Monthly Archives: Gennaio 2016

Sovraffollamenti

Secondo le ultime indiscrezioni i detenuti rinchiusi nel carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia, sono passati dai 340 di luglio, mese in cui sono iniziate le proteste, a 210. Trasferimenti e scarcerazioni di cui si sarebbe interessato in prima persona il Ministero dell’Interno, dopo le interrogazioni parlamentari presentate a seguito delle rivolte estive.

Un palliativo senza dubbio frutto delle lotte intraprese che, lungi dal risolvere i problemi strutturali del penitenziario, va inteso anche come un mezzo per scoraggiare altre insubordinazioni. Gli “sballati” sarebbero stati scelti tra coloro che intrattenevano meno legami, amicali e di parentela, con la città lagunare, ma sappiamo per certo che alcuni dei trasferiti sono stati tra i più attivi durante le battiture e gli scioperi passati.

Almeno quaranta ragazzi sono stati trasferiti al Baldenich, il carcere di Belluno, una struttura periferica che, fino al mese scorso, contava non più di 70 reclusi.

Altro fronte caldo per i trasferimenti, nel prossimo futuro, potrebbe essere il nuovo carcere di Rovigo, con 400 posti appena inaugurati ma non ancora attivi.

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Non si uccide così una citta?/ Movida alla Scomenzera

L’11 gennaio scorso il Sindaco Brugnaro ha, tramite una dichiarazione a mezzo stampa, di fatto aperto la strada allo spostamento della movida da Santa Margherita alla zona della Marittima, più precisamente nella striscia di terra (al momento inutilizzata) che costeggia il rio della Scomenzera.
Ne avevamo già dato notizia qui, perchè l’intenzione era già stata espressa associandola alla necessità di vietare cortei che partissero da quella zona della città, assimilando le manifestazioni politiche al divertimento notturno.
Prima di passare ad analizzare le possibili conseguenze di un progetto del genere che, per ora, rimane pura propaganda, pensiamo sia necessario dare un breve sguardo a ciò che è diventato oggi Santa Margherita, ovvero il frutto di precise politiche di zonizzazione e di ghettizzazione della vita studentesco-giovanile a Venezia.

