Author Archives: bravitutti
Questa casa non sarà un albergo!
Occupato, nella mattinata di oggi 4 novembre, l’ex Ospizio Contarini in Fondamenta delle Terese, a Santa Marta. L’edificio, vuoto da anni e messo all’asta dall’Istituto Ricovero ed Educazione, proprietario dell’immobile, da oggi è diventato una casa e un luogo d’incontro. Con buona pace di chi ci vedeva già l’ennesimo alberghetto nella Venezia insolita e nascosta. Da oggi siamo aperti, veniteci a trovare!
A fianco di Karim
Riportiamo il testo di un volantino distribuito da alcuni solidali il 10 ottobre 2013 all’esterno del Tribunale di Venezia. La vicenda di cui si parla è quella riguardante Eddy Karim, detenuto nel 2009 nel carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia. Nel testo si riporta parte della sua avventurosa storia e le motivazioni che lo hanno portato a testimoniare contro i secondini del carcere veneziano.
Oggi, 10 ottobre 2013, si svolgerà presso il Tribunale di Venezia l’udienza del processo per la morte, avvenuta il 5 marzo 2009 nel carcere di Santa Maria Maggiore, di Cherib Debibjavi, detenuto marocchino di vent’anni rinvenuto cadavere a due mesi dalla scarcerazione. Riportiamo nuovamente questa storia dopo che, alla prima udienza, la nostra solidarietà è stata schermata dalle forze dell’ordine. Impedendoci di distribuire questo stesso volantino e denunciare pubblicamente questi fatti hanno ribadito la volontà di occultare ciò che avviene dentro le carceri. Imputati per omicidio colposo sono ispettori e commissari del veneziano, accusati, secondo i testimoni, di aver procurato il suicidio del giovane. Dopo essere stato salvato dai propri compagni di cella da un tentativo di impiccagione, il marocchino viene infatti sbattuto nudo nella famigerata “liscia” (una cella priva di suppellettili e di servizi igienici), dove, contro le procedure, gli viene consegnata una coperta, oggetto che, inevitabilmente, Cherib usa per soffocarsi.
L’unico testimone rimasto della vicenda è Eddy Karim, anch’egli, all’epoca dei fatti, detenuto a Santa Maria Maggiore. La storia di Karim è esemplare di come l’autorità possa ricorrere a qualsiasi mezzo per reprimere la vita di un individuo, quando questa vita diventa inconciliabile e ostile con il sistema carcere. Manifestata la volontà di testimoniare riguardo all’uccisione di Cherib, Karim viene trasferito nel carcere di Ascoli. Qui, con vigliacca furbizia, gli viene fatta passare una notte nel braccio riservato a infami e pedofili, notte che gli costa un pestaggio violentissimo (finisce in coma) da parte degli altri carcerati una volta trasferito nella sezione dei comuni. In gergo si chiama “bicicletta”, una trappola tesa a provocare una ritorsione per conto delle guardie. Contattato un magistrato di Macerata, questo si rifiuta di aprire un procedimento sull’accaduto. Da Ascoli passa poi nel penitenziario di Verona. Nella città scaligera solidarizza con altri detenuti in lotta per le pessime condizioni della struttura: organizzano una protesta e in 200 si rifiutano di rientrare nelle celle dopo l’ora d’aria, fino all’arrivo della celere. Da Verona viene quindi trasferito a Trieste, in un ambiente più mite e meno incline alla ribellione. Assiste all’agonia di un anziano carcerato, lasciato morire tra rantoli e lamenti nel gelo della sua cella. Intraprende quindi una protesta individuale per dare visibilità all’accaduto: riesce rifiuta il cibo per 33 giorni, ottenendo un sensibile miglioramento delle condizioni detentive, ma pregiudicando le sue condizioni fisiche in maniera permanente. Viene scarcerato pochi mesi dopo per incompatibilità al carcere, dovuta al precario stato di salute. Una volta uscito, in vista del processo di Venezia, Karim subisce pressioni di ogni tipo da parte della polizia: gli vengono offerti dei soldi in cambio del silenzio, perquisiscono la sua abitazione e subisce, assieme alla sua compagna, minacce di morte e altre angherie. Pur non riponendo fiducia alcuna nella giustizia di tribunali e carcerieri, vogliamo esprimere la nostra più sincera vicinanza a Karim e sostenere la sua coraggiosa scelta.
