Tre giorni contro la Sorveglianza

Una proposta. Tre giorni di discussione e iniziative contro la richiesta di Sorveglianza Speciale. Tre spazi di confronto e possibile azione.

A Venezia, il prossimo 16, 19 e 20 settembre.

Sempre contro ogni galera, con o senza sbarre.

 

Troverete tutti i materiali fin’ora prodotti sulla questione (volantini e manifesti scaricabili) a questo indirizzo.

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Un anno dopo

Lo scorso 29 luglio, nell’anniversario della prima rivolta di Santa Maria Maggiore, la Questura di Venezia ha formalmente notificato la chiusura delle indagini per i fatti accaduti all’esterno del carcere veneziano lo scorso anno. Ai 25 indagati vengono contestati reati che vanno dall’oltraggio a pubblico ufficiale al danneggiamento, reati che sarebbero stati commessi nelle giornate del 29 e 30 luglio, 21 agosto, lo sciopero di settembre e il 3 ottobre.

Ricordando quelle fantastiche giornate, esprimiamo solidarietà totale a tutti e tutte gli indagati!IMG_0456


Ancora qua

Si è da poco conclusa la quinta edizione della Sagra Marziana. Una festa attraversata da centinaia di persone, nata quest’anno tra qualche difficoltà legata alle (tentate) imposizioni questurine.

Ringraziando tutte le persone che hanno contribuito alla perfetta riuscita dell’evento, qui sotto trovate qualche foto e, per chi se lo fosse perso, uno dei testi distribuiti durante le serate.


Ancora qua

Con l’aria, col sole
Con la rabbia nel cuore
Con l’odio, l’amore
In quattro parole
Io sono ancora qua

-Vasco Rossi-

Quest’anno la Sagra Marziana è arrivata alla sua quinta edizione. Un’avventura partita quasi per scherzo, tra una chiacchiera e un bicchiere di vino in un’orticello appena piantato, tra il muro che divide Santa Marta dal resto della città e il fumo delle navi da crociera. Un’avventura che, all’inizio, sembrava impossibile: far ritornare al meglio una vecchissima festa di quartiere, con molta buona volontà ma con pochissimi mezzi materiali ed economici. Un’idea che è riuscita a concretizzarsi solo grazie all’aiuto di un grandissimo numero di persone, di storie che hanno saputo incrociarsi, di incontri formidabili avvenuti al momento giusto.

Lo spirito con cui abbiamo cercato di affrontare l’organizzazione della Festa è sempre stato quello di non limitarsi a un pur sacrosanto “magna e bevi”, ma di portarvi, per quanto possibile, una visione e una maniera di vivere il quartiere lontana dalle logiche economiche dominanti. La ricerca costante di uno stare assieme che mettesse al centro il mutuo appoggio, l’amicizia, la solidarietà tra chi è nato o chi ha scelto di abitare in uno dei pochi angoli di Venezia tagliati fuori dal passaggio dei flussi turistici.

Uno sforzo che abbiamo sempre voluto non limitato a questi pochi giorni di fine luglio, ma a una quotidianità altra, per forza di cose antagonista a gran parte di ciò che ci passa sotto gli occhi tutti i giorni.

Per queste ragioni giusto un anno fa, mentre fervevano i preparativi della scorsa edizione, non ci abbiamo pensato due volte prima di recarci sotto le mura del vicino carcere di Santa Maria Maggiore, scosso in quei giorni da una rivolta scoppiata a causa del sovraffollamento e delle pesantissime condizioni di reclusione, per portare un po’ di solidarietà ai detenuti.

Un gesto che è costato a una trentina di persone un foglio di via dal Comune di Venezia, un provvedimento di allontanamento totalmente discrezionale, che può venire emesso dal Questore anche in assenza di reati o processi specifici. Un gesto che, per il valore che ha avuto, continueremo a fare mille altre volte.

Molte delle persone colpite da questi odiosi provvedimenti sono, o sono state, parte integrante nell’organizzazione della Sagra Marziana e di altri momenti di incontro in quartiere. Insieme si è deciso di violare questi provvedimenti, di non sottostare al ricatto questurino e di continuare con ciò che si stava portando avanti, ritenendo i propri affetti e i legami intessuti con il territorio più importanti di qualsiasi imposizione poliziesca.

