ACCADIMENTI
Qualche giorno addietro, in una umida e piovosa mattina di giugno, due loschi figuri bussano alla porta di una casa nel quartiere di Santa Marta, pianeta Terra, lembo sud-occidentale della città di Venezia. “Che novità sono queste? Voglio proprio vedere chi c’è di là, e che scuse accamperà la signora Grubach per questa seccatura”. In mano un plico di fogli recante foto sbiadita dell’interessato, corredato da timbri e controfirme:”Richiesta di sorveglianza speciale. No sta rider. No xe da rider”.
NOTE DI INTERMEZZO
La Sorveglianza Speciale è una misura di prevenzione regolata da una legge del 27 dicembre 1956, ma l’idea, ad occhio e croce, risale almeno a una ventina d’anni prima. Erede diretta dell’ “ammonizione” fascista (un provvedimento che, tra le altre cose, impediva di camminare sui marciapedi), è stata rimaneggiata più volte fino al 2011, con l’unico scopo di renderla ancora più pesante e invasiva.
Essendo, per l’appunto, una misura di prevenzione, la sua applicazione può venire richiesta anche in assenza di reati passati in giudicato, purché si comprovi la “pericolosità sociale” del soggetto. Pericolosità che si delinea attraverso un minuzioso collage dei comportamenti penalmente rilevanti e non dell’interessato, comprese le sue frequentazioni abituali, il suo stato patrimoniale, le idee a cui si richiama e ciò che fanno i suoi amici in sua assenza.
La Sorveglianza ha lo scopo dichiarato di favorire la resipiscenza del soggetto, mirabile termine giuridico che designa il “ravvedimento operoso” (e che deriva dal latino resipiscere, riprendere i sensi, o, più volgarmente, darsi una reffata). Per raggiungere questo scopo la misura, una volta effettiva, impedisce al sorvegliato di frequentare luoghi pubblici o assemblee, di incontrarsi con più di tre persone alla volta, di parlare con pregiudicati o sottoposti ad altre misure di prevenzione, di essere fuori casa dopo le 21 e di non frequentare bettole, osterie o postriboli (ah, i postriboli!). Il provvedimento, come nel nostro caso specifico, può essere aggravato dall’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, dall’obbligo di firma in questura o da quello di comunicare alla polizia ogni proprio spostamento. Il tutto per una durata tra gli uno e i cinque anni, che si sospende in caso di carcerazione e che può essere comunque rinnovata in caso di mancato ravvedimento del soggetto, potenzialmente all’infinito.
La seguente citazione, tratta da uno scritto sulla sorveglianza speciale di alcuni “insuscettibili di ravvedimento”, ne fornisce senza ombra di dubbio una descrizione calzante:
“Una repressione fuori e dentro il Diritto, una sorta di carcerazione “a costo zero” che raccoglie e affina diversi arnesi del potere: antropologia criminale, ortopedia sociale, giudizio psichiatrico, sospetto fascista, rieducazione stalinista e perbenismo democratico. Non un’anticaglia del passato, dunque, ma il volto del presente”.
MA NON DOVEVAMO VEDERCI PIù?
Nella richiesta formulata a Venezia ad essere presa in esame è la vita dell’interessato dal 2008 ai giorni nostri, illustrando con dovizia di particolare una lunga serie di episodi “dall’alto valore sintomatico” che lo ricondurrebbero alla categoria di persone pericolose per la tranquillità e la sicurezza pubblica. Tra questi, tanto per dire, l’essere stato presente mentre veniva acceso un fumogeno allo stadio o essere stato avvistato nella ridente cittadina di Rovereto (TN).
Se i sintomi designano una malattia, la cura va presto somministrata: due anni ben lontano dai propri affetti e dalle proprie geografie, pur non potendo lasciare il posto dove si vive. Ma, come si evince dalla conclusione del rapporto questurino, tutto a fin di bene: in fin dei conti l’interessato ha persino lasciato gli studi e non possiede un lavoro stabile, perchè troppo occupato ad essere un pericolo sociale ambulante.
Nella relazione, particolare enfasi viene posta alle azioni di solidarietà intraprese a sostegno delle mobilitazioni dei detenuti nell’ultimo anno, a Venezia e nel resto della regione. Presenze solidali che sono già costate più di trenta fogli di via dalla città e tre avvisi orali (provvedimento che, pur non comportando conseguenze nell’immediato, apre di fatto alla procedura per richiedere la Sorveglianza stessa, l’equivalente di un più prosaico “Hai rotto il cazzo”).
Ora, dato che tra le imposizioni della Sorveglianza vi è il divieto di incontro con chi è sottoposto a misure di prevenzione, come il foglio di via, appare chiaro l’intento di disarticolare definitivamente i legami all’interno di un gruppo di persone , individuato come particolarmente attivo nella lotta al sistema carcerario.
IL CERCHIO SI CHIUDE, O FORSE NO.
Con quest’ultima trovata si chiude idealmente il cerchio della repressione preventiva iniziato con i primi banditi lo scorso settembre, anche se tutto fa pensare che non sarà l’unica misura di questo tipo richiesta nei prossimi tempi.
Così la Questura cerca di ottenere il massimo risultato (l’allontanamento delle persone dai contesti di vita e di lotta a cui appartengono) con il minimo sforzo, senza darsi la pena di perdere anni per processare reati comunque, di per sè stessi, poco rilevanti. Per farlo si avvale di un Diritto d’ “eccezione”, ma normato e presente nei codici almeno da un secolo. Così, se per caso qualcuno volesse spenderci una riflessione.
Spezzare il cerchio è oggi affare di tutti e di ciascuno. I perchè sono molteplici, si possono ricercare tra le sbarre di quell’inferno che sono le carceri italiane, nei mille immobili vuoti o nei mille alberghi di questa città, nel calore delle sue bettole e osterie (quelle poche che sono rimaste frequentabili). Non è un affare tra anarchici, ma nemmeno si tratta di chiedere indietro uno”Stato di diritto” che non è mai stato altro che bastonate e morti ammazzati in galere e nelle strade.
In ballo c’è la possibilità di decidere della propria vita, dei propri affetti e delle proprie idee, rifiutando l’idea che uno sbirro, una piovosa mattina di giugno, bussi alla tua porta per dirti che devi smettere di essere così, per il tuo bene e quello del prossimo.
Giovedì 30 giugno, alle 10 del mattino, ci sarà l’udienza in cui il Tribunale del Riesame deciderà in merito all’applicazione della Sorveglianza Speciale, nell’Aula Bunker di Mestre. Nonostante molti solidali non disdegnino le gite nei campi, specie se molto isolati e lontani dagli altri esseri umani, nessuna presenza è stata prevista lì per quel giorno.
Prima, dopo, durante le occasioni per farsi sentire si troveranno, basta cercarle.