di precise scelte economiche e politiche: la volontà di tenere sfitti gli immobili è direttamente proporzionale alle future prospettive di speculazione.
Santa Marta infatti è, all’oggi, arrivata ad un punto decisivo della propria storia: nei prossimi mesi verrà completato il tratto di tram che collegherà la Stazione Marittima a Mestre e al resto della terraferma, con tappa proprio all’entrata del quartiere, nei pressi dell’attuale imbarcadero Actv.
Questa infrastruttura sbloccherà la possibilità di nuovi investimenti in quest’area, una delle pochissime (se non l’ultima), radicalmente trasformabile all’interno della città storica, nonchè strategicamente centrale per la gestione di nuovi flussi turistici. Oltre a possedere, nelle immediate vicinanze, due delle zone non ancora edificate più grandi della città (Italgas e Magazzini frigoriferi), Santa Marta è infatti un nodo di interscambio tra trasporto acqueo e trasporto su gomma, vicinissimo tanto al terminal delle crociere quanto all’università e al resto del Veneto. E’ facile immaginare quali trasformazioni, coadiuvate da una visione di sintesi “metropolitana” del territorio, avverranno in quartiere nei prossimi anni, dopo l’arrivo del tram: costruzione del nuovo campus universitario, edificazione nell’area Italgas, nuova porta d’accesso cittadina per crocieristi. Trasformazioni studiate, ed è importante ribadirlo, non per migliorare la qualità della vita di chi oggi abita Santa Marta ma a uso e consumo dei “nuovi abitanti altamente qualificati” (così definiti dall’ormai ex prorettore all’edilizia di Ca Foscari Stocchetti, tra i più gioiosi promotori del campus all’ “americana”).
Un quartiere “smart”, dove ricercatori, studenti e creativi, comodamente connessi via tram al nuovo polo di via Torino, potranno scegliere se soggiornare negli ampi appartamenti dell’ormai ex edilizia popolare o in un nuovo dormitorio dal fascino post-industriale, progettando futuristiche architetture “green” destinate al “social housing” nell’ultima area verde rimasta improduttiva della città. Ma anche una pittoresca parentesi, per milioni di turisti, tra l’economico albergo nell’hinterland e l’imbarco sulla crociera, giusto il tempo di comprare l’ultima mascherina nel nuovo negozio di idiozie prima di godersi la vista di Venezia dal ponte della nave.
Sembra fantascienza e potrebbe benissimo esserlo se non avessimo visto, e toccato con mano, i devastanti impatti legati all’introduzione di nuove infrastrutture e poli d’attrazione nel fragilissimo equilibrio della nostra città. Se non avessimo già visto Strada Nuova diventare un albergo a cielo aperto dopo la costruzione del Ponte di Calatrava o le calli tra punta della Dogana e l’Accademia mortificarsi in distretto dell’arte nel giro di pochi anni.
Fermare questi progetti, e soprattutto le loro conseguenze a lungo termine, è tanto difficile quanto necessario. In passato abbiamo promosso incontri informativi sul progetto del tram e sugli interventi ad esso collegati. Ci siamo accorti che il dissenso era forte ma, da solo, per quanto determinato, non poteva bastare.
Abbiamo iniziato ad abitare questo quartiere provando a diffondere un’idea della vita opposta a quella che ci vorrebbero imporre, senza aspettare la sfiga di turno su cui piangere o incazzarsi. La vita che vogliamo, qui come in mille altre parti del mondo, ha al centro la qualità delle relazioni che riusciamo a costruire, il mutuo appoggio, la capacità e la voglia di mettersi in gioco, da soli o in compagnia, per rendere il presente qualcosa di più desiderabile di una forsennata corsa alla sopravvivenza ai danni del prossimo. Non esiste un solo modo per farlo, ma infiniti: c’è chi organizza una mangiata in calle invitando i vicini, chi cura un orto collettivo, chi occupa una casa sfitta e chi, semplicemente, trova il tempo per prestare attenzione a ciò che lo circonda.
Si tratta, per tutti, di iniziare da ora a prendere in mano la propria esistenza, estromettendo chi cerca di determinarlain nome del profitto.
Negli ultimi mesi abbiamo avuto un piccolo assaggio dei mezzi messi in campo dalla controparte: tentativi di staccare le utenze alle case occupate, l’interruzione dell’energia elettrica allo spazio “Bulli e Pupe”, due sgomberi di case avvenuti con la forza pubblica. Poca cosa, certo, se paragonata alla situazione delle periferie delle grandi città, ma indicazioni precisi di ciò che potrà avvenire in un futuro non troppo remoto, non appena i progetti sul quartiere acquisteranno maggiore concretezza.
Occorrerà farsi trovare pronti, continuando a fare ciò che già facciamo, ancora meglio e con più complici. Fino a che, di un tram, di una grande nave o di un campus universitario, non sapremo davvero più che farcene.


