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Padova 18 febbraio

Padova, 18 febbraio 2016.
4 arresti domiciliari, 2 divieti di dimora, 5 obblighi di firma.
Una sede del Comitato di Lotta per la Casa messa sotto sequestro e chiusa da lamiere.

Chiamano “associazione a delinquere” ciò che più li spaventa: il fatto che qualcuno si organizzi per soddisfare i propri bisogni. Insieme, senza di loro, contro di loro.
Solidali con chi mette la propria vita in gioco per resistere a uno sfratto, per occupare una casa.
Complici con chi, nei quartieri, nelle strade, nelle case occupate fa sbocciare possibilità rivoluzionarie.
Al fianco dei compagni e delle compagne inquisiti.

Cic, Maria, Richi, Redi liberi subito!

SOLIDARIETà PADOVA

Qui scaricabile trovate il manifesto di solidarietà di cui sopra


Non si uccide così una citta?/ Movida alla Scomenzera

L’11 gennaio scorso il Sindaco Brugnaro ha, tramite una dichiarazione a mezzo stampa, di fatto aperto la strada allo spostamento della movida da Santa Margherita alla zona della Marittima, più precisamente nella striscia di terra (al momento inutilizzata) che costeggia il rio della Scomenzera.
Ne avevamo già dato notizia qui, perchè l’intenzione era già stata espressa associandola alla necessità di vietare cortei che partissero da quella zona della città, assimilando le manifestazioni politiche al divertimento notturno.
Prima di passare ad analizzare le possibili conseguenze di un progetto del genere che, per ora, rimane pura propaganda, pensiamo sia necessario dare un breve sguardo a ciò che è diventato oggi Santa Margherita, ovvero il frutto di precise politiche di zonizzazione e di ghettizzazione della vita studentesco-giovanile a Venezia.

Nella seconda metà dell’800 Santa Margherita è una zona pesantemente degradata, attraversata dal Rio della Scosassera, una cloaca a cielo aperto che raccoglie i rifiuti delle aree più povere e malmesse della città, situate tra l’Angelo Raffaele, i Mendicoli e la futura Santa Marta. Alla fine del secolo il Rio viene interrato per motivi di igiene e, tra la costruzione della Stazione e di Piazzale Roma negli anni 30 del 1900, il Campo diviene un nodo nevralgico nelle geografie della parte occidentale della città.
Storico punto di ritrovo di repubblicani e socialisti, ospiterà nelle sue vicinanze la prima Camera del Lavoro di Venezia, mentre l’Osteria “Al Capon” resterà, negli anni di ascesa della camicie nere, il luogo di ritrovo degli antifascisti cittadini. Per i fascisti Santa Margherita diviene l’incarnazione del mito del nemico, tanto che gli squadristi veneziani gli affibbiano il nome di “Repubblica”. Dopo la marcia su Roma la Camera del Lavoro viene incendiata, l’Osteria al Capon chiusa e la Casa del Boia (il piccolo edificio quadrato al centro del Campo) trasformata in “Casa del Fascio”, arrogante monito per chi, fino al giorno prima, osava accogliere i fascisti di passaggio a colpi di pistola.
All’oggi la Casa del Boia è sede del presidio permanente della Polizia Locale.
Nel dopoguerra il Campo diventa uno dei ritrovi degli studenti veneziani, centrale rispetto a molti licei e istituti superiori, nonchè alle principali sedi di Ca’ Foscari, IUAV e Accademia della Belle Arti. “Uno dei ritrovi” poichè, fino a metà degli anni 2000, l’università è ancora diffusa in tutta la città e, con essa, i luoghi di ritrovo giovanili: le sedi sono a Dorsoduro, ma anche nei pressi di San Giacomo, in Strada Nova e persino alla Celestia. Lo caratteristica urbanistica interclassista di Venezia fa sì che campi come Santo Stefano, San Bartolomeo o l’Erberia, ora esclusivo appannaggio di ricchi e turisti, siano per molti anni luoghi di incontro e di divertimento serali, integrati con le esigenze degli abitanti storici.
Con l’aumento vertiginoso dei flussi turistici appare necessario differenziare i pecorsi e le zone di interesse, per procederne ad una mercificazione più capillare: nasce, di fatto, un “centro” cittadino a ridosso dell’area marciana, in una città per sua natura policentrica, a vocazione esclusivamente commerciale e turistica. Nel contempo vengono chiusi (e spesso svenduti) i palazzi storici delle università più lontani dal sestiere di Dorsoduro, concentrando ancora più corsi e classi nelle sedi attigue a Santa Margherita.
Tagliando le definizioni con l’accetta, ciò che si va a creare nei primi anni 2000 è una vera e propria zona universitaria tra Santa Marta e l’Accademia, comoda da raggiungere per un numero crescente di studenti pendolari ma, nei delicatissimi equilibri urbani, sempre più scollata dai ritmi dei suoi abitanti. Questa mutazione coinvolge, da vicino, la vita stessa degli studenti: i legami con la città diventano sempre più rari e occasionali, l’esperienza rinchiusa in percorsi obbligati sempre uguali e distanti da quelli di chi, invece, a Venezia risiede da anni.
Gli altri luoghi di incontro si svuotano, di persone e di senso, mentre chi si ostina a rimanere viene combattuto a suon di ordinanze anti-degrado e anti-rumore. E’ questo il caso dell’Erberia di Rialto, o di una frequentata osteria nei pressi di San Giacomo, prima chiusa per “schiamazzi” e poi riaperta con pesanti limitazioni di orario. Fatti che portano tutta una fascia giovanile, che, a Venezia, è composta quasi totalmente da universitari o ex-studenti, a trascorrere le proprie serate a Santa Margherita, l’unico campo dove si può trovare un bar aperto dopo le 23.
Attualmente, nella sola superficie del Campo, risultano aperti 11 locali, la metà dei quali inaugurati negli ultimi dieci anni. Una concentrazione di esercizi commerciali senza pari in città.