Una scelta che costerà in termini di denunce e processi, ma che rivendichiamo in pieno.

Recentemente il Questore, evidentemente non soddisfatto dal “risultato”, ha anche richiesto l’applicazione della sorveglianza speciale per un’altra persona, anch’essa attiva da anni nell’organizzazione della festa. Una misura che, qualora venisse approvata, imporrebbe l’obbligo di soggiorno per due anni nel comune di Venezia, l’obbligo di rientro notturno e il divieto di incontro con pregiudicati o soggetti destinatari di misure di prevenzione, oltre al divieto di frequentare assemblee e luoghi di ritrovo. L’udienza che deciderà in merito all’applicazione di questa misura è stata fissata per il prossimo 20 settembre.

Pensiamo sia utile e necessario, per tutti, far nascere di continuo momenti di confronto e di scambio sulle questo tipo di misure repressive. Non per piangersi addosso, o per riscuotere formali attestati di solidarietà, ma per trovare insieme nuove maniere di affrontarle, partendo dai luoghi in cui si vive e da ciò che già si fa.

Partendo da momenti come questa festa.

Qualche marziano bandito dal pianeta terra

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Dalla quarta sezione

Riportiamo una lettera arrivata dal carcere San Pio X di Vicenza, firmata da alcuni detenuti della quarta sezione. La richiesta di diffusione di questo scritto nasce dalla necessità di far conoscere il comportamento delle guardie durante l’incendio di quattro giorni fa, guardie che avrebbero volontariamente omesso di soccorrere un detenuto asmatico svenuto per il denso fumo in sezione.

Nello scritto si fa anche riferimento ad un altro incendio, avvenuto tre giorni prima.

Il testo è riportato in maniera integrale, con l’aggiunta di qualche elemento di punteggiatura e un’ortografia normata. La sintassi è invece totalmente originale.


Noi detenuti della 4a sezione testimoniamo con questo foglio che la notte del 12/07/16 verso le ore 22 circa è stato dato fuoco a un lenzuolo che ha causato fumo sintetico [sic], e poi sono state avvisate le guardie di intervenire con un modo rassicurante, per spegnere l’incendio e di bagnare tutta la cella, così il detenuto che si trovava dentro non poteva appiccare il fuoco di nuovo.

Ma non è stata una richiesta per la nostra sicurezza e vita ed infatti fu [sic] incendiata di nuovo la cella con i materassi di prodotti chimici, cosa che ha riempito tutta la sezione di fumo sintetico e molto tossico. A quel punto le guardie spengono il fuoco e ci fanno uscire per le scale. Un’ora dopo qualcuno di noi si accorge dell’assenza di E. che tutti sappiamo che soffre d’asma visto che è stato intossicato e ha respirato [il fumo di un] incendio di un cuscino la sera del 9/7, cioè tre giorni prima.

E solo un’ora dopo quest’ ultimo incendio sono andati a portare E. che era svenuto, e noi tutti eravamo al cancello.

Come si fa a non intervenire e spegnere il fuoco subito causati detenuti e cercare di non farci intossicare?

Come si fa ad abbandonare un detenuto che soffre di asma respiratoria quando tutte le guardie sono a conoscenza del suo problema ? Poi abbiamo visto che e assistito a questa cattiva azione , sappiamo che sono andati subito all’ospedale per disintossicarsi , speriamo che diano a noi il modo di disintossicarsi, visto che abbiamo respirato la stessa aria delle guardie.

Vi ricordiamo che siamo esseri umani anche noi!!

Seguono le firme di 17 detenuti della quarta sezione

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Sette anni, sette mesi

E’ arrivato ieri a sentenza il processo a carico di alcuni secondini di Santa Maria Maggiore, accusati di omicidio colposo per la morte di Cherib Debibjavi, avvenuta nel 2009 all’interno del carcere veneziano.

Cherib, dopo essere stato salvato dai propri compagni di cella da un tentativo di suicidio, si è impiccato il giorno seguente dopo essere stato sbattuto nella cella 408, la famigerata “liscia” (una stanza priva di suppellettili e di arredi), con la sola compagnia di una coperta che ha usato come corda. La sua storia, anche grazie alle coraggiose testimonianze di altri reclusi che l’hanno fatta uscire, ha iniziato a portare l’attenzione sulla sadica amministrazione del carcere veneziano, sviluppando una sensibilità alla solidarietà che ha saputo riflettersi fino agli ultimi eventi.