Secondo, del carcere e di chi vi abita attorno.

A poche decine di metri da qui c’è un carcere.
A chi abita a Santa Marta capita spesso di passare davanti alle mura di Santa Maria Maggiore per andare a prendere l’autobus, per attraversare la città, portando a spasso il cane. Tutti i giorni si possono sentire le parole di guardie e detenuti, assordanti silenzi, blindi che si chiudono, si possono vedere mani anonime sbucare dalle “bocche di lupo”, i cambi turno del personale, le barche che portano le forniture al mattino e il portone d’ingresso che si chiude la sera.
Convivere con quelle mura, con quelle gabbie, certo non ci piace. Tuttavia il fatto che il carcere di Venezia sia rimasto in centro storico, piuttosto che in qualche periferia deserta, da la possibilità di costruire un qualche tipo di relazione tra chi è fuori e chi è dentro, affinchè nessuno si senta nè rimanga solo.
A finire in carcere, spesso, è chi non confessa o non collabora e chi non può permettersi un bravo avvocato o di commutare la propria pena in un valore pecuniario. Poveri, tossicodipendenti, immigrati non in regola: la maggior parte della popolazione carceraria italiana è costituita da autori, o presunti tali, di reati commessi per sfuggire o cambiare la propria condizione di emarginati in uno stato di cose iniquo per definizione.
Dentro ci si trova con altre tre, quattro, sei persone in spazi talmente angusti che non tutti possono stare in piedi contemporaneamente, con un’elevata percentuale di malati (epatite B e C, scabbia, Hiv), dai lavandini esce solo acqua fredda, i servizi igienici e l’angolo cottura sono tutt’uno, il vitto è scadente e il sopravvitto (i generi di base che il detenuto può acquistare a sue spese)è costosissimo. Il periodo estivo è sempre il più difficile per i detenuti: con il caldo le condizioni di sovraffollamento raggiungono livelli assimilabili alla tortura.
In questo Santa Maria Maggior non fa eccezione: il numero dei reclusi è ampiamente superiore alla capienza prevista (si parla di oltre 300 persone a scapito dei 161 posti “regolari”) e l’amministrazione è stata più volte invitata a migliorare l’illuminazione interna della struttura e ad abolire la famigerata “liscia”, una cella punitiva priva di suppellettili in cui i detenuti venivano rinchiusi nudi.
In questo contesto per chi alza la testa, non rispettando le regole della direzione, non accondiscendendo ad ogni richiesta delle guardie, rifiutando l’auto contenzione a base di psicofarmaci, ci sono le sanzioni disciplinari (dal richiamo all’isolamento che può durare fino a 15 giorni), le perquisizioni, i pestaggi, i trasferimenti punitivi.
Di carcere, inoltre, si muore: sono più di 2000 i decessi avvenuti all’interno delle carceri italiane negli ultimi dieci anni, senza contare le persone morte in seguito ad un ricovero ospedaliero.
Le cause principali sono da ricercare nel degrado e nell’insalubrità delle strutture, nelle azioni o nelle omissioni del personale medico o di custodia, nelle decisioni del Magistrato di Sorveglianza che, negando i benefici di pena, aumenta la disperazione dei detenuti e con essa la voglia di farla finita.
Negli ultimi tempi anche a Venezia si sono verificati dei suicidi. Nel 2009 si è tolto la vita Cherib, giovane marocchino pizzicato con dell’hascish, dopo essere stato sbattuto nella “liscia” con una coperta che ha usato per impiccarsi. In seguito alla vicenda è stato aperto un procedimento penale sulla condotta delle guardie, a conoscenza delle tendenze suicide del giovane, che è ancora in corso. All’inizio di quest’anno invece ha scelto di farla finita Adrian, ragazzo di 19 anni che si è visto aprire le porte del carcere per l’esecuzione di una custodia cautelare inerente a un piccolo furto compiuto due anni prima. Privato della possibilità di scontare la custodia ai domiciliari non ha retto alla prospettiva della reclusione, uccidendosi nella doccia.
Due storie emblematiche, accadute a pochi metri dal quartiere dove abitiamo, in grado di darci la misura di quanto in carcere si soffra come di quanto quest’istituzione, più che a reinserire gli emarginati all’interno della società, assomigli più a un assurdo buco nero in cui, spesso senza nemmeno sapere il perchè, si finisce per sprofondare.
Il carcere non è la soluzione ma parte del problema perchè il problema è una società che ha bisogno del carcere per continuare ad esistere. Il problema è una società fondata sulla diseguaglianza, sull’individualismo sfrenato, sull’ansia e sulla depressione, non chi rompe le sue regole per sopravviverne.
La prospettiva non può essere che quella dell’auto organizzazione dei detenuti e della solidarietà attiva di chi è fuori, soprattutto nei momenti in cui sono gli stessi detenuti a iniziare una forma di lotta: con lo sciopero del carrello, dell’aria, dello spesino.
Liberarsi dal carcere è iniziare a fare i conti con esso, informarsi su chi ci lavora e chi ci collabora, mettendo in comune le esperienze e le strategie adottate da chi ha avuto la sventura di entrarci. Iniziare a conoscerlo per averne meno paura, coltivando sempre più relazioni di confronto sulle tematiche del controllo, della repressione, della reclusione, che si tratti di un carcere, di un C.I.E. o di un O.P.G. .

