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La solidarietà corre più veloce del TAV

Domenica 26 ottobre. Il vincitore della Venicemarathon 2014 Behailu Mamo Ketema viene salutato, all’altezza delle Zattere, da striscioni e bandiere solidali con i No Tav accusati di terrorismo.

Solidarietà ad alta velocità!

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Benefit “Los Tettos”

Da quando abbiamo occupato l’ex Ospizio, il 4 novembre dello scorso anno, molti sono stati i lavori di ristrutturazione dovuti ad anni di incuria da parte della proprietà. Fra le parti maggiormente danneggiate della struttura il tetto: infiltrazioni, tegole mancanti, assi lasciate marcire che, oltre a contribuire a deteriorare la struttura dell’Ospizio, stavano anche creando danni alle case vicine.

Una serata, Los Tettos, per raccogliere fondi per proseguire nei lavori, in totale autonomia e senza chiedere nulla a nessuno.los tettos web

 


Spazi pubblici contemporanei

Pubblichiamo qui un testo scritto a partire da alcune riflessioni sugli spazi pubblici contemporanei, letto e commentato durante il dibattito seguito alla proiezione di “Vite al centro” .

Il testo è scaricabile anche in .odt dal link qui sotto.

spazi pubblici contemporanei


 

SPAZI PUBBLICI DI LARGO CONSUMO NELLA CITTA’ CONTEMPORANEA

Gli spazi pubblici sono per la loro stessa natura spazi politici e culturali fondamentali rispetto ai processi di formazione delle identità sociali collettive: questo perchè stare fisicamente assieme ad altre persone in un ambiente significa inevitabilmente avviare dei processi di confronto collettivo, il cui esito è l’identificazione dei “simili”, ovvero delle persone con cui condividiamo delle attitudini, e quindi la costituzione di collettività, per le quali tali spazi si trasformano in “luoghi”, nel senso sociale-antropologico del termine: ad essi viene attribuito un carattere, una personalità che li rende unici e territorializzati, ovvero portatori di un senso collegato all’ambiente in cui si trovano e alle persone che lo abitano.
Nella società contemporanea si stabiliscono legami collettivi temporanei attorno agli individui, agli oggetti e alle immagini che appartengono alla cultura del consumo e dello spettacolo, piuttosto che ai grandi temi della religione, della politica e del lavoro. Le relazioni sociali non discorsive, figurali, digitali, estetizzate, hanno ormai completamente sostituito la parola e il razionalismo. Vige la comunicazione primaria, basata sui desideri, le emozioni, gli istinti primari. Ciò che ne deriva è una forte frammentazione culturale formata da piccoli gruppi con identità dinamiche, fragili: consumatori che vogliono e ottengono spazi usa e getta.
Lo spazio della socializzazione per eccellenza in queste conurbazioni estese contemporanee è quello dei centri commerciali, dei parchi divertimenti, dei waterfront commerciali, degli shopping mall. Una motivazione economico-funzionalista (comodità di parcheggio, ampia scelta di merci, costi più bassi) non è sufficiente a spiegare il successo di questi centri prevalentemente extra-urbani.
Per capire la fortuna di questi spazi è importante metterli in relazione col sistema urbanistico in cui si inseriscono. L’attuale assetto del sistema urbano del triveneto è caratterizzato da un iperestensione territoriale delle agglomerazioni (insediative, economiche e sociali), associata ad un fenomeno di ipermobilità che fa leva sull’uso dei veicoli privati e su una rete infrastrutturale estremamente articolata e differenziata; la città è policentrica, caratterizzata da uno stravolgimento della tradizionale gerarchia centro-periferia. Punto forte è quindi il rapporto diretto con la rete infrastrutturale automobilistica, che diventa sempre più l’elemento di attrazione e formazione di fenomeni agglomerativi in generale. A volte la costruzione di un centro commerciale è l’elemento propulsore della formazione di cittadelle periferiche terziarie, caratterizzate dall’affiancamento di spazi ospitanti vari servizi e funzioni (commercio specializzato, attività culturali (multisala) divertimento (discoteche) alberghi ecc. Ciò avviene attraverso una semplice giustapposizione di edifici e funzioni, senza relazione col contesto urbano: l’esterno è parcheggio. La tendenza è quella di assumere sempre più una dimensione globale, policentrica e scissa dal contesto fisico e sociale a cui questi spazi appartengono.