Negli ultimi anni di Santa Margherita si è parlato soprattutto in termini di degrado e pericolosità. Le inevitabili conseguenze di una piazza sacrificata alla “movida” (risse, piccolo spaccio, sporcizia) vengono combattute con retate anti-droga (con risultati, spesso, ai limiti del ridicolo), presidi fissi di polizia e persino iniziative di privati cittadini, come l’installazione di cancellate chiuse a chiave nelle calli attigue. L’intera superficie del campo è videosorvegliata e, specialmente nei periodi di maggiore afflusso, non è raro imbattersi in reparti anti-sommossa schierati preventivamente. Un ghetto nel quale farsi rinchiudere assieme al proprio desiderio di uscire la sera.

Come al solito, la soluzione proposta è parte del problema che si cerca di risolvere: deportare i locali e i loro avventori nell’unica striscia di terra non ancora urbanizzata, distante dalla città ma comoda in relazione agli spazi disegnati dalla città universitaria. L’idea di un “distretto del divertimento” in Rio della Scomenzera è la perfetta continuità delle politiche di ghettizzazione e allontamento delle eccedenze degli ultimi anni, il naturale proseguimento del progetto del “Campus Santa Marta”, i cui lavori dovrebbero iniziare la prossima estate. Oltre che a un comodo gettone per l’Autorità Portuale, istituzione che, come abbiamo già avuto modo di far notare, agisce per la prima volta in totale accordo con il Comune.

Qui sotto, in foto, l’opera di qualcuno che ci aveva visto lungo.

scomenzera


The bridges of Gentrification, with(out) graffiti

Parlare di gentrification a Venezia può, molto spesso, essere fuorviante. Più che a un “imborghesimento”, a un’espulsione di abitanti originari ad opera di una nuova classe più abbiente, quello a cui quotidianamente si assiste è la sostituzione di una popolazione (residente o meno) cittadina con una turistica. Un fenomeno molto specifico, che avremo modo di approfondire e analizzare.
In alcuni pezzi di città, tuttavia, il concetto tradizionale di “gentrification” resta ancora valido per capire al meglio la portata dei cambiamenti in corso. La zona di San Basilio e della Stazione Marittima, adiacente al popolare quartiere di Santa Marta, è una di queste.
La vecchia giunta comunale aveva a più riprese manifestato l’intenzione di far arrivare una linea del tram fino a San Basilio, convertendo l’attuale Stazione Marittima in un grande terminal tranviario con servizi annessi. La giunta attuale, per la prima volta in sintonia con la presenza e i progetti dell’Autorità portuale in centro storico, pur accantonando il prolungamento della linea del tram, dichiara, nella persona del Sindaco, di voler spostare in quell’area la “movida” di Santa Margherita, da tempo invisa ai residenti.
Una vita notturna, s’intende, limitata alla fruizione di qualche baretto a prezzi spropositati ma che, a seguito di precise politiche di zonizzazione delle aree cittadine, è diventata in pochi anni prerogativa esclusiva del “Campo”, con le inevitabili coneguenze del caso.
Nell’offerta di quel parco commerciale che è diventato il centro storico veneziano manca proprio un “distretto del divertimento” rivolto a giovani turisti e studenti fuori sede che, per gustare un aperitivo all’ultima moda o ballare al ritmo di musica elettronica, devono oggigiorno recarsi nei locali della terraferma a Mestre e Marghera.
Ma perché proprio a san Basilio, quando in passato tentativi in tal senso sono già stati attuati all’Arsenale o al Tronchetto tramite eventi organizzati ad hoc? L’area in questione è caratterizzata da un basso numero di abitanti, dalla presenza di grosse sedi universitarie dello IUAV e di Ca’ Foscari, dal Porto, da un gran numero di posti auto. Un luogo in grado di garantire una costante presenza di flussi, con la possibilità di aprire nuove attività commerciali in edifici esistenti e in nuove cubature edificabili, senza arrecare troppo disturbo. Una prerogativa pressoché unica in una città già completamente urbanizzata nella sua parte insulare, dove le uniche aree “vuote” meritevoli di riqualificazione sono quelle lasciate dalla dismissione di parte dell’attività portuale.
Curioso che la vocazione al “divertimento” di San Basilio e della Marittima sia stata indirettamente suggerita da momenti di convivialità auto-organizzati. Nel 2008 il movimento studentesco, organizzò le prime feste, autorizzate e non, tra i vecchi docks del Porto, da pochi anni adibiti ad aule dalle università. Da quell’anno trovarono spazio di espressione diversi eventi musicali, anche non prettamente concordati con le autorità competenti: dai concerti delle associazioni universitarie all’approdo “selvaggio” dei tradizionali carretti carnevaleschi che, sfruttando la presenza di vicini eventi ufficiali, non di rado sottraeva pubblico a questi ultimi.
Veniamo ora al primo “ponte” tangibile lanciato alla realizzazione di questo progetto: l’apertura dell’evento collaterale della Biennale d’arte, in programma da maggio a novembre 2015, denominato the Bridges of Graffiti.
Questo evento temporaneo ha trovato spazio all’interno della stazione marittima, nella parte più vicina alle sedi universitaria, ribattezzata per l’occasione Arteterminal. L’ambiente, caratterizzato dalle opere di dieci artisti internazionali (che per l’occasione hanno anche collaborato per creare un murales collettivo), è diventato un vero e proprio locale da aperitivi e dj-set sotto le insegne della prestigiosa esibizione artistica.
Gustosto notare come l’inaugurazione di questo spazio, che dal nome richiama esplicitamente la street art e all’interno del quale si poteva assistere a talks sul writing, abbia coinciso con la pulizia delle innumerevoli scritte e murales che caratterizzavano il muro della Marittima.
Bridges of Graffiti ha solamente avuto la funzione di testare, con un progetto temporaneo e, almeno nella sua fase di insediamento, discreto, la validità di investimenti futuri. Il nuovo campus per studenti di Santa Marta, i cui inizio lavori è previsto per la prossima estate, creerebbe di fatto la domanda di un distretto del divertimento raggiungibile comodamente, meglio se distante dal centro monumentale e turistico.