Nella seconda metà dell’800 Santa Margherita è una zona pesantemente degradata, attraversata dal Rio della Scosassera, una cloaca a cielo aperto che raccoglie i rifiuti delle aree più povere e malmesse della città, situate tra l’Angelo Raffaele, i Mendicoli e la futura Santa Marta. Alla fine del secolo il Rio viene interrato per motivi di igiene e, tra la costruzione della Stazione e di Piazzale Roma negli anni 30 del 1900, il Campo diviene un nodo nevralgico nelle geografie della parte occidentale della città.
Storico punto di ritrovo di repubblicani e socialisti, ospiterà nelle sue vicinanze la prima Camera del Lavoro di Venezia, mentre l’Osteria “Al Capon” resterà, negli anni di ascesa della camicie nere, il luogo di ritrovo degli antifascisti cittadini. Per i fascisti Santa Margherita diviene l’incarnazione del mito del nemico, tanto che gli squadristi veneziani gli affibbiano il nome di “Repubblica”. Dopo la marcia su Roma la Camera del Lavoro viene incendiata, l’Osteria al Capon chiusa e la Casa del Boia (il piccolo edificio quadrato al centro del Campo) trasformata in “Casa del Fascio”, arrogante monito per chi, fino al giorno prima, osava accogliere i fascisti di passaggio a colpi di pistola.
All’oggi la Casa del Boia è sede del presidio permanente della Polizia Locale.
Nel dopoguerra il Campo diventa uno dei ritrovi degli studenti veneziani, centrale rispetto a molti licei e istituti superiori, nonchè alle principali sedi di Ca’ Foscari, IUAV e Accademia della Belle Arti. “Uno dei ritrovi” poichè, fino a metà degli anni 2000, l’università è ancora diffusa in tutta la città e, con essa, i luoghi di ritrovo giovanili: le sedi sono a Dorsoduro, ma anche nei pressi di San Giacomo, in Strada Nova e persino alla Celestia. Lo caratteristica urbanistica interclassista di Venezia fa sì che campi come Santo Stefano, San Bartolomeo o l’Erberia, ora esclusivo appannaggio di ricchi e turisti, siano per molti anni luoghi di incontro e di divertimento serali, integrati con le esigenze degli abitanti storici.
Con l’aumento vertiginoso dei flussi turistici appare necessario differenziare i pecorsi e le zone di interesse, per procederne ad una mercificazione più capillare: nasce, di fatto, un “centro” cittadino a ridosso dell’area marciana, in una città per sua natura policentrica, a vocazione esclusivamente commerciale e turistica. Nel contempo vengono chiusi (e spesso svenduti) i palazzi storici delle università più lontani dal sestiere di Dorsoduro, concentrando ancora più corsi e classi nelle sedi attigue a Santa Margherita.
Tagliando le definizioni con l’accetta, ciò che si va a creare nei primi anni 2000 è una vera e propria zona universitaria tra Santa Marta e l’Accademia, comoda da raggiungere per un numero crescente di studenti pendolari ma, nei delicatissimi equilibri urbani, sempre più scollata dai ritmi dei suoi abitanti. Questa mutazione coinvolge, da vicino, la vita stessa degli studenti: i legami con la città diventano sempre più rari e occasionali, l’esperienza rinchiusa in percorsi obbligati sempre uguali e distanti da quelli di chi, invece, a Venezia risiede da anni.
Gli altri luoghi di incontro si svuotano, di persone e di senso, mentre chi si ostina a rimanere viene combattuto a suon di ordinanze anti-degrado e anti-rumore. E’ questo il caso dell’Erberia di Rialto, o di una frequentata osteria nei pressi di San Giacomo, prima chiusa per “schiamazzi” e poi riaperta con pesanti limitazioni di orario. Fatti che portano tutta una fascia giovanile, che, a Venezia, è composta quasi totalmente da universitari o ex-studenti, a trascorrere le proprie serate a Santa Margherita, l’unico campo dove si può trovare un bar aperto dopo le 23.
Attualmente, nella sola superficie del Campo, risultano aperti 11 locali, la metà dei quali inaugurati negli ultimi dieci anni. Una concentrazione di esercizi commerciali senza pari in città.

Negli ultimi anni di Santa Margherita si è parlato soprattutto in termini di degrado e pericolosità. Le inevitabili conseguenze di una piazza sacrificata alla “movida” (risse, piccolo spaccio, sporcizia) vengono combattute con retate anti-droga (con risultati, spesso, ai limiti del ridicolo), presidi fissi di polizia e persino iniziative di privati cittadini, come l’installazione di cancellate chiuse a chiave nelle calli attigue. L’intera superficie del campo è videosorvegliata e, specialmente nei periodi di maggiore afflusso, non è raro imbattersi in reparti anti-sommossa schierati preventivamente. Un ghetto nel quale farsi rinchiudere assieme al proprio desiderio di uscire la sera.

Come al solito, la soluzione proposta è parte del problema che si cerca di risolvere: deportare i locali e i loro avventori nell’unica striscia di terra non ancora urbanizzata, distante dalla città ma comoda in relazione agli spazi disegnati dalla città universitaria. L’idea di un “distretto del divertimento” in Rio della Scomenzera è la perfetta continuità delle politiche di ghettizzazione e allontamento delle eccedenze degli ultimi anni, il naturale proseguimento del progetto del “Campus Santa Marta”, i cui lavori dovrebbero iniziare la prossima estate. Oltre che a un comodo gettone per l’Autorità Portuale, istituzione che, come abbiamo già avuto modo di far notare, agisce per la prima volta in totale accordo con il Comune.

Qui sotto, in foto, l’opera di qualcuno che ci aveva visto lungo.