Innanzitutto vale la pena spendere due parole sulle caratteristiche fisiche di questi spazi: architetture introverse, ma con ingressi grandi e ben visibili (differentemente dalle uscite). Le grandi dimensioni dell’involucro li rendono riconoscibili anche da lontano nonché fortemente dominanti sul paesaggio; l’assenza di relazione tra interno ed esterno (la mancanza di aperture viene sopperita dalla presenza di potenti sistemi di circolazione dell’aria) toglie la percezione dello scorrere del tempo (e delle stagioni): quantità e qualità della luce nonché temperatura sono costanti al suo interno durante tutta la giornata come durante tutto l’anno. La presenza di elementi naturali come piante e acqua serve proprio come simulacro dell’ambiente naturale esterno e permette anzi di indirizzare la percezione delle stagioni in base alle strategie di mercato. Quello del centro commerciale è un ambiente altamente estetizzato e coinvolgente dal punto di vista visivo: illuminazioni spettacolari, vetrine accattivanti che propongono la decontestualizzazione delle merci riproposte in chiave scenografica e interni lussuosi. Il consumatore è però coinvolto anche dal punto di vista uditivo e olfattivo: frequenti la profumazione dell’aria attraverso gli impianti e la presenza costante di musica o jingle pubblicitari come sottofondo. In quest’ottica di estetizzazione anche tutto ciò che attiene alla produzione o al lavoro (magazzini, cucine, uffici ecc.) è nascosto, celato come un vero e proprio backstage con tanto di entrata differenziata e accesso riservato agli addetti ai lavori. Altra strategia di vendita applicata alla progettazione è la collocazione differenziata dei negozi: ai piani alti e in ombra i negozi ricercati e al piano terra e in luce i negozi più economici, tutto al fine di naturalizzare le differenze di potere d’acquisto; anche la decontestualizzazione delle merci in esposizione è una strategia che serve ad allontanare nel fruitore l’idea della vendita e dell’interesse economico, provocando paradossalmente al contempo una maggior propensione allo shopping.
Tuttavia la caratteristica e tecnica commerciale più significativa di questi spazi è l’utilizzo di riferimenti simbolici che rimandano all’immaginario collettivo. In particolare la simulazione di elementi pre-industriali ripropone gli ambienti tipici della città tradizionale estetizzati (e anestetizzati), rifacendosi a quell’immaginario nostalgico che idealizza l’età preindustriale collegata ad una sensazione di protezione e armonia, in cui si prediligono la passeggiata protetta, la dimensione controllabile a misura d’uomo, la naturalità.
Non dimentichiamo infine che stiamo parlando di spazi privati, nonostante vogliano riproporre ambienti pubblici. Persino lo spazio automobilistico, prerogativa necessaria al raggiungimento del centro commerciale, è un’estensione dello spazio privato dell’abitazione. Questi centri sono promossi da grandi gruppi economico-finanziari che operano a scala globale e che mirano alla formazione di un reticolo globale di scambio. Il processo di privatizzazione arriva a influenzare spazi e tempi di questi luoghi, in cui sono presenti dispositivi di controllo (telecamere e vigilantes) e regolamenti di comportamento interno specifici.
Per tutti questi motivi questi luoghi diventano quindi simulacri della realtà, ricreando nel fruitore uno stato d’animo favorevole ai processi di consumo. Parallela a questa strategia ma molto simile per certi aspetti è il rimando al futuro e alla modernità tramite l’utilizzo e l’esibizione delle più recenti tecnologie (maxi schermi, spettacoli luminosi).
La socialità tipica di questi spazi si rifà a contatti effimeri, mutevoli, provvisori ed empatici, basati su un presente continuo e idealizzato, sulla comunicazione tattile e sull’identificazione con i simboli della cultura consumistica. Le motivazioni che ci spingono a frequentare gli spazi del consumo di massa spesso non sono dettate da una reale necessità , bensì da un generico desiderio di distrazione, di straordinarietà. Questi contenitori di relazioni, in cui affluiscono gruppi già costituiti di persone (famiglie, piccoli gruppi di amici, coppie) che non interagiscono tra loro, costituiscono gli ambienti adatti alle forme di socialità effimere e provvisorie tipiche della cultura del consumo. Si tratta pur sempre di luoghi in cui si provano ed esprimono emozioni, ma le identificazioni collettive sono temporanee e prive di basi solide. Lo spazio pubblico diventa così esso stesso una merce, da consumare velocemente.
Allo stesso tempo si tratta di spazi escludenti, sia perchè non sono raggiungibili da chi sia sprovvisto di un’automobile, sia per gli individui singoli, in quanto risultano improvvisamente angoscianti se vissuti singolarmente, mostrandosi in tutta la loro pochezza. Risultato: frammentazione politico-culturale, esclusione sociale e crisi delle identità locali.
Si tratta di enclaves protette e sorvegliate che raccolgono segmenti sociali omogenei (i consumatori) ma non interagenti tra loro. D’altronde la volontà generatrice non è quella di creare interazione e ibridazione sociale, ma di procurare dei simulacri di socialità caratterizzati da momentanee interruzioni nella solitudine dei consumatore; ciò che manca non è tanto quindi la convivialità, quanto l’assenza di complessità, diversità sociale, interazione.

