Monthly Archives: Marzo 2016

Novità dalle alpi

Pubblichiamo qui alcuni estratti di una testimonianza arrivata dal carcere di Belluno, che da più di un ragguaglio sulla rivolta di sabato 28 febbraio .

Belluno 25 febbraio

Ciao ragazzi, come state? Ho ricevuto la vostra lettera oggi, ma le altre ancora no…
Siete stati grandi e calorosi nuovamente con la vostra solidarietà. Dove vi siete messi l’ultima volta purtroppo non vedavamo nulla, ci sono le finestre che sono chiuse e saldate, ma potevamo solo sentirvi ragazzi miei…
Qui ci sono state alcune battiture, hanno fatto diverse proteste e hanno incendiato i materassi. Celle a fuoco e tutti all’aria. Non una sola, ma ben 4 celle diverse e quella sera è venuto anche il provveditorato di Belluno in carcere a vedere cosa hanno fatto.
Ci sono stati trasferimenti a Trento di alcuni detenuti. In tutto 16 trasferimenti fino ad oggi [ 25/3], uno ogni tre giorni… e sono andati a Vicenza, Verona, Padova, in Sardegna, Bolzano, Trieste e Vercelli.
Sono state tirate le bombole del gas come molotov… olio caldo addosso agli agenti, la notizia è uscita sul Corriere delle Alpi di Belluno.
Poi ci sono state rivolte con gli agenti, i detenuti con pentole, ferri dei tubi dell’acqua e loro con scudi e caschi e manganelli. Sono arrivati con gli idranti e anche i carabinieri di Pordenone e la polizia, saranno state 150 guardie contro quasi tutti con tavole e sedie che volavano e materassi bruciati. E’ successo proprio di tutto!
Spero al più presto di vedervi ancora più calorosi!
Un abbraccio e continuate così

baldenich lato

 


Metti un sabato a Rovigo

Giornata impegnativa per la questura rodigina, quella di sabato 19 marzo.

Centro completamente blindato, negozi e attività chiuse su tutta via Mazzini, celere schierata e digos in assetto molesto per tutta la durata del presidio sotto al vecchio carcere di via Verdi, una struttura in via di dismissione vista l’imminente apertura di una nuova galera da duecento posti (estendibili a quattrocento).

Calorosa, almeno in un primo momento, la risposta dei ragazzi dentro: le urla si fanno sentire tra le mura di una città resa deserta dal massiccio schieramento di polizia. I numerosi interventi che si sono susseguiti hanno raccontato le rivolte che hanno preso vita negli altri penitenziari della regione, la prossima giornata di mobilitazione contro carcere e 41bis del 16 aprile e la funzione di “valvola di sfogo” che il nuovo carcere cittadino ricoprirà nell’immediato futuro. Uno striscione è dedicato anche alla Uil-Pa (ci si trova proprio sotto la sede), e ai suoi interventi per mettere a tacere le rivendicazioni dei detenuti di Santa Maria Maggiore lo scorso settembre, cercando di strumentalizzarle a vantaggio dei secondini.

Da segnalare il maldestro intervento di Massimo Bergamin, il sindaco leghista di Rovigo, che, non senza un’ammirabile nonchalance, tenta di avvicinarsi al presidio per instaurare un improbabile dialogo su solo lui sa cosa. Dopo essere stato allontanto, definirà, con mirabile sintesi di linguaggio,  dei “mona”i partecipanti alla manifestazione.

Qui di seguito trovate il testo del volantino distribuito:

Un nuovo carcere, un altro carcere.

A Rovigo è da poco terminata la costruzione del nuovo carcere. Recentemente inaugurato con i suoi 200 posti estendibili a 400, si appresta a diventare uno dei penitenziari più grandi della regione. Nonostante i fasti della cerimonia inaugurale, la struttura non aprirà i battenti prima della prossima estate. La funzione riservata a questa piccola “grande opera” costata 29 milioni di euro sta nel fare da valvola di sfogo a una situazione in continua ebollizione.

Le carceri del Veneto versano infatti in una situazione di sovraffollamento inumano che nell’ultimo anno, è stata tra le cause principali di proteste portate avanti dai detenuti, sfociate in alcuni casi in vere e proprie rivolte. A Venezia, a Verona, ma anche a Belluno e Vicenza i reclusi hanno dato vita a mobilitazioni sia spontanee che organizzate, dimostrando che, dentro come fuori, l’unica libertà possibile e desiderabile è quella che risiede nella lotta stessa.