graffiti


Non si uccide così una città?/ Strada Nova

La velocità con la quale il tessuto urbano di Venezia cambia ha sempre cozzato con il ritmo lento e tortuoso della vita che, nei suoi angoli, si è dispiegata nel corso dei secoli. Negli ultimi anni l’apertura selvaggia di nuovi hotel, bed and breakfast e, in genere, attività commerciali rivolte ai visitatori ha costretto chi abita la città lagunare ad adottare nuove geografie, sempre più marginali e ghettizzanti in rapporto al vecchio centro cittadino. Scorgere l’inizio di questi cambiamenti nelle pieghe della storia può tornare utile per vincere l’alienazione e l’incapacità di interpretare gli eventi propria della nostra epoca, per ri-trovarsi nonostante il museo a cielo aperto che ci circonda.


Strada Nova è, formalmente, il toponimo che designa il tratto di passeggio posto tra Campo Santa Fosca e Campo Santi Apostoli ma, per estensione, viene comunemente usato per chiamare tutta la via che collega quest’ultimo campo (da cui è possibile arrivare al “centro” vero e proprio, Rialto)  alla Stazione Ferroviaria. Indicativo che il termine “Nova” venga tutt’ora utilizzato, a scapito dell’ufficiale denominazione “Vittorio Emanuele”,  per riferirsi a tre interventi urbanistici distinti, avvenuti ormai tra il 1818 e il 1871, di cui avremo poi modo di raccontare. Indicativo almeno quanto il fatto che, ad oggi, la “Nova” resta l’unica “Strada” così  chiamata, e pertanto “degna di questo nome”, tra le innumerevoli calli, calleselle, salizade, liste, fondamente, rive, rii terà che costituiscono l’intricata toponomastica veneziana.

Il primo intervento di “riqualificazione” del sestiere di Cannaregio risale al 1818, con la città sotto dominazione austriaca. Viene interrato il Rio Do Ponti, compreso tra il Ponte delle Guglie e il Campiello dell’Anconeta, per creare una direttrice pedonale a destinazione commerciale tra le due metà di un sestiere economicamente depresso e ancora periferico. Un intervento che condizionerà, inevitabilmente, le scelte urbanistiche dei due secoli successivi.

Sempre sotto gli austriaci, tra il 1841 e il 1846, viene costruito il ponte ferroviario tra Venezia e la terraferma. La città si ritrova proiettata verso occidente, con un “terminal” nuovo di zecca. Nel 1844 è stato infatti interrato il segmento acqueo tra il Ponte delle Guglie e la chiesa di Santa Lucia. L’assetto di Cannaregio ne esce completamente stravolto: da periferia residenziale diventa l’asse privilegiato di collegamente tra il centro e la Stazione dei treni.

Tra il 1866 (annessione del Vento al neonato Regno d’Italia) e il 1871 viene infine spianato l’ultimo tratto di strada tra il ponte dell’Anconeta e Campo Santi Apostoli, a spese di abitazioni povere e considerate fatiscenti. La scelta del progetto dell’architetto Papadopoli scartò l’alternativa a firma Meduna, meno invasiva in termini di abbattimenti, cogliendo in pieno lo spirito dell’epoca: solo pochi anni prima il barone Haussmann aveva iniziato a sventrare il centro di Parigi, costruendo quei monumenti alla contro-insurrezione chiamati boulevards.

Una curiosità: l’intera Strada Nova presenta una larghezza media di 10 metri, più del doppio dell’ampiezza media delle comuni calli, e una sola strettoia, calle dell’Anconeta, mantenuta tale per evitare di abbattere la casa dell’ingegnere capo dei lavori comunali.