Questo non significa che i centri urbani tradizionali non vengono più frequentati: essi si sono adeguati ad un uso turistico che fa leva sul concetto di centro storico come simbolo di identità urbana, museificata ed estetizzata per diventare simulacro di sé stessa. Come nell’800 i boulevards erano il teatro della nuova borghesia che si riconosceva nell’attenersi a precise regole di comportamento (tipologia di vestiti, ora della passeggiata, capacità d’acquisto). Non molto differentemente oggi, gli spazi pubblici di largo consumo ricreano e propongono la situazione della passeggiata in centro davanti alle vetrine, che nonostante la sua pochezza viene vissuta come un’esperienza comunicativa (basata sull’osservare ed essere osservati, e quindi sul continuo contatto visivo con la folla che scorre), creando unità temporanee tra i presenti, proponendo spazi del profitto e dei rapporti di vendita come spazi della socialità in cui utilizzare il proprio tempo libero.
Un percorso che può essere quello interno di un centro commerciale come quello esterno delle strade illuminate a giorno di un centro storico: anche qui infatti la strategia adottata è quella della spettacolarizzazione dello spazio, museificato e riconvertito ad uso commerciale per i flussi turistici, a discapito naturalmente di un restringimento di spazi pubblici tradizionali e servizi per quei residenti che ancora permangono. Attitudini o tradizioni locali vengono enfatizzate, snaturate o addirittura reinventate, tutto al fine di convertirle in termini commerciali: lo spazio pubblico funziona allora come fattore di innalzamento del valore simbolico (e quindi economico) del bene o del servizio venduto.


Proiezione Vite al Centro

locandina web

Di seguito trovate il link al trailer e al sito del documentario:Vite al Centro


Presentazione di “Nunatak”

25 settembre 2015 presentazione di “Nunatak, rivista di storie, cultura, lotte della montagna” all’ex Ospizio Occupato di Santa Marta.

Una chiacchierata con chi ha scelto la montagna e i suoi paesi come punto da cui ripartire per sovvertire l’esistente. Un parallelo tra la montagna di oggi e la vita nei quartieri delle nostre città, un confronto su come vivere bene dove si è scelto di prendere casa.

locandina colore


Un 29 giugno

Riportiamo qui di seguito un volantino distribuito durante il Pride del giugno 2014.


 

 

Scriviamo queste righe non per condividere l’ennesima analisi su diritti da conquistare, parità da guadagnare, soggetti sociali da sensibilizzare. Nonostante i ricatti delle istituzioni, crediamo sia necessario stimolare una riflessione più profonda sul genere e sul potere, in grado di superarne gli stereotipi, le categorie, i ruoli che ci sono imposti.

Lottare per l’emancipazione di una “minoranza” significa lottare per l’inclusione di una categoria dentro lo stato di cose presenti, altresì attivarsi per il diritto al matrimonio omosessuale significa per noi riconoscere la coppia e la famiglia come forme di vita imprescindibili e immutabili.

Limitante, ma soprattutto terribilmente fuorviante rispetto al problema del rapporto fra i generi, dei condizionamenti che il potere impone nelle nostre relazioni, considerandole una proprietà affettiva.

Reclamando diritti e parità ci confiniamo da soli in una posizione di inferiorità rispetto achi ci governa, parliamo il loro linguaggio di carta e cemento, ammettiamo che la nostra esistenza non potrà mai fare a meno della loro.