La risposta delle amministrazioni carcerarie, accanto ai provvedimenti disciplinari, è stata quella di trasferire i detenuti più attivi in altre prigioni, cercando di recidere i legami di solidarietà instaurati e allontanando le persone dai propri familiari e affetti. Provvedimenti odiosi, ma che non sono stati in grado di fermare la voglia di alzare la testa di chi è dentro; tant’è che le proteste, lungi dall’essere cessate, si sono diffuse in altre strutture.

Un carcere tutto da riempire, all’avanguardia e lontano dal centro abitato, è lo strumento perfetto per governare ogni possibile eccedenza di un sistema che, nel prossimo futuro, dovrà presentarsi ancora più solido ed efficiente.

L’apertura di una nuova galera non può essere una “festa” (per usare le parole del ministro Orlando), e nemmeno la soluzione di un problema endemico e radicale, che va al di là del freddo conteggio dello spazio vitale di un individuo.

Narrazioni pericolose.

Negli ultimi mesi le uniche notizie riguardanti la situazione interna al carcere di Rovigo sono giunte dalle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria. Queste sigle (Sappe, Osapp, Uilpa) lamentano le drammatiche condizioni in cui si troverebbe a operare il personale di custodia e, dall’inizio di gennaio, hanno indetto uno stato di agitazione che si è concretizzato nell’astensione dalla mensa per alcuni giorni e in una manifestazione per le vie della città. A ciò si aggiunga che, nella storia raccontata dalle organizzazioni sindacali, la nuova struttura sarebbe già infestata dai topi e compromessa dalle infiltrazioni d’acqua ancor prima di essere riempita.

In tutte queste narrazioni, che hanno trovato ampio spazio sui giornali locali, non vengono mai menzionati i detenuti, se non per urlare allo scandalo quando il personale di custodia è protagonista di qualche screzio o per lamentarsi delle loro “eccessive” libertà di movimento all’interno del carcere. Un copione che abbiamo visto inscenare già a Venezia, dove i sindacati di polizia penitenziaria hanno cavalcato le proteste dei reclusi per far ottenere alle proprie istante maggiore visibilità. Un mezzuccio che, se da una parte mette a tacere la voce di chi da dentro si ribella, è utile a trasmettere l’idea di un carcere dove tutti stanno male allo stesso modo e dove la rabbia dei detenuti può essere concertata come un orario lavorativo.

Sappiamo che la realtà è ben diversa, che nessuna pace può esserci tra chi rinchiude e chi è recluso, tra servi e sfruttati di questa società!

Strumentalizzazioni simili concorrono al progressivo affermarsi dei sindacati di polizia come forza politica vera e propria. I recenti connubi tra le sigle di cui sopra e partiti come la Lega di Salvini, sempre pronta a sostenere chi fomenta la guerra tra poveri per fini elettorali, rappresentano una pericolosa novità di cui è impossibile non tenere conto, anche quando si parla di detenzione.

Una riorganizzazione al passo con i tempi.

La costruzione delle nuove strutture, e l’ampliamento di quelle esistenti, prevista dal piano carceri del 2009 è quasi completata. In più, nella seconda metà del 2015, il piano straordinario per le carceri ha subito un’accelerazione con raffiche di bandi e gare d’appalto che a dicembre hanno sfiorato i 60 milioni destinati al prossimo e incessante ampliamento di numerosi istituti da Nord a Sud della penisola.

In linea parallela si sta facendo sempre più ricorso a forme di detenzione alternative: il rapporto tra carcerati e detenuti ai domiciliari è passato da 1 a 4 a 1 a 1 e continua a venire incoraggiato l’uso di queste misure per pene inferiori ai quattro anni.

Nel campo della detenzione amministrativa molti centri di identificazione ed espulsione (C.IE.) sono al momento in via di ristrutturazione, dopo essere stati dati alle fiamme dai reclusi, e sono in cantiere altrettanti “hotspot” che assumeranno a tutti gli effetti caratteristiche di centri di smistamento, molto simili a dei lager. Di fatto, queste nuove strutture di detenzione amministrativa renderanno più facili le procedure di identificazione, schedatura (con tanto di prelievo di impronte digitali) ed espulsione dei migranti non inclini a conformarsi alle leggi dei “democratici” paesi europei.

