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Non vogliamo dormire!

Un locale che chiude, l’ennesimo in una città sempre più ostile e spettrale. La risposta: tornare in piazza a fare festa, organizzare da soli le proprie serata, i propri spazi.

Questo testo è stato distribuito durante il botellon, convocato a pochi giorni dalla chiusura dell’ “Osteria da Filo” in Campo San Giacomo da l’Orio.
Articolo su la Nuova

 


Diciamolo senza mezzi termini: la chiusura, per ordine del tribunale, dell’ Osteria da Filo (la Poppa) rappresenta l’ennesimo colpo messo a segno ai danni di tutti coloro che, nonostante la continua chiusura di servizi e spazi di aggregazione, si ostinano a vivere Venezia e le sue calli non da semplici consumatori.

Senza entrare nel merito del provvedimento giudiziario( spetterà ai gestori del locale farsi valere anche in quella sede) è da sottolineare come questa disposizione, più che all’osteria in sè, sia rivolta alla sua clientela e, più in generale, a una fascia di popolazione giovanile-studentesca che fatica a trovare una collocazione normalizzata.

Sembra infatti che, in questa città, il semplice incontrarsi per strada, scambiare due chiacchiere, bere una birra costituisca di per sè una condotta vergognosa e criminale, tanto da far finire sotto sequestro e/o sorveglianza speciale i luoghi in cui ciò avviene.

Ma cos’avrà mai di pericoloso tutta questa misteriosa circolazione di corpi,parole, pensieri?

Presto detto: il fatto di essere un ostacolo alla completa mercificazione della zona.

Campo San Giacomo, San Stae, Rio Marin ma nel complesso il Sestiere di S.Croce, stanno vivendo, in linea con ciò che accade nel resto di Venezia, una trasformazione da aree residenziali, prima considerate “degradate”a distretto atto a ospitare grandi flussi turistici. Per rendersene conto basta fermarsi ad osservare le evidenze: negli ultimi anni tre palazzi storici sono stati destinatia diventare hotel di lusso (Palazzo Pemma, Ca’ Bacchin delle Palme,Ca’ Tron, solo questo “salvato” grazie all’azione diretta di studenti e abitanti), un negozio di paccottiglia turistica ha aperto, l’ultima macelleria del sestiere sta per chiudere per far posto all‘ennesimo supermercato, due “compro-oro” si sono insediati nel raggio di poche centinaia di metri.

Verrebbe da chiedersi dov’erano quei residentidi San Giacomo così attenti al bene del proprio quartiere,mentre tutto ciò avveniva in tempi rapidissimi e in maniera irreversibile. Probabilmente a dormire, beati nel silenzio funebre di una città in agonia.

Occorre, a questo punto, prendere coscienza del ruolo che si riveste, in una città come Venezia, anche semplicemente scegliendo di trascorrere una serata tra le sue vie, lontani dalle discoteche della terraferma e da quel ghetto per studenti che hanno fatto diventare Santa Margherita. Le strade di una città tanto più sono vissute tanto meno risultano mercificabili.Vivere queste strade significa impedire che ciò avvenga, rendendo le nostre relazioni una spina nel fianco per affaristi e speculatori.

Un’intesa con i residenti è senz’altro auspicabile,ma è intollerabile che l’unico scambio tra vecchi e nuovi abitanti somigli al rapporto tra un guardia-sala e i fruitori del museo.

 

Salvare la città è anche ri-conoscersi nelle sue strade, nei suoi campi, nei quartieri.

 

 

 

                                                                                                    Quelli che non vogliono dormire.