Mettiamo a lavoro le nostre peculiarità per essere uguali agli “altri”, per sentirci “liberi” di fare carriera, di sposarci, di condividere la stessa alienazione senza risatine di sottofondo.

Quando occupiamo una casa, ci scontriamo con la polizia, quando prendiamo ciò che desideriamo senza elemosinare un’apparente tolleranza si aprono piccole crepe nel deserto, possibilità di vivere diversamente. Le stesse crepe che si aprono quando riusciamo a estromettere il governo dalle nostre relazioni, quando un incontro diventa qualcosa da raccontare, quando scopiamo invece di andare al lavoro, quando non riusciamo a dare un nome alle sensazioni di un momento

Allargare queste crepe significa riconoscere la carica sovversiva dei nostri affetti, organizzarla, farne un’arma collettiva. Distruggere l’idea di genere per distruggere l’idea di proprietà privata, di denaro, di polizia.

Tra il 27 e il 29 giugno di 45 anni fa centinaia di gay, lesbiche, drag queen e trans gender, in seguito a una retata allo Stonewall Inn, fronteggiarono per giorni la polizia per le strade di New York, dando origine a una sommossa. Per la prima volta nella storia recente la “devianza sessuale” affermava la propria esistenza non come minoranza, ma come potenza rivoluzionaria, con l’univo metodo possibile

Necessario è partire non da questo ricordo, ma dall’incompiuto di quelle giornate, mettendo in discussione continuamente le nostre sensazioni e sentimenti, e con esse il nostro agire. Perseguendo questa tensione affinchè i nostri corpi e i nostri affetti siano forza sovversiva, inconfessabile e pericolosa per il potere.

“Noi siamo ovunque!”

stonewall

Qui la versione per la stampa: volantino pride

 

 


Noi siamo ovunque

Riportiamo il testo di un volantino, scaricabile in versione stampabile dal link in basso, distribuito durante il Pride veneziano del 28 giugno.


 

 

Non scriviamo queste due righe per condividere l’ennesima analisi su diritti da conquistare, parità istituzionali da guadagnare, soggetti sociali da sensibilizzare. Nonostante i ricatti delle istituzioni, che si arrogano il potere di inuire sulle nostre vite ad esempio non concedendo di visitare il proprio/a compagno/a in ospedale, crediamo infatti sia necessario stimolare una riessione più profonda sul genere e sul potere, in grado di superare gli stereotipi, le categorie, i ruoli che ci sono imposti. Come lottare per l’emancipazione di una “minoranza” signica battersi per l’inclusione di una categoria dentro lo stato di cose presenti, altresì attivarsi per il diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso signica per noi riconoscere la coppia e la famiglia come forme di vita imprescindibili e immutabili. Limitante certo, ma soprattutto terribilmente fuorviante rispetto al problema del rapporto fra i generi, dei condizionamenti che il potere impone nelle nostre relazioni, riducendole a proprietà affettiva. Reclamando diritti e parità ci conniamo da soli in una posizione di inferiorità rispetto a chi ci governa, parliamo il loro linguaggio di carta e cemento, ammettiamo che la nostra esistenza non può fare a meno della loro. Mettiamo a lavoro le nostre peculiarità per essere come gli “altri”, per sentirci “liberi” di fare cariera, di sposarci, di condividere la stessa alienazione nalmente senza risatine di sottofondo.

Quando siamo ciò che desideriamo essere, senza chiedere il permesso né elemosinare un’apparente tolleranza, si aprono piccole crepe nel deserto, possibilità di vivere diversamente. Le stesse crepe che si aprono quando riusciamo ad estromettere il governo dalle nostre relazioni, quando un incontro diventa qualcosa da raccontare, quando non riusciamo a dare un nome alle nostre sensazioni in un momento, quando scopiamo invece di andare a lavorare. Allargare queste crepe signica riconoscere la carica sovversiva dei nostri aetti, organizzarla, farne un’arma collettiva: distruggere l’idea di genere per distruggere l’idea di proprietà privata, di denaro, di polizia.

Tra il 27 e il 29 Giugno di 45 anni fa centinaia di gay, lesbiche, drag queen e transgender, in seguito a una retata allo Stonewall Inn, fronteggiarono per giorni la polizia per le strade di New York, dando origine a una sommossa. Per la prima volta nella storia recente la “devianza sessuale” aermava la propria esistenza non come minoranza, ma come potenza rivoluzionaria, con l’unico metodo possibile. Necessario è partire non da questo ricordo, ma dall’incompiuto di quelle giornate, mettendo in discussione continuamente le nostre sensazioni e sentimenti e con esse il nostro agire. Solo così le nostre relazioni potranno essere sempre più paritarie e libere, e i nostri corpi e i nostri aetti potranno realmente costituire una forza sovversiva e pericolosa per il potere.

