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Il mostro sotto casa

Dal 1 gennaio Finmeccanica, la prima azienda italiana nella produzione di armamenti e tecnologie di guerra, ha cambiato nome in Leonardo. Un’ operazione di re-branding che, assieme a una riorganizzazione interna delle proprie “divisioni operative”, punta a rilanciare ulteriormente la holding nel mercato della morte industriale.

A Tessera, a due passi dall’aeroporto della “città più bella del mondo”, Leonardo assembla e collauda gli elicotteri NH90, in uso presso la quasi totalità delle forze armate europee, a ritmo di 22 esemplari all’anno. Il contratto stipulato con il solo esercito italiano, per la produzione di 117 velivoli, ammonta a 3,2 miliardi di euro.

L’NH90 è un’arma richiesta per la sua estrema versatilità: è infatti in grado di bombardare obiettivi marini e terrestri, oltre ad essere facilmente convertibile al trasporto delle truppe. Dal 2012 è un mezzo stabilmente impiegato in Afghanistan e, più recentemente, ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove ha lo scopo di proteggere gli affari della ditta italiana Trevi nel controllo delle locali risorse idriche. Oltre all’NH, il polo di Tessera (ex Officine Aeronavali) provvede alla manutenzione dei C 130, gli aerei da trasporto utilizzati, tra le altre cose, nell’operazione Enduring Freedom del 2001.

Negli ultimi mesi, a fronte della possibilità di licenziamento di alcuni dipendenti di Leonardo, Sindaco, opposizione e sindacati confederali hanno ribadito la necessità degli investimenti della multinazionale delle armi nel veneziano, definendola importante e strategica non solo a livello locale.

Ciò che chiamano lavoro, innovazione e ingegno non è che l’altra faccia di quel massacro organizzato chiamato guerra, un business della morte organizzato e reso sempre più efficiente a pochi passi dalle nostre vite sicure.

Le vittime delle guerre non hanno mai nomi, ma i loro assassini per fortuna sì. Per conoscerli, a volte, basta guardare dietro l’angolo.


Due sabati

Lo scritto che segue è un breve resoconto delle due iniziative messe in campo a Vicenza sabato 28 gennaio e il successivo 4 febbraio. Appuntamenti che hanno dato buoni spunti come sollevato criticità importanti, da cui sarà necessario partire per continuare ad organizzarsi attorno a ciò che succede dentro e fuori il carcere di San Pio X.

Il 28 gennaio ci si è ritrovati a Campo Marzio, ampio parco prospiciente alla stazione dei treni, al contempo punto di grande passaggio e luogo di forte presenza poliziesca. In questa zona, recentemente, sono stati intensificati controlli e retate ai danni dei tanti “irregolari” che la popolano. Negli ultimi due mesi, sono stati almeno 4 i rastrellamenti compiuti dagli uomini dell’appena insediato questore Petronzi, personaggio fin troppo noto per essere stato uno dei principali persecutori del movimento No Tav e dei compagni torinesi. 
Per tutti questi motivi venire qui a parlare di ciò che succede al San Pio X ha avuto molto più senso che altrove: chiameremo carcere non solo le mura che ne ospitano l’istituzione, ma anche tutte quelle maglie di repressione e sfruttamento che portano le celle a riempirsi.
Tramite volantini e microfono si sono ricordate le più recenti problematiche del penitenziario berico: i tre tentati suicidi in due giorni di metà novembre, il suicidio riuscito di Carlo Helt avvenuto appena dieci giorni prima, l’ormai confermata esistenza di una squadretta punitiva di secondini (denominata il “Nucleo”), che si avvale della collaborazione di alcuni infami per “regolare i conti” con i più intransigenti. Il tutto sotto l’egida e la protezione del comandante delle guardie Giuseppe Lo Zito, sindacalista CGIL, già indagato nel 2014 per maltrattamenti e pestaggi ai danni di alcuni detenuti dello stesso carcere. Fatti per i quali oggi 4 agenti della penitenziaria saranno processati con l’accusa di “abuso d’autorità”.
Sabato 4, sotto una pioggia battente, un imponente dispositivo poliziesco ha di fatto impedito l’avvicinamento di qualsiasi solidale al perimetro del carcere. Unico spazio “concesso” per montare l’impianto del presidio una piazzola-parcheggio distante diverse centinaia di metri dalle mura della struttura, troppo distante per pensare di farsi udire in qualche modo dai reclusi. Un’imposizione provocatoria che si è deciso di evitare, preferendo sbucare “a sorpresa” in centro città per guastare la quiete del sabato pomeriggio nella pettinata Vicenza con megafonate, volantinaggi e striscioni in solidarietà ai prigionieri del San Pio X
Una scelta, quella della questura, che esprime chiara la volontà di impedire con ogni mezzo qualsiasi contatto con la popolazione detenuta. Una scelta che si può interpretare con il fatto che, molto probabilmente, al San Pio X vi sono dei grossi punti oscuri non ancora noti, oltre ai problemi già sopracitati.In ultima analisi una presa di posizione netta contro la quale, nei prossimi tempi, sarà necessario attrezzarsi adeguatamente. Consapevoli che l’unica arma che impensierisce chi vorrebbe tenere il carcere di Vicenza sotto una coltre di silenzio è la solidarietà diretta e senza mediazioni.