L’ edificazione del Ponte Littorio (il collegamento automobilistico affiancato alla linea ferrovia, ora Ponte della Libertà) e di Piazzale Roma (il suo terminal) in pieno periodo fascista non interferisce con il flusso proveniente via rotaia: le direttrici di scorrimento restano di fatto separate fino al 2008, con la costruzione del Ponte della Costituzione ad opera di Santiago Calatrava. Il nuovo “quarto ponte sul Canal Grande” connette il terminal automobilistico con quello ferroviario, unificando i flussi delle due direttrici principali proprio su Strada Nova, stravolgendone completamente l’aspetto e la quotidianità.

154 anni dopo la gentrificazione della città riparte dalla sua stazione dei treni: in meno di sette anni Santa Lucia diviene una galleria commerciale, fruibile da chi arriva a Venezia in macchina o in autobus, le attività della zona acquisiscono una vocazione esclusivamente turistica. Aprono filiali di grandi catene e chiudono i già pochi esercizi riservati ai residenti. Da zona vissuta e vivace ad arteria a grande scorrimento il passo è più repentino che mai.

Ha provocato qualche scalpore la notizia, una settimana fa, della chiusura dello storico negozio di biancheria di Aldo “Mudanda” Vianello, meglio noto per essere il padre dell’improbabile dj e star del grande Fratello Tommy Vee, conseguente all’acquisto del fondo da parte del colosso dell’abbigliamento per teenager spagnolo Double Agent, ai piedi del Ponte delle Guglie. A pochi passi di distanza, il 10 gennaio prossimo, aprirà invece un’altra filiale di Tiger (catena che da poco possiede un punto vendita proprio nella stazione) in luogo del panificio “Rizzo”. Sempre in Rio Terà San Leonardo ha da poco aperto la “Casa dea Corte”, un locale a metà tra un ristorante e un Bed and Breakfast, vicinissimo al recentemente ristrutturato Hotel Filù. Quest’ultimo, un paio di mesi fa, è stato al centro di una non troppo interessante polemica tra consiglieri comunali: la proprietà del Filù risulta essere della consigliera ex Pdl Marta Locatelli, affidata in gestione alla ” Rental in Italy”, società presieduta dal marito della stessa. La Locatelli, da sempre pronta a denunciare l’inesistenza di una politica sulla residenza nel Comune, ha chiesto il cambio di destinazione d’uso, da residenziale a ricettivo, per la parte dell’immobile non ancora diventata albergo e per altri stabili di sua proprietà.

La storia recente di Strada Nova è troppo simile alla storia di altri pezzi di città, perduti nella loro dimensione più intima e vivibile nel corso di un breve periodo di tempo. L’unica “Strada” di Venezia è divenuta definitivamente tale in pochi anni, a più di un secolo e mezzo dalla sua progettazione.

Non dovrebbe stupire quindi che qualcuno, per finire in bellezza una serata, abbia deciso di percorrerla in macchina, una gelida notte di carnevale di quattro anni fa. Manco a dirlo, per l’impavido automobilista, scattò il foglio di via da Venezia.

autocalatrava


Corteo selvaggio : riempito di scritte il centro città, banche distrutte, vernice su negozi di lusso e monumenti.

Circa 500 persone hanno preso parte alla manifestazione di sabato sera ma è un piccolo gruppo di circa 50 individui mascherati che si è reso responsabili dei danni stimati in decine di migliaia di euro, secondo le ultime stime.

Un giornale descrive i facinorosi come un “frangia estrema degli anarchici e degli anti-capitalisti animati dal desiderio di lanciare una sfida allo stato”

Gli uffici delle banche sono stati presi di mira insieme al Teatro Grande, la casa dell’ opera e altri negozi compreso uno gestito da un esponente del Movimento dei Cittadini e militante di estrema destra.

Le vetrine di almeno 20 negozi sono state distrutte e su decine di edifici è stata spruzzata vernice.

I manifestanti si sono riuniti in un parco vicino la stazione dei treni è hanno attraversato il centro città fino al Teatro dell’Opera, dove la facciata e le statue sono state sfregiate con la pittura. Gli episodi accadono mentre la zona resta in stato d’allerta da più di una settimana per una possibile minaccia terrorista legata alla jihad.

Il comandante della Polizia difende l’operato delle forze dell’ordine durante la manifestazione .

“Gli agenti sapevano che erano pianificate delle azioni ma non conoscevano precisamente quali fossero le intenzioni del gruppo ” “di fronte a questo tipo di criticità, il lavoro della polizia inizialmente include il monitoraggio della situazione per prevenire possibili reati mettendo in sicurezza luoghi particolarmente sensibili come la zona dello shopping di lusso, palazzi ed edifici istituzionali, comprese le stazioni della polizia”

E intanto le vetrine di molti negozi di lusso e banche sono state distrutte o coperte di scritte con messaggi come “I ricchi sono brutti”, “Fanculo questa società”, “Morte agli sbirri” e simboli comunisti e anarchici.

La facciata del teatro più importante dellla città, il Teatro Grande del 19esimo secolo e le statue poste al suo ingresso sono state macchiate con vernice nera e di altri colori, intervallata da scritte di colore bianco.

