Da una delle periferie della metropoli Nord-Est: quartiere Cave-Chiesanuova, Padova, un grigio primo pomeriggio di aprile.
Sbucano fuori di corsa, con le pettorine della polizia e i manganelli in mano. Sul piazzale della piccola chiesa, in via Tartaglia si sta radunando il Comitato di Lotta per la Casa di Padova, ma non si fa nemmeno a tempo ad alzare gli occhi verso la palazzina vuota che sono già addosso. Tirano via le persone dalle macchine, spintonano e prendono a pugni, con una fisicità che non ha altro scopo che l’intimidazione brutale, prepotente.
Arriva la celere, quattro, cinque camionette da cui scendono in corsa. Iniziano a picchiare duro, a caso, mentre gli altri continuano a mettere le mani addosso, provocando. Dieci minuti di follia che terminano con diverse botte, un compagno portato in questura per resistenza e un ragazzo semi-svenuto a terra. Verrà soccorso dall’ambulanza dopo quasi mezz’ora.
Nel frattempo la polizia divide etnicamente il gruppone: da una parte gli italiani, dall’altra tutti gli immigrati, premurandosi di non far in alcun modo dialogare gli uni con gli altri. Non appena ci si avvicina si viene respinti a spintoni e minacce. Alcuni immigrati vengono invitati a recuperare i propri documenti in questura nel giro di un’ora, rendendo di fatto possibile ritrovarsi tutti solo dopo parecchie ore.
Recidere legami, minare alla base tutte le possibili complicità. A questo ha mirato oggi il dispositivo poliziesco. Stroncare il morale, far passare la voglia di iniziare, solo grazie all’aiuto dei propri compagni di strada e di lotta, qui e ora a vivere diversamente. Lo dimostra l’ostentata fisicità del contatto, la divisione rigida divisione etnica durante l’identificazione, l’immissione del “sospetto”, intervenendo prima della commissione di qualsiasi reato e non lasciando quindi altri margini di interpretazione
Indicativo che tutto ciò sia avvenuto non prima dell’occupazione di un appartamento, nè di un altro spazio politico, ma all’affacciarsi della possibilità di un posto più grande e “misto”, una palazzina dove poter sperimentare forme di vita collettive tra persone diverse per provenienza e attitudine. Un pericolo troppo grande per l’ordine schizofrenico di questo territorio imploso sui suoi propri valori e miti. Un pericolo da continuare, senz’altro, ad inseguire, con ancora più rabbia e determinazione di prima.
La festa è stata solo rimandata.