Volantino distribuito durante il presidio No Tav del 16 novembre 2014, in campo Santa Margherita. Seguono foto del presidio.
Il 14 novembre scorso la Procura di Torino, nelle persone dei pm Padalino e Rinaudo, ha formulato la requisitoria ai danni di Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia, no tav in carcere dal 9 dicembre 2013, accusati di terrorismo per aver dato alle fiamme un compressore nel cantiere dell’Alta Velocità di Chiomonte, in Val di Susa.
Le richieste, per tutti e quattro, sono di 9 anni e 6 mesi, una pena enorme se pensiamo al fatto che, durante quell’attacco al cantiere, nessuno si fece male e vennero presi di mira solamente dei macchinari.
Hanno parlato di “attacco alla personalità dello Stato”, di “azione paramilitare”, di “volontà di sovvertire l’ordine democratico”. Per noi, come per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di attraversare la lotta in Val di Susa, queste parole fanno parte di un linguaggio che non ci appartiene, che cerca maldestramente di tradurre in termini giuridici i fatti di quella notte e il contesto in cui si sono verificati.
Per noi si è trattato di un sabotaggio giusto, diretto a danneggiare direttamente lo sviluppo di un’opera nociva e non voluta dalla popolazione, sostenuto e rivendicato dalla totalità di un movimento popolare che, oltre ad opporsi alla costruzione di una linea ferroviaria, ha già iniziato a vivere diversamente, facendola finita con lo stato di cose presente.
E’ questo che fa paura ed è ciò che si vorrebbe distruggere con queste condanne: una comunità che si è incontrata nella lotta, bloccando le autostrade, costruendo presidi, scontrandosi con la polizia. Una comunità che non parla più il linguaggio del governo, che non accetta divisioni e che ha saputo abbattere molte barriere, quella tra giusto e legale in primis. Una comunità partigiana.
Non sappiamo cosa accadrà d’ora in avanti, se la testardaggine dei valsusini avrà la meglio sul Tav e il suo partito, se tra dieci, venti o trent’anni torneremo in quella valle a nord di Torino e ci sentiremo ancora a casa, riscaldati dal fuoco del falò di un presidio o da quello di una ruspa incendiata.
Lottiamo oggi per la liberazione dei nostri compagni per continuare a far resistere la possibilità di un cambiamento radicale dell’esistente, in Valle come nei quartieri dove abitiamo. La stessa possibilità che abbiamo respirato più volte con loro al nostro fianco, come un sogno da cui non ci vorremmo mai svegliare.
Il 17 dicembre prossimo avrà luogo la sentenza definitiva di questo processo. Qualsiasi pena dovranno loro subire sarà per noi ingiusta e sarà il momento di mettere in campo tutta la nostra determinazione per non farli sentire soli e per dimostrare che nessuna sentenza è in grado di cancellare tutte le emozioni e gli affetti provati in questi anni di lotta.
Siamo orgogliosi di avere compagni che si rivendicano a testa alta la loro lotta, la nostra lotta, dicendo “ne siamo fieri e felici”. Una promessa, un impegno: non sono nè saranno soli, perchè si parte e si torna insieme!
Un pensiero particolare in questa giornata va anche al ragazzo di 21 anni, Remì Fraisse, assassinato tre settimane fa dalla polizia francese durante un attacco al cantiere della diga di Sivens, in Francia, ennesima grande opera nociva osteggiata dalla popolazione locale.
In tutta la Francia, nelle settimane successive, si sono susseguite manifestazioni di protesta che hanno portato a scontri con la polizia, barricate alle porte dei licei, espropri di negozi di lusso e sabati pomeriggio di shopping irremediabilmente rovinati. Come abbiamo avuto modo di vedere da vicino le proteste continuano tutt’ora, e ci auguriamo di cuore che i responsabili dell’omicidio di Remì (governo francese, partito socialista e polizia) passino dei gran brutti quarti d’ora nei giorni a venire. A fianco di chi si batte per la propria terra, complici con chi non aspetta l’indignazione per far esplodere la rabbia.
Ci vediamo presto.
Alcuni No Tav veneziani