Monthly Archives: Ottobre 2015

Tredici

Dopo un mese di relativa tranquillità nel carcere veneziano, il totale dei fogli di via notificati (tra effettivi e avvii di procedimento) è arrivato ormai a tredici.

Tutto fa pensare che il numero sarà destinato a crescere nei prossimi giorni.

In attesa di possibili risposte e mobilitazioni in proposito qui sotto trovate scaricabili un manifesto e la versione stampabile del testo  sul momento .

paginato verticale.indd


Chi viene e chi va

Oggi un altro avvio di procedimento per foglio di via è stato notificato a un compagno non residente a Venezia. Fin’ora sono otto i provvedimenti di allontanamento dal Comune notificati per i fatti relativi al 29 e al 30 luglio scorso (5 effettivi e 3 in avvio).

Appare ormai chiara la volontà della questura di tenere lontani dalle mura del carcere non solo chi è abitualmente attivo in città ma anche tutti coloro che, potenzialmente, potrebbero portare da fuori solidarietà alla lotta dei detenuti.

Nel frattempo, dopo un sospetto silenzio, sono riprese a uscire notizie dall’interno: pare che alcune condizioni siano migliorate, che molti più ragazzi abbiano accesso ai luoghi di lavoro e che sia persino arrivato qualche soldo di sussidio. In un articolo apparso su un quotidiano locale, datato 10 ottobre, il ministro della giustizia in persona promette “attenzione” sulla situazione di Santa Maria Maggiore, sdrammatizzando sulla situazione di sovraffollamento. In fin dei conti, dopo i trasferimenti seguiti alla protesta, i detenuti hanno ben 3 metri quadri di spazio personale a testa, di che si lamentano?

Da novembre, inoltre, è annunciato l’arrivo di nuovi secondini freschi di addestramento, per supplire alle tanto lamentate carenze di organico.


Sul momento

“Considerato altresì che la prevenuta persona pericolosa per la sicurezza pubblica si trova fuori dal comune di residenza e a Venezia non svolge alcuna attività lavorativa, nè ha beni o leciti interessi o altro valido motivo che giustifichi la sua presenza”

E’ questa la formula rituale con la quale le Questure, in assenza di condanne definitive e persino di una chiusura delle indagini, allontanano dal territorio di propria competenza le persone sgradite.
Nel linguaggio poliziesco si chiama “foglio di via”.
Sono sette i fogli di via emessi dal Questore di Venezia nei mesi scorsi, ai danni di compagni e compagne che hanno manifestato in vari modi la propria solidarietà ai detenuti di Santa Maria Maggiore, impegnati in una lotta contro le pessime condizioni detentive e gli abusi dell’amministrazione penitenziaria.
Momenti di lotta importantissimi, durante i quali si sono intessuti legami e complicità inaspettate, durante i quali l’isolamento e la solitudine, fondamenta del sistema carcere, sono sembrati vecchi ricordi di cui ridere.
Momenti che hanno inceppato, anche se sempre per troppo poco, il dispositivo carcere, mostrandolo per la sadica fabbrica di torture e rassegnazione che è sempre stato.

Ovunque il Capitale disegna le proprie geografie, visibili e invisibili. Videosorveglianza, retate, gentrificazione, galere e Cie tracciano le rotte dei flussi mercantili, costantemente presidiati dalla polizia affinchè nulla turbi il loro scorrere. Dove la vita si manifesta nella sua più intima ingovernabilità la polizia erige confini, barriere valicabili solo da chi si ritiene utile, da chi si è identificato.
“Ogni sbirro è una frontiera”, più che uno slogan, sembra essere l’odiosa quotidianità di un numero sempre maggiore di persone, lì dove chi si è diventa la discriminante tra il poter camminare liberamente per strada e l’essere denunciato, incarcerato o deportato in un centro per averlo fatto.
Rendere illegale la permanenza nello spazio pubblico significa rivendicarne il totale governo, ambire alla completa gestione della vita che lo attraversa. Una posta in palio che va oltre l’incostituzionalità di un foglio di via o la rivendicazione di un diritto alla cittadinanza.