La cosiddetta “emergenza terrorismo”, ovvero ciò che rappresenta il ritorno della guerra in casa nostra, allarga i suoi orizzonti e sembra direzionarsi verso l’estensione del paradigma di detenzione amministrativa anche ad altre categorie, oltre ai migranti, sulla base non di prove ma di semplici indizi.

Dalla stessa motivazione parte anche l’esigenza di razionalizzare le sezioni ad “alta sicurezza” presenti in molte carceri, accorpandole e manifestando sempre più la tendenza di istituire nuove prigioni ad esclusivo regime “speciale”.

Ciò che si va prospettando è un futuro in cui sarà il carcere stesso ad uscire dalle mura, a diffondersi in altri luoghi e ad assumere connotati inediti.

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A questo link trovate invece un contributo dei compagni e delle compagne di Out On Polesine sulla giornata:

http://outonpolesine.altervista.org/prigioni-di-parole/


Mira-ggi di sgombero

Via Borromini 7, Mira. Una palazzina occupata che, da anni, è al centro delle cronache della Riviera. Prima per le intemperanze degli assistenti sociali del comune, che a più riprese hanno minacciato gli occupanti con figli di togliere loro la patria potestà, poi con l’iniziativa, spinta dalla giunta 5 stelle, di sventrare la strada antistante per tagliare l’allacciamento alla rete idrica.

Una situazione che si trascina da più di tre anni e che trovate riassunta nel Volantino scritto all’epoca dei fatti da un’assemblea solidale.

Ultima minaccia, in ordine di tempo, di sgombero dello stabile era fissata per ieri, 16 marzo. Dalla mattina un picchetto composto da amici e solidali degli occupanti presidia l’ingresso dell’abitazione. Dopo mezzogiorno, cogliendo l’occasione dell’allontamento di alcuni solidali, interviene in forza la polizia locale, con un inedito armamentario di caschi, scudi e spray al peperoncino. Scortano la ditta incaricata di lamierare porte e finestre degli appartamenti.

Giunti sul retro della casa, mentre gli operai provano a chiudere le finestre di un appartamento “per questioni di emergenza sanitaria” (senz’acqua, del resto…), la determinazione del picchetto appena ricomposto fa tornare la polizia a più miti consigli. Non sarebbe stato sicuro proseguire, dichiareranno poi ai giornali.

Ad andarsene a testa bassa, ieri in via Borromini, sono stati solo gli operai e gli agenti incaricati di proteggerli.

borromini

Di seguito il testo di cui sopra, scritto ormai tre anni fa ma che ben illustra la situazione:

Nel corso del 2012 molti comuni della Riviera del Brenta, e tra questi il comune di Mira, si sono dovuti confrontare con la cosiddetta “emergenza casa”.

Le richieste di partecipazione al bando per l’assegnazione di alloggi popolari, a cadenza biennale, sono state più del doppio di quelle del 2010.

Altrettanto numerose sono state le richieste di contribuiti da parte di famiglie per riuscire a pagare l’affitto e non essere considerati morosi. La morosità è infatti una di quelle condizioni che preclude l’accesso alle graduatorie per vedersi assegnata una casa.

Nel 2010 un cittadino mirese, rimasto senza abitazione ed esasperato dai tempi infernali delle gradutatorie, ha condotto una singolare protesta portando tutti i mobili di sua proprietà in sala del consiglio comunale.

A fronte di centinaia di persone che, soffocate dalle condizioni di crisi imposte da padoni e banchieri, necessitano di una casa, ad oggi nel solo territorio comunale di Mira sono presenti 82 alloggi pubblici non assegnati e ben 947 appartamenti di privati lasciati vuoti.

E’ in questo contesto che nel giugno scorso quattro famiglie senza casa hanno deciso di occupare quattro appartamenti in via Borromini 7. Un edificio di proprietà comunale composto da dodici vani, tutti lasciati vuoti ed in stato di abbandono.