“noi siamo ovunque”

versione scaricabile del volantino: volantino pride


10 anni di lotte a New York, la capitale del capitale

Negli ultimi 40 anni la città di New York è stata considerata il centro del Capitale globale e culturale. Nella New York povera, ed impoverita, degli anni ’70 ed ’80 abbiamo assistito alla nascita dell’hip-hop, del punk, dei writing, ma anche alla ristrutturazione del capitale. funzionale a favore del ciclo di accumulazione finanziaria. Le contraddizioni tra la Lehman Brothers e la scena underground della periferia, tra il Bronx e Wall Street, si sono mostrate in tutta la loro chiarezza col movimento “Occupy WallStreet”, sfortunatamente uno dei pochi eventi politici degni di rilievo degli ultimi anni negli Stati Uniti.

Attraverso il contributo di un compagno del collettivo Unity and Struggle ricostruiremo gli ultimi 10 anni di lotte a New York, servendoci di brevi filmati dei collettivi Anti-Banality Union, Red Channels, ma anche di video della polizia e di clips anonime.
Parleremo dell’occupazione della New School, del movimento Occupy Wall Street, degli omicidi della polizia nei quartieri di periferia, del black bloc e molto altro…

locandina 20 maggio


Non ci fermerete, non ci fermeremo

Torino, 10 maggio. Testo distribuito durante il corteo da alcuni No Tav veneziani.


 

 

 

NON CI FERMERETE, NON CI FERMEREMO

 

La manifestazione di oggi,10 maggio, ha un’importanza epocale.

Per la prima volta un movimento di lotta popolare, nella sua interezza, rivendica una pratica come il sabotaggio, esprimendo solidarietà incondizionata a quattro compagni/e accusati/e di essere dei terroristi. Il grande merito della Valle, e di tutti i No Tav, è stato quello di aver fatto passare, in questi mesi, il messaggio chiaro che il sabotaggio è giusto, e che il Tav va fermato con ogni mezzo necessario, nonostante il silenzio mediatico nel quale sono stati effettuatigli arresti, nonostante la retorica sempre più legalitaria di partiti e istituzioni.

Con buona pace di chi ha atteso fino all’ultimo per prendere posizione, e di chi l’ha presa per paura diessere definitivamente “tagliato fuori dai giochi”, il Movimento No Tav ha già saputo superare l’innocentismo e il vittimismo, cogliendo la solidarietà ai quattro come occasione per rilanciare la resistenza quotidiana in Valle e tutta la lotta No Tav.

Proprio in virtù di questo non dobbiamo pensare alla giornata di oggi come un punto di arrivo, come non lo era stato il 22 febbraio scorso. Il processo a Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò inizierà il 22 maggio, e dovremo essere altrettanto numerosi e ancor apiù determinati fuori dall’aula bunker, e ovunque sia utile battere un colpo.

Così come dovremo mettere incampo tutta la nostra fantasia e il nostro coraggio in concomitanza alle altre udienze del processo, udienze che cadranno con un ritmo molto serrato, durante l’estate, su cui dovremo allo stesso tempo fare pressione e provare adecostruire il clima da anni di piombo che magistrati, stampa e partiti hanno messo in piedi.

Chi ha capito la portata della posta in gioco questo lo sa bene, come sa che, per dare concretezza alla solidarietà, sarà necessario impegnarsi in Valle più di prima, disturbando i lavori a Chiomonte, le truppe di occupazione e preparando il terreno perl’apertura dei cantieri veri e propri tra Susa e Bussoleno.

Comunque vada la manifestazione di oggi, per non far passare quest’accusa di terrorismo su unpiano politico sarà necessario parlare chiaro, e avere la memoria lunga. Troppo freschi sono i ricordi delle retoriche sugli infiltrati, sulla contrapposizion itra buoni e cattivi, sulle felpe nere, sputate dopo i fatti del G8 di Genova ela sommossa del 15 ottobre 2011. Infamità che hanno avuto l’unico risultato difar accettare il reato di “devastazione e saccheggio”: centinaia di anni dicarcere affibbiati a chi ha rotto una vetrina, raccolto un sasso, riso di gusto vedendo una camionetta data alle fiamme. Chi ha propagandato questa lettura deifatti è il primo responsabile delle condanne inflitte ai compagni, e di quelleche verranno. Non dimentichiamolo mai, non dimentichiamoli mai.