 


Casa murata? Casa riaperta!

Stamattina alcuni solerti cittadini del quartiere hanno provveduto a rimuovere (a mazzate, s’intende) l’abuso edilizio compiuto ieri da polizia e Opera Pia delle Elemosiniere che, dopo aver sgomberato una casa occupata in Fondamenta dell’Arzere, avevano provveduto a murarla e a renderla inagibile.

Qui sotto la casa prima e dopo l’ “intervento”. A buon rendere.

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Casa sgomberata? Casa murata!

Stamattina (4 marzo) operai, digos e sbirraglia varia si presenta alla porta della casa occupata in Fondamenta dell’Arzere. Dopo aver sfondato la porta procedono a sgomberarne l’unico occupante, che non oppone resistenza. 

La casa verrà murata nel corso della mattinata. Nelle foto sottostanti due solerti lavoratori all’opera nell’erigere l’infame abuso edilizio. Di seguito il comunicati di alcuni solidali.


 

 

 

 

 

 

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La mattina del 4 marzo 2015 polizia, digos, operai e funzionari dell’Opera Pia delle Elemosiniere hanno sfondato la porta della casa occupata in Fondamente dell’Arzere, cacciandone l’unico occupante che non ha opposto resistenza.

La casa, di proprietà dell’Opera Pia, lasciata vuota e a marcire da più di dieci anni, recentemente era stata occupata da persone che avevano deciso di ristrutturarla per abitarla, non volendo o non riuscendo a pagare gli affitti spropositati che questa città impone.

In seguito allo sgombero gli operai, chiamati dai funzionari dell’Opera, hanno provveduto a rompere i sanitari, sbarrare le imposte e a murare l’ingresso dell’edificio, al fine di impedire che qualcun altro possa anche solo pensare di ristabilirsi tra quelle quattro mura.

Non ci fanno paura la polizia e gli sgomberi: chi vive questo quartiere tutti i giorni sa che, attraverso le sue reti informali di solidarietà e di mutuo appoggio, non resterà solo e non avrà difficoltà alcuna a trovare un’altra sistemazione. Questo sgombero però non è un caso isolato, è in perfetta continuità con la vera è propria guerra agli occupanti di case iniziata dal governo Renzi attraverso l’articolo 5 del Piano casa, che non permette l’allaccio delle utenze e di stabilire la propria residenza a chi è considerato abusivo. Negli ultimi mesi innumerevoli sono stati gli sgomberi di alloggi, da Roma a Milano, passando per Firenze e molte altre città. Tuttavia la difesa di questa pratica, che in molti quartieri realmente abitati è percepita come legittima e necessaria, ha costretto più volte la polizia a interrompere le operazioni di sgombero.