Molti resoconti evidenziano la lentezza d’intervento della questura, che è finita nell’occhio del ciclone. “Il danno è considerevole” ammette il portavoce della Polizia cittadina.

Lo scellerato corteo (non autorizzato) è stato lanciato sui social media per protestare contro i tagli al budget che colpiscono diverse realtà artistiche anche cittadine mentre “si sovvenziona il Teatro Grande, luogo di cultura borghese con prezzi fuori dalla portata per la maggior parte della gente”.

La polizia ha bloccato diverse parti della città per cercare di limitare la circolazione della manifestazione senza però effettuare arresti “E’ difficile effettuare arresti nei momenti più concitati. Adesso stiamo investigando per chiarire di chi sono le colpe” spiegano dalla questura, difendendo la scelta di aver evitato lo scontro con gli anarchici.

Domenica mattina, il giorno dopo il corteo, gli abitanti della città apparivano sconcertati dai danni, e molti di loro e si fermavano per fotografare l’inizio dei lavori di pulizia della facciata del Teatro Grande.

Il capo del Ministero per la Sicurezza cittadino, si è dichiarato “furioso e scandalizzato per questo intollerabile atto vandalico” ” Abbiamo a che fare con una banda di teppisti professionisti” e si è augurato che vengano “severamente puniti.

Ginevra 19 dicembre 2015.

mort aux flics


Chi non va in vacanza

E’ di oggi la notizia ufficiale che il Comune di Venezia si dichiarerà parte civile per quanto riguarda la pulitura delle scritte sui muri lasciate dopo il corteo del 5 dicembre. Il primo cittadino prende la palla al balzo per dichiarare la volontà di vietare le manifestazioni nella zona di Santa Margherita ( “C’è già tanta gente, così è facile dire che la manifestazione è riuscita. Sic)e di spostarne la caratterizzante “movida” in zona Stazione Marittima.  Una decisione, ci sembra, perfettamente in linea con i tempi e i progetti, ormai non più tanto nascosti, di gentrificazione della zona di Santa Marta. Un quartiere ancora tagliato fuori dai flussi turistici e commerciali che attraversano il resto di Venezia e che si vorrebbe “aprire” alla città costruendovi un campus universitario e un distretto del divertimento a pochi passi di distanza. Museificare uno degli ultimi campi ancora vivi, pur con tutte le contraddizioni del caso, per ghettizzare ulteriormente chi ha l’ardire di provare a vivere la propria città anche dopo le sette di sera, e tanto meglio se l’Autorità Portuale o il Costa di turno due palanche riescono a guadagnarle.

Nel frattempo, nonostante il gelo dicembrino, la situazione nei penitenziari della regione non accenna a raffeddarsi. Oggi, verso le sette di sera, una forte battitura ha coinvolto la sezione numero tre del carcere di Vicenza. Le motivazioni non sono ancora note, ma si tratta dell’ennesimo episodio simile che in questo 2015 ha coinvolto la popolazione detenuta nel San Pio X.

A Venezia ancora nessuna notizia ufficiale sulle cause della morte di Manuel, avvenuta il 28 novembre scorso tra le mura del carcere veneziano. E’ sempre di oggi invece la notizia che, verso mezzogiorno, due ragazzi marocchini hanno incediato la propria cella a Santa Maria Maggiore, intossicando alcuni agenti. Secondo le ricostruzioni dei giornali i due sarebbero poi stati tradotti in ospedale per gli accertamenti del caso. Evidentemente la recente visita del Patriarca in occasione del Giubileo non ha portato chissà che speranza tra le sbarre del penitenziario lagunare.

Qui sotto, con i migliori auguri di Natale, l’opera di alcuni vandali.

 

Una delle scritte lasciate dagli anarchici che hanno imperversato nel centro storico di Venezia, 05 dicembre 2015. ANSA


Per chi ha orecchie per sentire

Sabato scorso un corteo ha attraversato le calli e i campi di Venezia.
Un corteo che voleva mettere al centro la solidarietà verso i detenuti del carcere di Santa Maria Maggiore e gli ormai 20 compagni e compagne colpiti dai fogli di via.
Provvedimenti di allontamento emessi dalla questura proprio a seguito della vicinanza dimostrata alle mobilitazioni dei carcerati, in lotta contro le disumane condizioni di detenzione, le angherie delle guardie e le sadiche disposizioni dell’amministrazione.
Una situazione che è lungi dall’essere risolta a Venezia come in altre carceri del Veneto, dove continuano a susseguirsi episodi di insubordinazione e ribellione da parte dei detenuti e dove la presenza di solidali, pronti a dar voce a ciò che succede dentro, inizia a spaventare per la sua efficacia.
Un corteo che volevamo così. In grado di muoversi per la città grazie ai legami che ha saputo costruire attorno a questa lotta, garantendo il fatto che le persone con il foglio di via potessero parteciparvi, comunicando con molte pratiche: dall’attacchinaggio al volantino, dal microfono aperto alle scritte.
Scendere in piazza ha significato riappropriarsi dello spazio, lì dove ci sarebbe stato vietato.
Dispositivi come la videosorveglianza, il foglio di via o il permesso di soggiorno, la gentrificazione dei quartieri sono funzionali a mantenere il dominio della merce sulla vita.
A presiedere l’esistenza di tutti questi dispositivi vi è quella fabbrica di rassegnazione chiamata carcere, primo pilastro dell’ordine sotto al quale nulla deve accadere.
La scelta della polizia di presidiare in forze quest’ultimo, assieme al Tribunale e alla Questura, e la “galleria commerciale” tra Rialto e San Marco risponde in pieno a questa esigenza: difendere l’immagine delle Istituzioni e garantire il quieto scorrere dei flussi mercantili.

