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Un’occasione

Mercoledì 1 giugno, chiamata dai detenuti del carcere di Siano, è iniziata una mobilitazione dei reclusi in alcune carceri italiane contro l’ergastolo ostativo, di cui in calce ripubblichiamo l’appello.

Diffondere la notizia di questa mobilitazione ha rappresentato un’occasione per tornare sotto Santa Maria Maggiore, parlare con i ragazzi e riprendere alcuni contatti. Così, il pomeriggio del 2 giugno, un nutrito gruppo di solidali ha espresso solidarietà ai detenuti del carcere veneziano, ricevendo come sempre una calorosa risposta e più di qualche invito a farsi sentire ancora più forte.

Negli stessi giorni, almeno stando a ciò che dicono i muri, la Città di Venezia ha annullato buona parte delle mostre e degli eventi culturali in programma per l’inaugurazione della Biennale, in solidarietà alla protesta dei carcerati di cui sopra. Cogliamo l’occasione per apprezzare tanta attenzione, convinti che non sarà certo l’ultima dimostrazione di vicinanza in tal senso.

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DAL 1 GIUGNO SCIOPERO COLLETTIVO CONTRO L’ERGASTOLO OSTATIVO – L’APPELLO ALLA MOBILITAZIONE PARTE DAI DETENUTI DI SIANO

Dal prossimo 1° giugno partirà una mobilitazione collettiva che interesserà diverse carceri e liberi cittadini contro l’ostatività, illegittima, dell’ergastolo. Contro quella condanna che non lascia alcuno spazio di speranza per il condannato contravvenendo ai principi rieducativi della pena. Le modalità di adesione saranno differenti e tutte verranno comunicate al Ministro di Giustizia affinché lo stesso prenda visione delle motivazioni della mobilitazione che sono di seguito riportate:


L’ERGASTOLO OSTATIVO è il risultato di un’imprevedibile interpretazione sfavorevole dell’art. 4bis 1 OP affermatasi dal 2008-2009, e pertanto non applicabile retroattivamente ex art 7 CEDU (Corte EDU, casi Kafkaris, Del Rio Prada, Contrada; Sezioni Unite della Cassazione, caso Beschi 2010, Corte Costituzionale sent. num. 364/1998 e 230/2012), e l’incostituzionalità dell’art. 4bis.1 quale presunzione legale, come dimostrato nella tesi di laurea di Claudio Conte (110 e lode accademica), Profili costituzionali in tema di ergastolo ostativo e benefici penitenziari, Uni-Cz, 2016 (scaricabile:https://drive.google.com/file/d/0B5W1NiiAA7MEQ3NRaVhXLTlHTEk/view?usp=sharing ed in possesso di Marco Pannella, del Garante nazionale dei detenuti prof. Mauro Palma e del prof. Luigi Ventura, Preside della facoltà di Giurisprudenza di Catanzaro e relatore della tesi, che sollecitiamo il Ministro a Convocare).

 

Da tale studio si evince che per superare l’abuso dell’ergastolo ostativo, non c’è bisogno di nuove leggi ma basta far rispettare quelle esistenti con una Circolare ministeriale interpretativa ai Giudici di Sorveglianza.I sottoscritti ergastolani/non ergastolani/liberi cittadini, informano il Ministro che dal 1° giugno 2016 attueranno una protesta pacifica (garantita dalla Costituzione), fino a quando Ella non ci farà sapere, anche tramite televisione che è a conoscenza di tale studio, libero poi di ritenerlo fondato o infondato.Ella deve sapere che nella civilissima Italia l’ergastolo ostativo non è stato previsto dalla legge nel 1992 e che 1400 persone sono condannate a morire in carcere solo per una discutibile interpretazione, opera di pochi giustizialisti, e migliaia di reclusi sono esclusi dalle misure alternative illegittimamente


Maggio, su coraggio!

Vicenza. In un assolato sabato mattina viene organizzato un volantinaggio davanti al carcere San Pio X. Più di qualcuno si ferma, si scambiano veloci chiacchiere sotto lo sguardo vigile della penitenziaria. In meno di un’ora accorrono una trentina fra carabinieri, digos e altra polizia che, piazzati all’entrata della struttura, filmano con solerzia chi accenna a prendere i volantini, rendendo di fatto impossibile parlare con un po’ di discrezione. Nei giorni appena precedenti erano state notificate due denunce per oltraggio a pubblico ufficiale, relative al presidio del 13 dicembre scorso.

Belluno. Notizie di richiami e provvedimenti disciplinari per quattro detenuti, accusati di essere tra i principal agitatori della rivolta di febbraio. Un uomo di 45 anni, in cella da meno di 24 ore, si toglie la vita impiccandosi. Giovanni Vona, segretario nazionale del Sappe per il Triveneto, afferma che nel solo 2015, al Baldenich, ci sono stati “30 atti di autolesionismo, 4 tentati suicidi sventati in tempo dagli uomini della Polizia Penitenziaria, 18 colluttazioni e 21 ferimenti, a testimonianza di una costante tensione detentiva”. Il carcere di Belluno non ha mai ospitato più di cento detenuti.

Bolzano. Un accorato saluta porta un po’ di solidarietà ai reclusi, oltre che un sincero ringraziamento per aver accolto i quattro compagni arrestati dopo la manifestazione al Brennero come fratelli. La risposta è come sempre calorosa oltre le aspettative.

Venezia. Distribuiti un’altra decina di fogli di via dalla città. In laguna il numero dei banditi in seguito alle manifestazioni di solidarietà ai detenuti si aggira attorno alla trentina. Notificati, sempre in questo mese, anche tre avvisi orali. Provvedimento che non comporta nessuna limitazione nell’immediato, ma passaggio necessario per formulare un’eventuale richiesta di sorveglianza speciale.