Ci preme però fare un paio di considerazioni in proposito.

La prima è che se si preferisce lasciare una casa vuota e murata piuttosto che vederla abitata è perchè ciò è funzionale al disegno di “riqualificazione” di Santa Marta. Gli enti pubblici (Ater, Ire, Opera Pia etc..) al pari dei privati, fanno di tutto pur di lasciare il proprio patrimonio immobiliare vuoto, in attesa che il prezzo del mattone ritorni a crescere anche in questo pezzo di città. Un futuro che è già qui, cosa presente, e che arriverà sotto forma dei binari del tram, della costruzione del nuovo campus per studenti in luogo della facoltà di scienze e delle speculazioni immobiliari nell’area dell’ex Italgas. Cacciare i residenti, chi ha deciso di prendere casa qui, i poveri per lasciare spazio ai “nuovi abitanti altamente qualificati”, ad appartamenti di pregio e a un quartiere che diventerà un nuovo braccio di terra-ferma.

L’altra è che l’unica maniera credibile per mettersi di traverso a questi piani, per salvaguardare non il quartiere così com’è ma ciò che siamo riusciti a costruire di comune fra chi vi abita, è quella di proseguire nella strada delle occupazioni, del fare da soli, del far vivere il quartiere dove abitiamo senza aspettare il permesso di qualcuno.

Non sarà uno sgombero a fermarci, ci rivediamo nelle calli!


6 Febbraio.Dalla lotta agli sfratti alla sorveglianza speciale. Un incontro con i compagni di Torino

Tra i primi mesi del 2012 fino al 2013 il quartiere di Barriera di Milano, “periferia” nord di Torino, è stato attraversato da una lotta contro gli sfratti tanto forte quanto condotta in maniera inedita.
Tra le strade bloccate dai cassonetti usati come barricate, tra i picchetti formati da un magma di compagni, sfrattati e solidali si è fatta largo un’ipotesi rivoluzionaria: partire dalla difesa di un bisogno per attaccare ciò che ci separa dai nostri desideri.
Nata da un incontro fortuito, e fortunato, tra due persone la lotta agli sfratti di Torino è stata in grado di segnare un passo diverso in un pezzo di città sospeso tra illegalità diffusa e gentrificazione, creando, tra chi ne ha fatto parte, legami di solidarietà e relazioni a volte brevi, a volte duraturi. Legami che, acquisendo insieme competenze e crescendo nella lotta, hanno avuto la loro parte nelle altre lotte sviluppatesi successivamente: difficile non vedere delle somiglianze, ed un immaginario comune, nei blocchi in Val di Susa di quel periodo o nei quartieri di Milano dove, a novembre scorso, si è resistito agli sgomberi ordinati da Aler e giunta Pisapia.
Il passato 3 giugno la Procura decide di colpire duramente tutto ciò che la lotta contro gli sfratti in Barriera ha prodotto: 111 indagati complessivi, 29 misure cautelari di cui 11 in carcere. In seguito alla scarcerazione degli arrestati, avvenuta a fine novembre, il PM Rinaudo ha richiesto per 5 compagni/e la sorveglianza speciale. Una misura, affibiata in modo sostanzialmente arbitrario, che condiziona pesantemente la vita di chi la subisce, impedendogli di frequentare pregiudicati, di tornare a casa dopo una certa ora, di frequentare locali pubblici.
Una provvedimento questo che è stato recentemente richiesto per un compagno a Saronno (richiesta poi respinta) e per 3 compagni/e a Bologna, facendo intravedere una nuova strategia repressiva: falliti i tentativi di reati associativi, fallito il paradigma del “terrorismo”, provare a fermare i sovversivi incuneandosi tra la loro attività e le loro relazioni, limitandole e perseguendole allo stesso tempo.
Per raccontare cosa è stata la lotta agli sfratti da chi l’ha vissuta in prima persona, per riflettere e organizzarsi contro le nuove misure di sorveglianza speciale di vediamo
VENERDì 6 FEBBRAIO DALLE ORE 10.00 A SANTA MARTA

DALLE ORE 18.30 ALL’EX OSPIZIO OCCUPATO, FONDAMENTA DELLE TERESE 9/A.

locandina torinesi WEB


Articolo 5, come fare?