In un presente dove ogni eccedenza del corpo sociale viene trattata come un problema di ordine pubblico, dove ogni vita non uniformata alle esigenze di turno dell’economia rappresenta una mina piazzata nelle fondamenta del sistema, il carcere ritorna nelle nostre esistenze come un osceno rimosso, con cui trovarsi a fare i conti. Conoscerlo, comprenderne il funzionamento e la funzione, può aiutarci a renderlo meno pericoloso, come a dubitare della sua ineluttabilità. Questa presa di coscienza, e di posizione, non può però che passare attraverso il coraggio di persone come Karim, che, denunciando all’esterno i soprusi visti e subiti, contribuiscono a rendere le mura delle prigioni sempre più invisibili. Un nostro abbraccio va anche a tutti coloro che, dalle valli alle città, lottando per la libertà se la vedono togliere con infami restrizioni.
A fianco di Karim
Alcuni solidali
versione scaricabile del volantino: karim
Non vogliamo dormire!
Un locale che chiude, l’ennesimo in una città sempre più ostile e spettrale. La risposta: tornare in piazza a fare festa, organizzare da soli le proprie serata, i propri spazi.
Questo testo è stato distribuito durante il botellon, convocato a pochi giorni dalla chiusura dell’ “Osteria da Filo” in Campo San Giacomo da l’Orio.
Articolo su la Nuova
Diciamolo senza mezzi termini: la chiusura, per ordine del tribunale, dell’ Osteria da Filo (la Poppa) rappresenta l’ennesimo colpo messo a segno ai danni di tutti coloro che, nonostante la continua chiusura di servizi e spazi di aggregazione, si ostinano a vivere Venezia e le sue calli non da semplici consumatori.
Senza entrare nel merito del provvedimento giudiziario( spetterà ai gestori del locale farsi valere anche in quella sede) è da sottolineare come questa disposizione, più che all’osteria in sè, sia rivolta alla sua clientela e, più in generale, a una fascia di popolazione giovanile-studentesca che fatica a trovare una collocazione normalizzata.
Sembra infatti che, in questa città, il semplice incontrarsi per strada, scambiare due chiacchiere, bere una birra costituisca di per sè una condotta vergognosa e criminale, tanto da far finire sotto sequestro e/o sorveglianza speciale i luoghi in cui ciò avviene.
Ma cos’avrà mai di pericoloso tutta questa misteriosa circolazione di corpi,parole, pensieri?
Presto detto: il fatto di essere un ostacolo alla completa mercificazione della zona.
Campo San Giacomo, San Stae, Rio Marin ma nel complesso il Sestiere di S.Croce, stanno vivendo, in linea con ciò che accade nel resto di Venezia, una trasformazione da aree residenziali, prima considerate “degradate”a distretto atto a ospitare grandi flussi turistici. Per rendersene conto basta fermarsi ad osservare le evidenze: negli ultimi anni tre palazzi storici sono stati destinatia diventare hotel di lusso (Palazzo Pemma, Ca’ Bacchin delle Palme,Ca’ Tron, solo questo “salvato” grazie all’azione diretta di studenti e abitanti), un negozio di paccottiglia turistica ha aperto, l’ultima macelleria del sestiere sta per chiudere per far posto all‘ennesimo supermercato, due “compro-oro” si sono insediati nel raggio di poche centinaia di metri.
Verrebbe da chiedersi dov’erano quei residentidi San Giacomo così attenti al bene del proprio quartiere,mentre tutto ciò avveniva in tempi rapidissimi e in maniera irreversibile. Probabilmente a dormire, beati nel silenzio funebre di una città in agonia.
Occorre, a questo punto, prendere coscienza del ruolo che si riveste, in una città come Venezia, anche semplicemente scegliendo di trascorrere una serata tra le sue vie, lontani dalle discoteche della terraferma e da quel ghetto per studenti che hanno fatto diventare Santa Margherita. Le strade di una città tanto più sono vissute tanto meno risultano mercificabili.Vivere queste strade significa impedire che ciò avvenga, rendendo le nostre relazioni una spina nel fianco per affaristi e speculatori.
Un’intesa con i residenti è senz’altro auspicabile,ma è intollerabile che l’unico scambio tra vecchi e nuovi abitanti somigli al rapporto tra un guardia-sala e i fruitori del museo.
Salvare la città è anche ri-conoscersi nelle sue strade, nei suoi campi, nei quartieri.
Quelli che non vogliono dormire.