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1970 Santa Maria Maggiore

Santa Maria Maggiore, 31 ottobre 1970.
Abbiamo visto nei giornali le foto dei compagni di Lotta Continua, che stanno facendo lo sciopero della fame a Porto Marghera. Buona parte di noi si trova qui dentro vittima di questo sporco sistema che colpisce i proletari in tutti i modi. Quando parliamo tra di noi e ci raccontiamo le nostre esperienze, il risultato finale è un odio accanito contro tutti gli sbirri, i manicomi, le galere, i tribunali e tutta la “malavita”: quella vera, degli imbroglioni, e ladri di prima classe, i padroni. I padroni e i loro servi che vivono sulle spalle del popolo. Oggi leggevamo sul “Gazzettino” del “Caso Boato” e ognuno di noi ritrovava se stesso e mesi e mesi di carcere preventivo, di umiliazioni, di segregazione, che centinaia di giovani devono subire per dei reati quasi sempre dettati da necessità economiche o addirittura inesistenti.
Bisogna essere qui dentro per capire la freddezza con cui si lascia marcire qui tanta gente, senza avere nessuna vera prova in mano; bisogna essere qui dentro per accorgersi che la stragrande maggioranza è gente povera: i signori, i padroni come Riva trovano sempre il modo di cavarsela; soprattutto se dietro c’è la Montedison, come per gli assassini del Vajont che non hanno rubato qualche carta da 100 mila, ma hanno ammazzato freddamente ben duemila persone. Basterebbe pochi giorni qui per accorgersi che i “delinquenti” sono una minoranza: ci sono ragazzi che aspettano da mesi il processo, per essere stati trovati con due grammi e mezzo di droga. C’è un vecchio dentro per vecchi rancori tra famiglie. C’è un negro di venti anni del Sud Africa qui da quasi un mese per una baruffa al porto (in questura ha perso anche i vestiti). Quando l’hanno interrogato parlavano solo italiano: non ha capito niente né lui né l’interprete. Ora è qui, senza i soldi per l’avvocato, abbandonato dalla sua nave di squadristi bianchi. Un ragazzo di Milano, orfano, senza una lira, è qui da agosto e aspetta il processo che chissà quando verrà: questo per aver dato un bacio ad una tedesca a Iesolo dove lavorava. Venendo in prigione, ha perso anche la stanza dove abitava, il comune l’ha passata ad un altro.
E ci sarebbe da parlare anche di quelli di noi che sono “ladri”: abbiamo tutta una nostra morale al fondo del nostro comportamento, una serie di principi: ci rifiutiamo di lavorare da schiavi: “lavorare un mese per portare a casa una miseria”, la ridistribuzione dei soldi rubati dai borghesi alla povera gente. I soldi infatti non si trovano dove non ci sono, cioè nelle case degli operai.
Se usiamo la violenza è perché alla “giustizia” dello stato capitalista cerchiamo di opporre la nostra giustizia. Il nostro errore è stato quello di interpretare individualisticamente questi principi, in modo cioè da perpetuare lo sfruttamento e non da eliminarlo.

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