Testo scritto per gli abitanti di Santa Marta e distribuito al mercato del lunedì. Di questi tempi chiunque occupi una casa, ma anche una palazzina, una vetrina, un garage, non può non scontrarsi con l’applicazione del famigerato articolo 5.

Qualche spunto di riflessione, per non addetti ai lavori, su come evitare guerre tra poveri in pianerottolo. 


 

Ad aprile 2014 è entrato in vigore il decreto legge, meglio conosciuto come Piano Casa, per la “Lotta alle occupazioni abusive”, redatto dal ministro Lupi. Questo decreto, oltre ad estendere la flagranza e le pena massima per il reato di occupazione, fa sì che chi occupa una casa non possa in alcun modo richiedere l’allaccio alla rete idrica e elettrica, nè possa richiedere la residenza al proprio Comune. La norma in questione, il famigerato Articolo 5, è inoltre retroattiva: si applica cioè anche per casi di alloggi già occupati in precedenza.

Negli scorsi mesi molti movimenti di lotta per la casa, in tutta Italia, si sono battuti contro questa legge, facendo pressione sul Comune di appartenenza o sugli enti erogatori di acqua ed elettricità, ottendendo in alcuni casi il risultato di far sospendere l’applicazione della norma, per un certo numero di case o in una determinata porzione di città. Ciò non risolve tuttavia il problema di tutti quegli occupanti che non possono, o non vogliono, organizzarsi in questo modo, avendo la forza o il desiderio di porre rivendicazioni alle istituzioni.

L’Articolo 5 impedisce a chiunque di vivere in delle case occupate: toglie elettricità e acqua (bene comune?) per mangiare, bere, cucinare, riscaldarsi, mentre il non avere una residenza rende impossibile l’accesso all’assistenza sanitaria, iscrivere i propri figli a scuola e via dicendo.

L’applicazione dell’Articolo 5 è, nei fatti, uno sgombero, e come tale va trattato.

Come ci organizzeremo per contrastare l’arrivo della polizia allo sgombero di un’abitazione allo stesso modo ci organizzeremo insieme per avere acqua, luce e gas senza chiedere nulla ai fornitori ufficiali.

Provvedere autonomamente agli allacci, è bene ricordarlo, non toglie niente e non danneggia chi ha un contratto regolare per l’erogazione dei servizi. In un contesto in cui qualunque servizio viene privatizzato, con  conseguente aumento delle tariffe per gli utenti senza che vi sia una razionalizzazione della rete o un qualche miglioramento della stessa, allacciarsi ai sistemi di fornitura principali senza aspettare di farsi sgomberare, o di abbandonare l’abitazione perchè invivibile, è senza dubbio la scelta più logica per soddisfare i propri bisogni.

E se non ti sembra giusto pagare le bollette mentre il tuo vicino occupante non lo fa la soluzione è semplice: incontriamoci e organizziamoci insieme per non pagare più nulla! Guerra tra poveri e giochi al ribasso non giovano a nessuno.

E’ anche a questo scopo che ogni settimana, per ora solo il martedì pomeriggio, troverete aperta la vetrina del “Bulli e Pupe”, al centro di Calle Larga Ca’ Matta. Questo spazio di proprietà dell’ATER, storica sede del comitato abitanti occupato da un paio d’anni, vuole diventare un punto di riferimento per tutte le problematiche e le proposte di chi vive Santa Marta, un luogo dove incontrarsi e stare assieme, all’insegna della gratuità e del mutuo appoggio.

Siamo aperti ad ogni tipo di iniziativa: dall’assistenza legale alle riunioni di condominio, dalle feste per bambini ad ogni iniziativa volta a vivere meglio il nostro quartiere.

Veniteci a trovare! Ogni martedì dalle 14 alle 19 al Bulli e Pupe.


 Occupanti dell’ex Ospizio e di alcune case di Santa Marta