Molto è stato scritto sugli esiti della giornata.
L’indignazione per le scritte lasciate sui muri, sulle vetrine delle banche o di negozi di lusso fa il paio con chi, senza aver mai rischiato di finire in un carcere, invoca la galera a vita per chi usa una bomboletta spray.
Non ci stupisce, è lo spirito dell’epoca.
Il “Cleaning day” chiamato per “ripulire lo scempio anarchico” assomiglia tanto, troppo, al “popolo delle spugnette” del 2 maggio a Milano, come alla marcia in difesa della Repubblica, convocata dai peggiori guerrafondai d’Occidente, in seguito alla strage di Charlie Hebdo.
Momenti in cui chi governa invita a prendere posizione, la loro posizione, per farla diventare l’unica possibile.Contarsi in seguito al manifestarsi di una minaccia, reale o immaginaria, è l’unico modo per fingere che esista ancora una società a cui aggrapparsi.
Un’operazione che trova ampio risalto quando si riesce, letteralmente, a far ammalare di terrore una popolazione, rovesciando il significato delle parole e delle azioni.
Parlare di “scempio” e “paura” riguardo alla manifestazione di sabato ci sembra l’ennesima occasione persa per parlare della realtà.
Lo “scempio” di Venezia è abitare in una città dove ci sono più alberghi che case abitate, dove ogni anno cinquecento persone vengono deportate a spostarsi in terraferma per lasciare spazio a un numero sempre maggiore di turisti.
Lo “scempio” è lasciare che il patrimonio storico venga venduto, per sempre, al ricco investitore di turno, accorgendosi della sua esistenza solo quando questo viene imbrattato.
Lo “scempio” è dover camminare chilometri per fare la spesa, perchè tutte le vetrine sono diventate negozi di maschere e souvenir.
Lo scempio è permettere che esista un luogo di tortura come Santa Maria Maggiore, dove si continua a morire, e che si scenda in piazza per cancellare delle scritte sui muri.
La “paura” è non poter camminare per la città dove si è scelto di vivere senza il timore di venire fermato, identificato e espulso per avere i documenti non in regola o un foglio di via.
Paura la fanno i militari nelle calli equipaggiati come nelle zone di guerra, i poliziotti che ammazzano nelle caserme, i giudici pronti a sbatterti in cella per avere del fumo in tasca o aver rubato a un supermercato.
Paura la fa il carcere, quando si è soli e senza nessuno con cui potersi ribellare.

Pensiamo sia opportuno, in questa fase, non aggiungere ipocrisia all’ipocrisia.
Sappiamo bene che le modalità con cui si è stati in piazza sabato scorso possono non piacere a tutti.
Siamo consci che, in una città organizzata per essere nient’altro che un museo, una presenza che rifiuta il proprio essere nient’altro che merce possa apparire intollerabile.
Scriviamo queste riflessioni, come sempre, per chi ha ancora orecchie per sentire, oltre il martellamento mediatico dei giornali e il tintinnare delle manette.


Corteo contro i fogli di via- Venezia sabato 5 dicembre ore 15.00

WEB-LOCANDINA corteo


FILI INVISIBILI

Dalla fine dello scorso luglio qualcosa è cambiato nella quotidianità del carcere veneziano di Santa Maria Maggiore. La rivolta che ha fatto riaprire i blindi, chiusi per rappresaglia dopo il ferimento di una guardia da parte di un detenuto, ha divelto le gabbie della rassegnazione e ha aperto a possibilità inedite.Da quel momento molti mezzi sono stati messi in campo da chi, da fuori, crede che il carcere non sia poi così diverso da tutti gli altri dispositivi che governano le nostre vite: saluti pirotecnici, presidi con microfono aperto, colloqui selvaggi e spontanei dalle finestre, relazioni con parenti e amici dei ragazzi reclusi. Pratiche che hanno svelato tutta la vulnerabilità e l’inutilità di quelle mura, inceppandone per qualche istante il funzionamento e incrinandone la funzione.
La continua corrispondenza tra ciò che accadeva dentro e l’esterno ha permesso a molti incontri di avere luogo, di comprendere i meccanismi materiali e immaginari che permettono a quella fabbrica di solitudine e menzogna di continuare ad esistere.
La lotta dei detenuti si è mossa seguendo fili invisibili, con ritmi propri e l’oscillare di fortunate congiunture. L’esserci stati nel momento culminante della protesta, e il fatto che questa sia stata direttamente efficace ha concretizzato l’idea che ribellarsi è giusto e, soprattutto, serve. Una consapevolezza che ha dato il la allo “sciopero” dei detenuti di settembre: una mobilitazione organizzata con obiettivi specifici, ma divenuta dirompente per merito di tutte le sfaccettature che l’hanno resa difficilmente controllabile: accanto alle rivendicazioni c’era chi barricava le sezioni, incendiava i materassi e chi lottava semplicemente per il desiderio di mettersi in gioco.
Da quel momento anche altre carceri del Veneto hanno visto nascere al loro interno momenti di insubordinazione e di lotta. A Vicenza l’eco di una clamorosa protesta estiva, con i detenuti saliti sul tetto, ha risuonato in svariate battiture per la pessima qualità del vitto e la condizione di sovraffollamento. A Verona due incendi in 48 ore hanno intossicato una ventina di agenti nel mese di ottobre.
Eventi senz’altro conseguenti al pessimo stato nel quale si trovano i penitenziari, ma anche corrispondenze sotterranee, altri fili invisibili che, da dietro le sbarre, partono per riannodarsi ovunque qualche amante della libertà trova il coraggio di alzare la testa. Contro le condizioni che rendono la permanenza in carcere insopportabile ma, soprattutto, contro la propria condizione di reclusi.