Ieri, dopo 7 anni e numerose udienze, sono stati assolti l’ispettore Leonardo Nardino e il vice-sovrintendente Francesco Sacco, accusati di aver presieduto e sorvegliato il trasferimento di Cherib nella “liscia”. Condannato invece a 7 mesi di reclusione, per i reati di omicidio colposo e abuso di autorità, l’ispettore Stefano di Loreto, colui che avrebbe materialmente chiuso la porta della cella, abbandonando il ragazzo a un destino già scritto.

Condannata in primo grado ma già assolta in appello la sorvrintendente capo Daniela Caputo, che avrebbe convalidato formalmente il trasferimento.

Come in altri casi simili la Giustizia assolve sè stessa, preservando intatta la catena di comando e affibiando pene a dir poco simboliche agli esecutori materiali. Pene che suonano come l’ennesimo schiaffo alla memoria di un ragazzo morto perchè finito nelle mani dello Stato.

Chi muore in carcere muore di carcere, scrivevamo dopo il decesso di Manuel a Santa Maria Maggiore nel novembre dell’anno scorso, decesso le cui circostanze rimangono tuttora oscure. Un messaggio che resta ancora valido e pieno di senso.

La giustizia dei tribunali ha fatto il suo corso. Ora non resta che evitare di seppellire ancora una volta Cherib sotto una coltre di oblio e di pacificazione.

E per non dimenticare bisogna, prima di tutto, non perdonare.

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Fuoco nel fuoco

Ancora fuochi nel carcere San Pio X, a Vicenza. Un detenuto italiano, esasperato dalle condizioni sempre più critiche di uno dei penitenziari più infernali della regione, avrebbe dato fuoco al materasso della propria cella, intossicando 5 agenti di polizia penitenziaria. Secondo i giornali l’episodio non sarebbe isolato, ma si inscriverebbe in un’escalation, l’ennesima, di violenze ai danni delle guardie e di insubordinazioni iniziate in questi giorni, con l’arrivo del gran caldo. I sindacati di polizia più attivi (i soliti Uil-Pa e Sappe) lamentano come al solito le precarie condizioni di sicurezza in cui sono costretti (?) ad operare, assieme a una cronica mancanza di organico.

Mancanza di organico che si andrà ad aggravare dal prossimo mese. Il 26 luglio prossimo è infatti prevista la visita al San Pio del ministro della giustizia Orlando, che inaugurerà il nuovo padiglione del carcere berico, con 200 posti nuovi di zecca pronti ad essere riempiti. Un progetto, quello del nuovo padiglione, previsto dall’ultimo piano carceri, che in Veneto ha riguardato principalmente la costruzione del nuovo carcere di Rovigo.

Un ampliamento che sicuramente non andrà a risolvere una situazione da più di un anno in costante ebollizione, tra vermi e altri insetti nel vitto, prepotenze delle guardie e rivolte sedate con l’intervento di reparti speciali.

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Nè buone, nè cattive

In merito all’udienza per la richiesta di Sorveglianza Speciale ai danni di un compagno, tenutasi il 30 giugno scorso nell’Aula Bunker di Mestre, il Tribunale si è riservato di decidere solo dopo aver raccolto ulteriori informazioni sulle segnalazioni e sullo stato dei procedimenti contestati all’interessato.

E’ stata quindi fissata una nuova udienza per il prossimo 20 settembre, alle ore 12, presso la Cittadella della Giustizia di Venezia, in Piazzale Roma.

Cogliamo questo rinvio come un’occasione per allargare la solidarietà e il discorso su questa pesante misura di prevenzione.

Aspettando il 20 settembre.

Godot


Prima della risposta

Stamattina alle dieci si è svolta l’udienza per decidere in merito alla richiesta di Sorveglianza Speciale ai danni di un compagno. Il responso si avrà nei prossimi giorni.

