Noi non scordiamo Mirco. Dentro come fuori solidali con chi si ribella- Baldenich 28/2.
Due striscioni ricordano i motivi del presidio odierno: ricordare Mirco Sacchet, il giovane detenuto morto all’interno del penitenziario bellunese nel 2010 e non lasciare solo chi, poco più di un mese fa, si è ribellato contro quelle stesse mura assassine.
La giornata vede una grossa partecipazione che si fa subito sentire con cori e, più tardi, anche con l’impianto sonoro. L’attenzione è maggiore rispetto alle volte precedenti: più di un passante si ferma e sarà fondamentale l’apporto di qualche abitante della zona per risolvere i consueti problemi tecnici.
La risposta dei ragazzi dentro non si fa attendere, calorosa come sempre. A presidio in corso qualche solidale armato di megafono riesce a portare un saluto alle celle su un altro lato del carcere, più vicino alla strada e alle case circostanti.
Finisce con dei sentiti ringraziamenti oltre le sbarre, improbabili ma efficaci traduzioni dal francese e le note di un noto cantautore italiano, in una delle canzoni preferite da Mirco.
Molti ombrelli aperti, per paura delle pessime previsioni meteo. E invece, su di noi nemmeno una nuvola…
Di seguito il testo di uno dei volantini distribuiti, in merito alla rivolta dello scorso 28 febbraio:
Oggi 13 aprile Mirco Sacchet avrebbe compiuto 33 anni. Ma Mirco, come tanti altri detenuti, non è mai uscito dalle mura del carcere dove era finito. Le circostanze della sua morte, avvenuta nel 2010 al Baldenich e archiviata come “suicidio”, non sono ancora state chiarite, e probabilmente non lo saranno mai.
L’ unica cosa certa è che Mirco, come tanti altri detenuti, è morto di carcere. Un’istituzione che uccide attraverso i pestaggi e i soprusi delle guardie, il bisogno indotto di psicofarmaci come mezzo di controllo, l’isolamento e la rassegnazione che produce quotidianamente. Uno stato di cose che, seppur pensato in ogni dettaglio per apparire ineluttabile, può essere ribaltato attraverso la lotta, la solidarietà, la rabbia di chi vi si trova rinchiuso. Come è recentemente accaduto all’interno del penitenziario bellunese.
Il 28 febbraio scorso i detenuti del Baldenich fanno partire una rivolta. Allagano le sezioni, sradicando i tubi dell’acqua e usandoli per difendersi dalle guardie. Barricano le sezioni con gli arredi delle celle, attaccano la polizia, accorsa in forze anche da fuori regione, lanciando le bombole del gas usate per cucinare. Solo a tarda notte l’amministrazione riesce a riprendere il controllo della struttura.
Un episodio importante le cui conseguenze, anche se non percepibili nell’immediato, apriranno possibilità inedite in un presente altrimenti sempre uguale a sé stesso. Da sempre infatti ogni piccola miglioria delle condizioni carcerarie è passata attraverso la ribellione dei reclusi. Il numero di oggetti da poter tenere con sé, le ore d’aria, i colloqui con parenti e congiunti e mille altri piccoli aspetti della detenzione sono stati strappati con proteste durissime, pagate a caro prezzo da chi ha avuto il coraggio di portarle avanti. Lotte che sono servite a rendere più sopportabile la permanenza ma, soprattutto, a preservare la possibilità di continuare a lottare anche in un luogo come il carcere
L’amministrazione ha reagito trasferendo una ventina di ragazzi in altre strutture della regione e alcuni persino in Piemonte e Sardegna. Un tentativo di spezzare i legami di solidarietà e complicità instaurati, base imprescindibile per poter pensare di alzare la testa.
Una pratica, quella dei trasferimenti in massa, che abbiamo già visto in atto a Venezia a seguito delle proteste della scorsa estate, ma che è risultata inefficace nel momento in cui i trasferiti hanno trovato situazioni ancora più “calde” di quelle originarie.
Sostenere oggi chi ha prerito la rivolta al ricatto delle detenzione vuol dire fare in modo che parole come auto-organizzazione, complicità e solidarietà non perdano di senso. Significa fare in modo che, in altre prigioni come nelle strade, qualcun altro trovi il coraggio di prendere in mano la propria vita e scagliarla contro la miseria che lo rinchiude.
Perchè se il carcere può essere abbattuto, assieme al mondo che lo regge, non possiamo che sostenere chi, da dentro, ha già iniziato a togliere la terra dalle sue fondamenta.