CONFINI E BANDITI

In seguito alle proteste di Santa Maria Maggiore il Questore ha notificato 15 fogli di via da Venezia ad altrettanti solidali, per un periodo che va da uno a tre anni.
Il foglio di via rende illegale la permanenza in un territorio di persone ritenute sgradite o pericolose, anche in assenza di condotte penalmente perseguibili. In virtù della sua estrema versatilità, non necessita dell’approvazione di un magistrato, è una delle misure preventive più usate, da qualche anno a questa parte, per bandire chiunque non abbia una residenza certificata, un contratto di lavoro regolare o altri “leciti interessi” produttivi che lo leghino a un dato luogo.
Gli incontri, le amicizie, la voglia di vivere in un modo diverso da quello che ci dicono essere l’unico accettabile non rientrano nei codici della produttività e della tracciabilità, pertanto sono da considerare illeciti e dannosi.
Una concezione dell’abitare totalmente subordinata all’economia, funzionale a chi, assieme al completo controllo dello spazio pubblico, vorrebbe accaparrarsi la gestione delle vite che lo attraversano.
L’epoca che viviamo, nella sua ingovernabilità, rende necessario erigere nuovi confini, materiali o immateriali, per garantire che nulla turbi i flussi mercantili, fino a fare di “ogni sbirro una frontiera”.Fino a rendere la nostra presenza la discriminante tra il poter camminare per strada o l’essere denunciato, arrestato o deportato in un Cie per averlo fatto.
Quando un territorio diventa desiderabile non per i rapporti economici che lo sfruttano ma per le geografie improduttive che lo percorrono, il foglio di via traccia un ennesimo confine, più labile di altri, tra chi siamo e gli affetti che intratteniamo. La Val di Susa e la lotta contro l’Alta Velocità, Ventimiglia con il presidio No Border, l’opposizione alle basi militari in Sardegna rappresentano gli esempi più recenti di come il foglio di via cerchi di frapporsi tra un territorio e chi lo abita per trasformarlo. Ma anche di tante città dove le prospettive di una radicale rottura con l’esistente sono state il principale motivo che ha portato qualcuno a stabilirvisi.
Trovare la forza necessaria per schiantare questi confini, svelandoli nella loro fragilità di carta e cemento, significa attaccare direttamente chi li ha eretti.

CITTà COME PRIGIONI

Nella sola Venezia, quest’anno, sono stati più di duecento i provvedimenti di allontamento emessi dalla questura, la maggior parte nei confronti di senzatetto, abusivi, furfanti e altre categorie “sospette”. Non solo chi si organizza, ma anche chi lotta a proprio modo per vivere meglio in un mondo sempre più atomizzato e ostile diventa un soggetto indesiderabile, qualcuno “di troppo” da cacciare arbitrariamente.
Sebbene sia prassi dappertutto, lo scarto tra i flussi di milioni di visitatori economicamente produttivi e i suoi “rifiuti” a Venezia è reso ancora più stridente. Un ambiente reso inospitale dal suo totale essere merce, dove ci sono più alberghi che case e dove la priorità dei proprietari è non concedere nessuna residenza per poter meglio lucrare su fuori sede e turisti.
Scegliere di abitare in questo ambiente significa, inevitabilmente, affrontarlo: combattere la solitudine che irradia, dotarsi delle armi necessarie per non farsi rinchiudere nella scelta tra il vendere sè stessi e l’andarsene.
Sottrarsi ai dispositivi polizieschi, intessere relazioni di solidarietà non assistenziale, iniziare a vivere qui e ora seguendo il corso dei propri desideri. Non per costruire un altro carcere, un ghetto alternativo dove essere i carcerieri di noi stessi, ma per abbattere l’idea stessa di una società modellata sulle proprie prigioni.

A SABATO 5 DICEMBRE
A fronte di queste riflessioni abbiamo deciso di indire un corteo a Venezia per sabato 5 dicembre. Vogliamo non solo dare una risposta ai fogli di via arrivati nella nostra città ma che, come tutti i confini, anche quelli tracciati dai provvedimenti come questo smettano di esistere.
Per farlo cercheremo di renderli inefficaci, stavolta senza delegare al singolo l’onere di trovare il modo migliore per farlo.
Il nostro invito è aperto ai nemici del carcere e delle frontiere, a chi non rispetta i divieti, a chi ha sempre qualcosa da nascondere.
Violeremo i fogli di via attraversando la città da cui vorrebbero cacciarci, a fianco dei nostri compagni e le nostre compagne banditi, senza chiedere il permesso a nessuno.
Perchè i banditi non sono mai soli.
Perchè dove stare dobbiamo deciderlo noi, forti dei nostri illeciti interessi, dei nostri affetti criminali, delle nostre geografie pericolose.