Mentre si svolgeva l’udienza, a Mestre in aula Bunker, un ingente numero di agenti è stato sguinzagliato nei dintorni di Santa Marta, del carcere e del Tribunale di Venezia, tant’è che un compagno, destinatario di uno dei numerosi fogli di via dei mesi scorsi, è stato identificato, portato in questura e rilasciato solo dopo avergli preso le impronte digitali.

Seguiranno aggiornamenti nei prossimi giorni.

sorvegliarsi

 


Il cerchio si chiude (?)

ACCADIMENTI

Qualche giorno addietro, in una umida e piovosa mattina di giugno, due loschi figuri bussano alla porta di una casa nel quartiere di Santa Marta, pianeta Terra, lembo sud-occidentale della città di Venezia. “Che novità sono queste? Voglio proprio vedere chi c’è di là, e che scuse accamperà la signora Grubach per questa seccatura”. In mano un plico di fogli recante foto sbiadita dell’interessato, corredato da timbri e controfirme:”Richiesta di sorveglianza speciale. No sta rider. No xe da rider”.

NOTE DI INTERMEZZO

La Sorveglianza Speciale è una misura di prevenzione regolata da una legge del 27 dicembre 1956, ma l’idea, ad occhio e croce, risale almeno a una ventina d’anni prima. Erede diretta dell’ “ammonizione” fascista (un provvedimento che, tra le altre cose, impediva di camminare sui marciapedi), è stata rimaneggiata più volte fino al 2011, con l’unico scopo di renderla ancora più pesante e invasiva.

Essendo, per l’appunto, una misura di prevenzione, la sua applicazione può venire richiesta anche in assenza di reati passati in giudicato, purché si comprovi la “pericolosità sociale” del soggetto. Pericolosità che si delinea attraverso un minuzioso collage dei comportamenti penalmente rilevanti e non dell’interessato, comprese le sue frequentazioni abituali, il suo stato patrimoniale, le idee a cui si richiama e ciò che fanno i suoi amici in sua assenza.

La Sorveglianza ha lo scopo dichiarato di favorire la resipiscenza del soggetto, mirabile termine giuridico che designa il “ravvedimento operoso” (e che deriva dal latino resipiscere, riprendere i sensi, o, più volgarmente, darsi una reffata). Per raggiungere questo scopo la misura, una volta effettiva, impedisce al sorvegliato di frequentare luoghi pubblici o assemblee, di incontrarsi con più di tre persone alla volta, di parlare con pregiudicati o sottoposti ad altre misure di prevenzione, di essere fuori casa dopo le 21 e di non frequentare bettole, osterie o postriboli (ah, i postriboli!). Il provvedimento, come nel nostro caso specifico, può essere aggravato dall’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, dall’obbligo di firma in questura o da quello di comunicare alla polizia ogni proprio spostamento. Il tutto per una durata tra gli uno e i cinque anni, che si sospende in caso di carcerazione e che può essere comunque rinnovata in caso di mancato ravvedimento del soggetto, potenzialmente all’infinito.

La seguente citazione, tratta da uno scritto sulla sorveglianza speciale di alcuni “insuscettibili di ravvedimento”, ne fornisce senza ombra di dubbio una descrizione calzante:

“Una repressione fuori e dentro il Diritto, una sorta di carcerazione “a costo zero” che raccoglie e affina diversi arnesi del potere: antropologia criminale, ortopedia sociale, giudizio psichiatrico, sospetto fascista, rieducazione stalinista e perbenismo democratico. Non un’anticaglia del passato, dunque, ma il volto del presente”.

MA NON DOVEVAMO VEDERCI PIù?

Nella richiesta formulata a Venezia ad essere presa in esame è la vita dell’interessato dal 2008 ai giorni nostri, illustrando con dovizia di particolare una lunga serie di episodi “dall’alto valore sintomatico” che lo ricondurrebbero alla categoria di persone pericolose per la tranquillità e la sicurezza pubblica. Tra questi, tanto per dire, l’essere stato presente mentre veniva acceso un fumogeno allo stadio o essere stato avvistato nella ridente cittadina di Rovereto (TN).

Se i sintomi designano una malattia, la cura va presto somministrata: due anni ben lontano dai propri affetti e dalle proprie geografie, pur non potendo lasciare il posto dove si vive. Ma, come si evince dalla conclusione del rapporto questurino, tutto a fin di bene: in fin dei conti l’interessato ha persino lasciato gli studi e non possiede un lavoro stabile, perchè troppo occupato ad essere un pericolo sociale ambulante.

