Riportiamo il testo di un volantino distribuito da alcuni solidali il 10 ottobre 2013 all’esterno del Tribunale di Venezia. La vicenda di cui si parla è quella riguardante Eddy Karim, detenuto nel 2009 nel carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia. Nel testo si riporta parte della sua avventurosa storia e le motivazioni che lo hanno portato a testimoniare contro i secondini del carcere veneziano.
Oggi, 10 ottobre 2013, si svolgerà presso il Tribunale di Venezia l’udienza del processo per la morte, avvenuta il 5 marzo 2009 nel carcere di Santa Maria Maggiore, di Cherib Debibjavi, detenuto marocchino di vent’anni rinvenuto cadavere a due mesi dalla scarcerazione. Riportiamo nuovamente questa storia dopo che, alla prima udienza, la nostra solidarietà è stata schermata dalle forze dell’ordine. Impedendoci di distribuire questo stesso volantino e denunciare pubblicamente questi fatti hanno ribadito la volontà di occultare ciò che avviene dentro le carceri. Imputati per omicidio colposo sono ispettori e commissari del veneziano, accusati, secondo i testimoni, di aver procurato il suicidio del giovane. Dopo essere stato salvato dai propri compagni di cella da un tentativo di impiccagione, il marocchino viene infatti sbattuto nudo nella famigerata “liscia” (una cella priva di suppellettili e di servizi igienici), dove, contro le procedure, gli viene consegnata una coperta, oggetto che, inevitabilmente, Cherib usa per soffocarsi.
L’unico testimone rimasto della vicenda è Eddy Karim, anch’egli, all’epoca dei fatti, detenuto a Santa Maria Maggiore. La storia di Karim è esemplare di come l’autorità possa ricorrere a qualsiasi mezzo per reprimere la vita di un individuo, quando questa vita diventa inconciliabile e ostile con il sistema carcere. Manifestata la volontà di testimoniare riguardo all’uccisione di Cherib, Karim viene trasferito nel carcere di Ascoli. Qui, con vigliacca furbizia, gli viene fatta passare una notte nel braccio riservato a infami e pedofili, notte che gli costa un pestaggio violentissimo (finisce in coma) da parte degli altri carcerati una volta trasferito nella sezione dei comuni. In gergo si chiama “bicicletta”, una trappola tesa a provocare una ritorsione per conto delle guardie. Contattato un magistrato di Macerata, questo si rifiuta di aprire un procedimento sull’accaduto. Da Ascoli passa poi nel penitenziario di Verona. Nella città scaligera solidarizza con altri detenuti in lotta per le pessime condizioni della struttura: organizzano una protesta e in 200 si rifiutano di rientrare nelle celle dopo l’ora d’aria, fino all’arrivo della celere. Da Verona viene quindi trasferito a Trieste, in un ambiente più mite e meno incline alla ribellione. Assiste all’agonia di un anziano carcerato, lasciato morire tra rantoli e lamenti nel gelo della sua cella. Intraprende quindi una protesta individuale per dare visibilità all’accaduto: riesce rifiuta il cibo per 33 giorni, ottenendo un sensibile miglioramento delle condizioni detentive, ma pregiudicando le sue condizioni fisiche in maniera permanente. Viene scarcerato pochi mesi dopo per incompatibilità al carcere, dovuta al precario stato di salute. Una volta uscito, in vista del processo di Venezia, Karim subisce pressioni di ogni tipo da parte della polizia: gli vengono offerti dei soldi in cambio del silenzio, perquisiscono la sua abitazione e subisce, assieme alla sua compagna, minacce di morte e altre angherie. Pur non riponendo fiducia alcuna nella giustizia di tribunali e carcerieri, vogliamo esprimere la nostra più sincera vicinanza a Karim e sostenere la sua coraggiosa scelta.
In un presente dove ogni eccedenza del corpo sociale viene trattata come un problema di ordine pubblico, dove ogni vita non uniformata alle esigenze di turno dell’economia rappresenta una mina piazzata nelle fondamenta del sistema, il carcere ritorna nelle nostre esistenze come un osceno rimosso, con cui trovarsi a fare i conti. Conoscerlo, comprenderne il funzionamento e la funzione, può aiutarci a renderlo meno pericoloso, come a dubitare della sua ineluttabilità. Questa presa di coscienza, e di posizione, non può però che passare attraverso il coraggio di persone come Karim, che, denunciando all’esterno i soprusi visti e subiti, contribuiscono a rendere le mura delle prigioni sempre più invisibili. Un nostro abbraccio va anche a tutti coloro che, dalle valli alle città, lottando per la libertà se la vedono togliere con infami restrizioni.
A fianco di Karim
Alcuni solidali
versione scaricabile del volantino: karim