Ci vediamo Sabato 5 Dicembre, Campo Santa Margherita, Venezia ore 15.00.

Contro i fogli di via e in solidarietà a tutti i detenuti in lotta!


A Bologna

Ieri a Bologna, durante la lunga giornata di lotta contro il comizio reazionario di Salvini e soci, sono stati arrestati due compagni di Venezia, dopo aver reagito ad un controllo di polizia mentre si recavano al concentramento di Stalingrado.

Una piccola ma rumorosa presenza di amici e solidali, in serata, ha salutato i ragazzi facendosi sentire all’esterno della questura, subito braccata e spinta ad andarsene dalle provocazioni della Digos e dal sopraggiungere di un plotone di celere.

Dopo una notte in questura, sono stati processati per direttissima con l’accusa di resistenza e lesioni. L’udienza è stata rinviata al 23 novembre e nel frattempo sono stati rilasciati a piede libero.
Cogliamo l’occasione per esprimere la nostra vicinanza e solidarietà anche all’altro compagno fermato nella giornata di ieri!
Con la gioia per aver subito potuto riabbracciare i nostri compagni, ci si vede alla prossima!


Sul momento

“Considerato altresì che la prevenuta persona pericolosa per la sicurezza pubblica si trova fuori dal comune di residenza e a Venezia non svolge alcuna attività lavorativa, nè ha beni o leciti interessi o altro valido motivo che giustifichi la sua presenza”

E’ questa la formula rituale con la quale le Questure, in assenza di condanne definitive e persino di una chiusura delle indagini, allontanano dal territorio di propria competenza le persone sgradite.
Nel linguaggio poliziesco si chiama “foglio di via”.
Sono sette i fogli di via emessi dal Questore di Venezia nei mesi scorsi, ai danni di compagni e compagne che hanno manifestato in vari modi la propria solidarietà ai detenuti di Santa Maria Maggiore, impegnati in una lotta contro le pessime condizioni detentive e gli abusi dell’amministrazione penitenziaria.
Momenti di lotta importantissimi, durante i quali si sono intessuti legami e complicità inaspettate, durante i quali l’isolamento e la solitudine, fondamenta del sistema carcere, sono sembrati vecchi ricordi di cui ridere.
Momenti che hanno inceppato, anche se sempre per troppo poco, il dispositivo carcere, mostrandolo per la sadica fabbrica di torture e rassegnazione che è sempre stato.

Ovunque il Capitale disegna le proprie geografie, visibili e invisibili. Videosorveglianza, retate, gentrificazione, galere e Cie tracciano le rotte dei flussi mercantili, costantemente presidiati dalla polizia affinchè nulla turbi il loro scorrere. Dove la vita si manifesta nella sua più intima ingovernabilità la polizia erige confini, barriere valicabili solo da chi si ritiene utile, da chi si è identificato.
“Ogni sbirro è una frontiera”, più che uno slogan, sembra essere l’odiosa quotidianità di un numero sempre maggiore di persone, lì dove chi si è diventa la discriminante tra il poter camminare liberamente per strada e l’essere denunciato, incarcerato o deportato in un centro per averlo fatto.
Rendere illegale la permanenza nello spazio pubblico significa rivendicarne il totale governo, ambire alla completa gestione della vita che lo attraversa. Una posta in palio che va oltre l’incostituzionalità di un foglio di via o la rivendicazione di un diritto alla cittadinanza.

Parallelamente al Capitale, chi si organizza per attaccarlo, o semplicemente per sopravvivergli, trova anch’esso le proprie geografie. Case occupate, strade discrete, vicini solidali, rifugi estemporanei e complicità sovversive.
Erigere un confine significa tagliare queste rotte, frapporsi tra l’individuo e il suo mondo ponendone delle condizioni di accesso.
Se sei produttivo e lavori sotto salario, se hai una residenza rintracciabile, se la liceità dei tuoi interessi è comprovata ti è concesso rimanere, fino a nuovo ordine.
La legalità dell’abitare è sottomessa al suo essere economia, nell’accezione più ampia del termine.
In una città dove ci sono più alberghi che case rivendichiamo il nostro abitare illegalmente, la possibilità di vivere ovunque si trovino dei validi motivi per farlo.
Rivendichiamo l’improduttività economica delle nostre vite, tutti i nostri illeciti interessi, la criminalità dei nostri affetti, la pericolosità di pensare di poter fare a meno di prigioni e carcerieri.
Il foglio di via non è altro che un confine, l’ennesimo e più labile di altri, tra una presenza non giustificata e un mondo sempre più assente da sè stesso, popolato di estranei.
Il momento attuale ce lo insegna chiaramente: ogni qual volta si incontra un confine si può trovare la forza necessaria per abbatterlo, svelandolo in tutta la sua fragilità di carta e cemento.

Non ne rimarrà che il fragore del suo schianto.