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The bridges of Gentrification, with(out) graffiti

Parlare di gentrification a Venezia può, molto spesso, essere fuorviante. Più che a un “imborghesimento”, a un’espulsione di abitanti originari ad opera di una nuova classe più abbiente, quello a cui quotidianamente si assiste è la sostituzione di una popolazione (residente o meno) cittadina con una turistica. Un fenomeno molto specifico, che avremo modo di approfondire e analizzare.
In alcuni pezzi di città, tuttavia, il concetto tradizionale di “gentrification” resta ancora valido per capire al meglio la portata dei cambiamenti in corso. La zona di San Basilio e della Stazione Marittima, adiacente al popolare quartiere di Santa Marta, è una di queste.
La vecchia giunta comunale aveva a più riprese manifestato l’intenzione di far arrivare una linea del tram fino a San Basilio, convertendo l’attuale Stazione Marittima in un grande terminal tranviario con servizi annessi. La giunta attuale, per la prima volta in sintonia con la presenza e i progetti dell’Autorità portuale in centro storico, pur accantonando il prolungamento della linea del tram, dichiara, nella persona del Sindaco, di voler spostare in quell’area la “movida” di Santa Margherita, da tempo invisa ai residenti.
Una vita notturna, s’intende, limitata alla fruizione di qualche baretto a prezzi spropositati ma che, a seguito di precise politiche di zonizzazione delle aree cittadine, è diventata in pochi anni prerogativa esclusiva del “Campo”, con le inevitabili coneguenze del caso.
Nell’offerta di quel parco commerciale che è diventato il centro storico veneziano manca proprio un “distretto del divertimento” rivolto a giovani turisti e studenti fuori sede che, per gustare un aperitivo all’ultima moda o ballare al ritmo di musica elettronica, devono oggigiorno recarsi nei locali della terraferma a Mestre e Marghera.
Ma perché proprio a san Basilio, quando in passato tentativi in tal senso sono già stati attuati all’Arsenale o al Tronchetto tramite eventi organizzati ad hoc? L’area in questione è caratterizzata da un basso numero di abitanti, dalla presenza di grosse sedi universitarie dello IUAV e di Ca’ Foscari, dal Porto, da un gran numero di posti auto. Un luogo in grado di garantire una costante presenza di flussi, con la possibilità di aprire nuove attività commerciali in edifici esistenti e in nuove cubature edificabili, senza arrecare troppo disturbo. Una prerogativa pressoché unica in una città già completamente urbanizzata nella sua parte insulare, dove le uniche aree “vuote” meritevoli di riqualificazione sono quelle lasciate dalla dismissione di parte dell’attività portuale.
Curioso che la vocazione al “divertimento” di San Basilio e della Marittima sia stata indirettamente suggerita da momenti di convivialità auto-organizzati. Nel 2008 il movimento studentesco, organizzò le prime feste, autorizzate e non, tra i vecchi docks del Porto, da pochi anni adibiti ad aule dalle università. Da quell’anno trovarono spazio di espressione diversi eventi musicali, anche non prettamente concordati con le autorità competenti: dai concerti delle associazioni universitarie all’approdo “selvaggio” dei tradizionali carretti carnevaleschi che, sfruttando la presenza di vicini eventi ufficiali, non di rado sottraeva pubblico a questi ultimi.
Veniamo ora al primo “ponte” tangibile lanciato alla realizzazione di questo progetto: l’apertura dell’evento collaterale della Biennale d’arte, in programma da maggio a novembre 2015, denominato the Bridges of Graffiti.
Questo evento temporaneo ha trovato spazio all’interno della stazione marittima, nella parte più vicina alle sedi universitaria, ribattezzata per l’occasione Arteterminal. L’ambiente, caratterizzato dalle opere di dieci artisti internazionali (che per l’occasione hanno anche collaborato per creare un murales collettivo), è diventato un vero e proprio locale da aperitivi e dj-set sotto le insegne della prestigiosa esibizione artistica.
Gustosto notare come l’inaugurazione di questo spazio, che dal nome richiama esplicitamente la street art e all’interno del quale si poteva assistere a talks sul writing, abbia coinciso con la pulizia delle innumerevoli scritte e murales che caratterizzavano il muro della Marittima.
Bridges of Graffiti ha solamente avuto la funzione di testare, con un progetto temporaneo e, almeno nella sua fase di insediamento, discreto, la validità di investimenti futuri. Il nuovo campus per studenti di Santa Marta, i cui inizio lavori è previsto per la prossima estate, creerebbe di fatto la domanda di un distretto del divertimento raggiungibile comodamente, meglio se distante dal centro monumentale e turistico.

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