Nella relazione, particolare enfasi viene posta alle azioni di solidarietà intraprese a sostegno delle mobilitazioni dei detenuti nell’ultimo anno, a Venezia e nel resto della regione. Presenze solidali che sono già costate più di trenta fogli di via dalla città e tre avvisi orali (provvedimento che, pur non comportando conseguenze nell’immediato, apre di fatto alla procedura per richiedere la Sorveglianza stessa, l’equivalente di un più prosaico “Hai rotto il cazzo”).

Ora, dato che tra le imposizioni della Sorveglianza vi è il divieto di incontro con chi è sottoposto a misure di prevenzione, come il foglio di via, appare chiaro l’intento di disarticolare definitivamente i legami all’interno di un gruppo di persone , individuato come particolarmente attivo nella lotta al sistema carcerario.

IL CERCHIO SI CHIUDE, O FORSE NO.

Con quest’ultima trovata si chiude idealmente il cerchio della repressione preventiva iniziato con i primi banditi lo scorso settembre, anche se tutto fa pensare che non sarà l’unica misura di questo tipo richiesta nei prossimi tempi.

Così la Questura cerca di ottenere il massimo risultato (l’allontanamento delle persone dai contesti di vita e di lotta a cui appartengono) con il minimo sforzo, senza darsi la pena di perdere anni per processare reati comunque, di per sè stessi, poco rilevanti. Per farlo si avvale di un Diritto d’ “eccezione”, ma normato e presente nei codici almeno da un secolo. Così, se per caso qualcuno volesse spenderci una riflessione.

Spezzare il cerchio è oggi affare di tutti e di ciascuno. I perchè sono molteplici, si possono ricercare tra le sbarre di quell’inferno che sono le carceri italiane, nei mille immobili vuoti o nei mille alberghi di questa città, nel calore delle sue bettole e osterie (quelle poche che sono rimaste frequentabili). Non è un affare tra anarchici, ma nemmeno si tratta di chiedere indietro uno”Stato di diritto” che non è mai stato altro che bastonate e morti ammazzati in galere e nelle strade.

In ballo c’è la possibilità di decidere della propria vita, dei propri affetti e delle proprie idee, rifiutando l’idea che uno sbirro, una piovosa mattina di giugno, bussi alla tua porta per dirti che devi smettere di essere così, per il tuo bene e quello del prossimo.

Giovedì 30 giugno, alle 10 del mattino, ci sarà l’udienza in cui il Tribunale del Riesame deciderà in merito all’applicazione della Sorveglianza Speciale, nell’Aula Bunker di Mestre. Nonostante molti solidali non disdegnino le gite nei campi, specie se molto isolati e lontani dagli altri esseri umani, nessuna presenza è stata prevista lì per quel giorno.

Prima, dopo, durante le occasioni per farsi sentire si troveranno, basta cercarle.

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Sorveglianza Speciale

Ieri mattina, 9 giugno, la polizia anticrimine ha bussato alle porte di una casa nel quartiere S.Marta, per notificare a un compagno una richiesta di sorveglianza speciale  per due anni.

Un plico di  16 pagine che, oltre a citare gli ultimi episodi relativi al sostegno alle mobilitazioni dei detenuti, prende in esame praticamente l’intera vita dell’interessato, mettendo in mezzo anche tutta una serie di fatti non penalmente rilevanti ma che, secondo la Questura, possiedono un alto “valore sintomatico” per delineare la pericolosità sociale del soggetto. Come l’aver frequentato lo stadio o il fatto di essere stato più volte identificato in Val di Susa e in altri contesti di lotta.

La sorveglianza è inoltre aggravata dalla richiesta dell’obbligo di soggiorno nel comune di Venezia per due anni, motivato dal fatto che “una totale libertà di movimento, in assenza di un lavoro fisso, porta con tutta evidenza alla prosecuzione di comportamenti illeciti”. Per condire il tutto con ulteriore cupezza l’udienza che deciderà in merito alla richiesta è stato fissata nell’Aula Bunker di Mestre, giovedì 30 giugno prossimo.

Seguiranno aggiornamenti sul da farsi.

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