Parallelamente al Capitale, chi si organizza per attaccarlo, o semplicemente per sopravvivergli, trova anch’esso le proprie geografie. Case occupate, strade discrete, vicini solidali, rifugi estemporanei e complicità sovversive.
Erigere un confine significa tagliare queste rotte, frapporsi tra l’individuo e il suo mondo ponendone delle condizioni di accesso.
Se sei produttivo e lavori sotto salario, se hai una residenza rintracciabile, se la liceità dei tuoi interessi è comprovata ti è concesso rimanere, fino a nuovo ordine.
La legalità dell’abitare è sottomessa al suo essere economia, nell’accezione più ampia del termine.
In una città dove ci sono più alberghi che case rivendichiamo il nostro abitare illegalmente, la possibilità di vivere ovunque si trovino dei validi motivi per farlo.
Rivendichiamo l’improduttività economica delle nostre vite, tutti i nostri illeciti interessi, la criminalità dei nostri affetti, la pericolosità di pensare di poter fare a meno di prigioni e carcerieri.
Il foglio di via non è altro che un confine, l’ennesimo e più labile di altri, tra una presenza non giustificata e un mondo sempre più assente da sè stesso, popolato di estranei.
Il momento attuale ce lo insegna chiaramente: ogni qual volta si incontra un confine si può trovare la forza necessaria per abbatterlo, svelandolo in tutta la sua fragilità di carta e cemento.

Non ne rimarrà che il fragore del suo schianto.


Ancora sotto quelle mura

Ci avevano provato.

Due settimane fa, con la notifica di quattro fogli di via a quattro solidali con le proteste dentro Santa Maria Maggiore. Poco dopo, con il trasferimento di diversi detenuti, accusati di essere i “capi della rivolta”, in altre carceri del Veneto.

A uno di questi, “sballato” in pigiama senza nemmeno la possibilità di recuperare i propri effetti personali, è stata fornita come motivazione il fatto che avrebbero sentito sua moglie salutarlo al microfono durante uno dei tanti presidi di sostegno improvvisati.

Ci hanno provato. Notificato un altro inizio di procedimento per foglio di via ad un’altra solidale questa settimana. Facendo telefonate minatorie e invitando le persone a non presentarsi sotto le mura.

Strumentalizzando schifosamente la notizia del tentato suicidio in cella di un ragazzo, che avrebbe aggredito il suo secondino “salvatore”, per lamentarsi ancora della loro misera vita di carcerieri.

Ci hanno provato, ma non ci sono riusciti. La manifestazione di sabato 3 ottobre è stata molto più partecipata del solito, ha espresso solidarietà alle lotte dei detenuti e ai solidali colpiti dai provvedimenti di allontamento.

Nonostante la pressante presenza sbirresca, che ha isolato completamente la zona del carcere e del tribunale, più di un parente e qualche amico dei reclusi si è unito a un presidio sempre più numeroso.

Poco prima della fine la celere è avanzata, cercando a tutti i costi un pretesto per caricare, rimediando qualche insulto (anche da dentro) e una figura patetica.

Più di qualcuno, da dietro le sbarre, ha ringraziato le tante persone accorse riuscendo ad aprire le finestrelle delle celle e sporgendosi per salutare. Un sostegno coraggioso che aiuta a non demordere e a continuare sulla bellissima strada che si è riusciti a tracciare.

Il presidio, dopo un breve corteo per le calli, si è infine spostato in Campo Santa Margherita, dove si è improvvisato un concerto e un volantinaggio informativo.

I detenuti di Santa Maria Maggiore vi ricordano che il carcere è una merda. Già. Ma anche che sotto, e dentro, un carcere si può piangere, di gioia, di tristezza, di commozione, che si può ridere a crepapelle, fare festa, sbeffeggiare insieme una guardia troppo zelante. Ci ricordano che del carcere si può smettere di avere paura.

E non finisce di certo qui.

carcere3ott


Qui trovate in allegato il pieghevole distribuito sabato 3 ottobre. Un inizio di riflessione sulla lotta degli ultimi mesi e sulle problematiche del carcere veneziano. DEFINITIVO PIEGHEVOLE