Se stavolta andrà diversamente, se presto riabbracceremo i nostri quattro compagni e seppelliremo con una risata l’accusa di terrorismo, se continueremo a sabotare il Tav come in quella bella notte di maggio dipende solo da noi, dalla chiarezza delle nostre parole, dalla concretezza delle nostre azioni.

CHIARA, CLAUDIO, MATTIA,NICCOLò LIBERI SUBITO!

                                                                                                                                                                   ALCUNI NO TAV VENEZIANI

Torino 10 maggio 2014


Corteo No Tav del 10 maggio a Torino – locandina e testo distribuito

lancio corteo torino


NON CI FERMERETE, NON CI FERMEREMO

La manifestazione di oggi, 10 maggio, ha un’importanza epocale.

Per la prima volta un movimento di lotta popolare, nella sua interezza, rivendica una pratica come il sabotaggio, esprimendo solidarietà incondizionata a quattro compagni/e accusati/e di essere dei terroristi. Il grande merito della Valle, e di tutti i No Tav, è stato quello di aver fatto passare, in questi mesi, il messaggio chiaro che il sabotaggio è giusto, e che il Tav va fermato con ogni mezzo necessario, nonostante il silenzio mediatico nel quale sono stati effettuati gli arresti, nonostante la retorica sempre più legalitaria di partiti e istituzioni.

Con buona pace di chi ha atteso fino all’ultimo per prendere posizione, e di chi l’ha presa per paura di essere definitivamente “tagliato fuori dai giochi”, il Movimento No Tav ha già saputo superare l’innocentismo e il vittimismo, cogliendo la solidarietà ai quattro come occasione per rilanciare la resistenza quotidiana in Valle e tutta la lotta No Tav.

Proprio in virtù di questo non dobbiamo pensare alla giornata di oggi come un punto di arrivo, come non lo era stato il 22 febbraio scorso. Il processo a Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò inizierà il 22 maggio, e dovremo essere altrettanto numerosi e ancora più determinati fuori dall’aula bunker, e ovunque sia utile battere un colpo.

Così come dovremo mettere in campo tutta la nostra fantasia e il nostro coraggio in concomitanza alle altre udienze del processo, udienze che cadranno con un ritmo molto serrato, durante l’estate, su cui dovremo allo stesso tempo fare pressione e provare a decostruire il clima da anni di piombo che magistrati, stampa e partiti hanno messo in piedi.

Chi ha capito la portata della posta in gioco questo lo sa bene, come sa che, per dare concretezza alla solidarietà, sarà necessario impegnarsi in Valle più di prima, disturbando i lavori a Chiomonte, le truppe di occupazione e preparando il terreno per l’apertura dei cantieri veri e propri tra Susa e Bussoleno.

Comunque vada la manifestazione di oggi, per non far passare quest’accusa di terrorismo su un piano politico sarà necessario parlare chiaro, e avere la memoria lunga. Troppo freschi sono i ricordi delle retoriche sugli infiltrati, sulla contrapposizioni tra buoni e cattivi, sulle felpe nere, sputate dopo i fatti del G8 di Genova e la sommossa del 15 ottobre 2011. Infamità che hanno avuto l’unico risultato di far accettare il reato di “devastazione e saccheggio”: centinaia di anni di carcere affibbiati a chi ha rotto una vetrina, raccolto un sasso, riso di gusto vedendo una camionetta data alle fiamme. Chi ha propagandato questa lettura dei fatti è il primo responsabile delle condanne inflitte ai compagni, e di quelle che verranno. Non dimentichiamolo mai, non dimentichiamoli mai.

Se stavolta andrà diversamente, se presto riabbracceremo i nostri quattro compagni e seppelliremo con una risata l’accusa di terrorismo, se continueremo a sabotare il Tav come in quella bella notte di maggio dipende solo da noi, dalla chiarezza delle nostre parole, dalla concretezza delle nostre azioni.

CHIARA, CLAUDIO, MATTIA, NICCOLò LIBERI SUBITO!

ALCUNI NO TAV VENEZIANI