Gli occupanti hanno fin da subito reso pubblica la loro scelta attraverso volantinaggi e presidi informativi. Non nascondendo le loro condizioni e i loro bisogni, comuni a quelli di molte altre persone e famiglie, gli occupanti sono riusciti così a squarciare quella cappa di disperazione, vergogna e isolamento in cui spesso si racchiude chi si trova ad affrontare dei problemi.

Purtroppo, come spesso succede in una politica che non sa rappresentare più nulla se non sé stessa, la giunta grillina del Comune di Mira ha dimostrato tutto la sua incapacità e il suo infantilismo nell’affrontare la situazione.

Schermandosi dietro una legalità sorda e cieca, la soluzione più semplice per chi non è in grado di scendere dagli scranni del potere per guardare la realtà, la giunta e il sindaco Maniero hanno prima proposto alle madri e ai figli occupanti la collocazione presso una comunità d’accoglienza (di fatto dividendo il nucleo famigliare), in seguito hanno loro offerto una somma di denaro ridicola per lasciare il Paese (metà degli occupanti sono cittadini italiani…).

Al rifiuto da parte degli occupanti di queste umilianti proposte, il sindaco ha pensato bene di sventrare la strada davanti alla palazzina, tagliando con una ruspa la fornitura idrica in pieno agosto.

Un gesto disumano a cui è seguita la disumana persecuzione perpetrata dagli assistenti sociali del comune, nella persone della sig.ra Squizzato, che, riscontrata la mancanza di condizioni igieniche adeguate (senz’acqua, del resto…) ha spinto per togliere la patria potestà alle famiglie.

Potevamo pretendere maggiore sensibilità da parte di una giunta presieduta da un ragazzo di 26 anni e dalla sua amministrazione a 5 stelle?Probabilmente sì, anche se di certo non possiamo aspettarci che Alvise Maniero, che può permettersi di tenere vuota una casa di sua proprietà a Mira, o personaggi come Gino Biasiolo, che alla giusta rabbia degli occupanti in consiglio comunale risponde con “Che me ne frega, io di case ne ho tre”, si immedesimino nella situazione di chi non ha più un tetto sopra la testa.

Con il passare dei mesi si è costituita un’assemblea di sostegno agli occupanti, che sta riscuotendo crescente simpatia tra Padova e Venezia. Un’assemblea nata per ribadire la necessità, di fronte all’incapacità e agli interessi della politica, di prendersi ciò di cui si ha bisogno senza aspettare.

Appoggiamo via Borromini 7 augurandoci che tanti, nei prossimi tempi, non scelgano la disperazione e l’isolamento ma provvedano da soli alle proprie necessità.

L’acqua e un tetto ci servono subito, per la legalità possiamo aspettare

LA CASA SI PRENDE E SI DIFENDE!


Carceri a Rovigo

Una gabbia di ferro e cemento, ancora vuota, con vista sulla tangenziale.

Una trentina di milioni di euro per edificare l’ennesimo luogo di isolamento e rassegnazione nel paesaggio urbano: il nuovo carcere di Rovigo.Una struttura che quando aprirà i battenti, con i suoi 200 posti estendibili a 400, diventerà la prima “soluzione” ai problemi degli altri penitenziari della regione.

In tutto questo l’unica narrazione che è riuscita a imporsi è quella del Sappe, il meschino sindacato di polizia penitenziaria che, negli ultimi mesi, non ha risparmiato lagne sulle proprie condizioni lavorative, sul ritardo nella consegna della nuova struttura e sullo stato delle proprie divise.

Eppure le mura di Vicenza, Verona, Venezia e Belluno ci hanno raccontato un’altra storia. La storia di chi smette di avere paura delle sbarre e delle guardie, di chi si organizza per ribellarsi a uno stato di cose intollerabile e umiliante.

Abbiamo deciso di portare quelle voci anche a Rovigo, per espanderne l’eco.

Perchè nessun nuovo carcere può essere una soluzione. Perchè, dentro come fuori, l’unica libertà possibile è nella lotta contro questo presente.

Sabato 19 marzo, dalle ore 14.30 sotto al carcere di via Verdi con musica e microfono aperto, per un pomeriggio di solidarietà a tutti i reclusi.

ROVIGO WEB

Versione stampabile del manifesto qui CARTEL ROVIGO