L’11 gennaio scorso il Sindaco Brugnaro ha, tramite una dichiarazione a mezzo stampa, di fatto aperto la strada allo spostamento della movida da Santa Margherita alla zona della Marittima, più precisamente nella striscia di terra (al momento inutilizzata) che costeggia il rio della Scomenzera.
Ne avevamo già dato notizia qui, perchè l’intenzione era già stata espressa associandola alla necessità di vietare cortei che partissero da quella zona della città, assimilando le manifestazioni politiche al divertimento notturno.
Prima di passare ad analizzare le possibili conseguenze di un progetto del genere che, per ora, rimane pura propaganda, pensiamo sia necessario dare un breve sguardo a ciò che è diventato oggi Santa Margherita, ovvero il frutto di precise politiche di zonizzazione e di ghettizzazione della vita studentesco-giovanile a Venezia.
Nella seconda metà dell’800 Santa Margherita è una zona pesantemente degradata, attraversata dal Rio della Scosassera, una cloaca a cielo aperto che raccoglie i rifiuti delle aree più povere e malmesse della città, situate tra l’Angelo Raffaele, i Mendicoli e la futura Santa Marta. Alla fine del secolo il Rio viene interrato per motivi di igiene e, tra la costruzione della Stazione e di Piazzale Roma negli anni 30 del 1900, il Campo diviene un nodo nevralgico nelle geografie della parte occidentale della città.
Storico punto di ritrovo di repubblicani e socialisti, ospiterà nelle sue vicinanze la prima Camera del Lavoro di Venezia, mentre l’Osteria “Al Capon” resterà, negli anni di ascesa della camicie nere, il luogo di ritrovo degli antifascisti cittadini. Per i fascisti Santa Margherita diviene l’incarnazione del mito del nemico, tanto che gli squadristi veneziani gli affibbiano il nome di “Repubblica”. Dopo la marcia su Roma la Camera del Lavoro viene incendiata, l’Osteria al Capon chiusa e la Casa del Boia (il piccolo edificio quadrato al centro del Campo) trasformata in “Casa del Fascio”, arrogante monito per chi, fino al giorno prima, osava accogliere i fascisti di passaggio a colpi di pistola.
All’oggi la Casa del Boia è sede del presidio permanente della Polizia Locale.
Nel dopoguerra il Campo diventa uno dei ritrovi degli studenti veneziani, centrale rispetto a molti licei e istituti superiori, nonchè alle principali sedi di Ca’ Foscari, IUAV e Accademia della Belle Arti. “Uno dei ritrovi” poichè, fino a metà degli anni 2000, l’università è ancora diffusa in tutta la città e, con essa, i luoghi di ritrovo giovanili: le sedi sono a Dorsoduro, ma anche nei pressi di San Giacomo, in Strada Nova e persino alla Celestia. Lo caratteristica urbanistica interclassista di Venezia fa sì che campi come Santo Stefano, San Bartolomeo o l’Erberia, ora esclusivo appannaggio di ricchi e turisti, siano per molti anni luoghi di incontro e di divertimento serali, integrati con le esigenze degli abitanti storici.
Con l’aumento vertiginoso dei flussi turistici appare necessario differenziare i pecorsi e le zone di interesse, per procederne ad una mercificazione più capillare: nasce, di fatto, un “centro” cittadino a ridosso dell’area marciana, in una città per sua natura policentrica, a vocazione esclusivamente commerciale e turistica. Nel contempo vengono chiusi (e spesso svenduti) i palazzi storici delle università più lontani dal sestiere di Dorsoduro, concentrando ancora più corsi e classi nelle sedi attigue a Santa Margherita.
Tagliando le definizioni con l’accetta, ciò che si va a creare nei primi anni 2000 è una vera e propria zona universitaria tra Santa Marta e l’Accademia, comoda da raggiungere per un numero crescente di studenti pendolari ma, nei delicatissimi equilibri urbani, sempre più scollata dai ritmi dei suoi abitanti. Questa mutazione coinvolge, da vicino, la vita stessa degli studenti: i legami con la città diventano sempre più rari e occasionali, l’esperienza rinchiusa in percorsi obbligati sempre uguali e distanti da quelli di chi, invece, a Venezia risiede da anni.
Gli altri luoghi di incontro si svuotano, di persone e di senso, mentre chi si ostina a rimanere viene combattuto a suon di ordinanze anti-degrado e anti-rumore. E’ questo il caso dell’Erberia di Rialto, o di una frequentata osteria nei pressi di San Giacomo, prima chiusa per “schiamazzi” e poi riaperta con pesanti limitazioni di orario. Fatti che portano tutta una fascia giovanile, che, a Venezia, è composta quasi totalmente da universitari o ex-studenti, a trascorrere le proprie serate a Santa Margherita, l’unico campo dove si può trovare un bar aperto dopo le 23.
Attualmente, nella sola superficie del Campo, risultano aperti 11 locali, la metà dei quali inaugurati negli ultimi dieci anni. Una concentrazione di esercizi commerciali senza pari in città.
Negli ultimi anni di Santa Margherita si è parlato soprattutto in termini di degrado e pericolosità. Le inevitabili conseguenze di una piazza sacrificata alla “movida” (risse, piccolo spaccio, sporcizia) vengono combattute con retate anti-droga (con risultati, spesso, ai limiti del ridicolo), presidi fissi di polizia e persino iniziative di privati cittadini, come l’installazione di cancellate chiuse a chiave nelle calli attigue. L’intera superficie del campo è videosorvegliata e, specialmente nei periodi di maggiore afflusso, non è raro imbattersi in reparti anti-sommossa schierati preventivamente. Un ghetto nel quale farsi rinchiudere assieme al proprio desiderio di uscire la sera.
Come al solito, la soluzione proposta è parte del problema che si cerca di risolvere: deportare i locali e i loro avventori nell’unica striscia di terra non ancora urbanizzata, distante dalla città ma comoda in relazione agli spazi disegnati dalla città universitaria. L’idea di un “distretto del divertimento” in Rio della Scomenzera è la perfetta continuità delle politiche di ghettizzazione e allontamento delle eccedenze degli ultimi anni, il naturale proseguimento del progetto del “Campus Santa Marta”, i cui lavori dovrebbero iniziare la prossima estate. Oltre che a un comodo gettone per l’Autorità Portuale, istituzione che, come abbiamo già avuto modo di far notare, agisce per la prima volta in totale accordo con il Comune.
Qui sotto, in foto, l’opera di qualcuno che ci aveva visto lungo.