Rovigo. Entrato in funzione il nuovo carcere, dismessa la vecchia struttura in via Verdi. Trasloco effettuato a tempi record, grazie alla manodopera coatta degli stessi detenuti.

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Al Brennero e ovunque

Condividiamo qui sotto il testo scritto a seguito della giornata di lotta contro le frontiere al Brennero, di sabato 7 maggio scorso.

Non doveva essere una giornata di testimonianza. Non è stata una giornata di testimonianza.
Ci sono donne e uomini che non vogliono accettare barriere, filo spinato, detenzione amministrativa, immigrati che muoiono in massa alle frontiere di terra o di mare, campi di concentramento. All’interno di una giornata di lotta internazionale – con cortei in diversi paesi e varie iniziative anche in Italia, di cui cercheremo di fare un resoconto – al Brennero varie centinaia di compagne e compagni si sono battuti. Difficile immaginare un contesto più sfavorevole di un paesino di frontiera con una sola via di accesso. Quelle e quelli che sono venuti lo hanno fatto col cuore, consapevoli che nella battaglia contro l’Europa concentrazionaria che gli Stati stanno costruendo – di cui il confine italo-austriaco è un piccolo pezzo, il più vicino a noi – si paga un prezzo. L’aspetto più prezioso sta proprio qui: nel coraggio come dimensione dello spirito, non come fatto banalmente “muscolare”.
Siamo fieri e fiere di aver avuto a fianco donne e uomini generosi, con un ideale per cui battersi.
In tutte le presentazioni della giornata del 7 maggio – e sono state tante – siamo sempre stati chiari: se ci saranno le barriere, cercheremo di attaccarle, altrimenti cercheremo di bloccare le vie di comunicazione, a dimostrazione che il punto per lorsignori non è solo erigere muri, ma gestirli; sarà una giornata difficile.
Lo scopo della manifestazione era bloccare ferrovia e autostrada. Così è stato. Va da sé che se tra una manifestazione combattiva e il suo obiettivo si mette quella frontiera costituita da carabinieri e polizia, il risultato sono gli scontri.
Siamo riusciti a salire al Brennero senza aver chiesto il permesso a nessuno perché lo abbiamo fatto collettivamente, in treno e con una lunga carovana di auto. Abbiamo preso – senza pagarlo – un treno Obb, società ferroviaria responsabile di controlli al viso e di respingimenti. Per gli altri, solo la determinazione a reagire con prontezza ha distolto gli sbirri dai controlli all’uscita dell’autostrada. Le auto che non erano nella carovana sono state purtroppo fermate e i compagni a bordo non hanno potuto raggiungere il Brennero.
Quella di sabato è stata una manifestazione contro le frontiere anche nel senso che erano presenti tanti compagni austriaci.
Non sono certo mancati limiti organizzativi e di comunicazione. Tutt’altro. Ma questa è una discussione tra compagne e compagni.
Ci rivendichiamo a testa alta lo spirito del 7 maggio, con la testarda volontà di continuare a lottare contro le frontiere e il loro mondo.
La solidarietà nei confronti dei compagni arrestati, che ora sono di nuovo con noi, è stata calorosa. Nel carcere di Bolzano, i cui detenuti hanno risposto con entusiasmo al presidio di solidarietà, i quattro compagni sono stati accolti come fratelli.
Ciò per cui ci scandalizziamo rivela sempre chi siamo.
Per noi l’orologio danneggiato della stazione del Brennero ha questo significato: che si fermi il tempo della sottomissione.
orologio rotto

Altra carta

Sono sei i fogli di via da Venezia notificati negli ultimi giorni, ai danni di altrettante persone non residenti nel comune, a cui viene contestata la semplice partecipazione al corteo dello scorso 5 dicembre.

La strategia della Questura di Venezia, bandire dalla città praticamente chiunque abbia manifestato solidarietà alle rivolte dei detenuti, sembra quindi continuare. Una strategia che, ricordiamo, colpisce in maniera massiccia anche molti altri “sgraditi ospiti”, ma che lo stesso questore reputa totalmente inefficace, come si può leggere qui.

Ancora una volta, lunga vita ai banditi di ogni dove!

 


Guerra senza fronte. Due giorni di discussione.

La guerra di oggi non ha un fronte. Il nemico è ovunque, perchè l’unico nemico da combattere è la popolazione stessa, in Siria, in Turchia o nel cuore dell’Europa. Per farlo chi governa sta affinando i suoi mezzi e rafforzando i suoi avamposti: nuove frontiere vengono erette mentre politiche securitarie si sostituiscono alle già misere libertà concesse.
Appare urgente, in questo scenario, trovarsi in una posizione rivoluzionaria all’altezza dell’epoca, senza cedere alle ipocrisie e alle scorciatoie.
Due incontri per discutere, ed iniziare ad organizzarsi, per il prossimo futuro.

21 APRILE 2016 ORE 18.30
Masse di persone, in fuga dalla guerra e da un avvenire già scritto, premono per entrare in un’Europa definita ormai solo dai muri che erige. A spaventare è la loro ingovernabilità che, prima che si affermi come forza, diventa un’emergenza da trattare con reti e fili spinati.
In questi giorni, al Brennero, l’Austria ha iniziato a militarizzare i propri confini.

Ne discutiamo con alcuni compagni e compagne trentini, in vista della giornata di lotta “Abbattere le frontiere, al Brennero e ovunque” del prossimo 7 maggio (per info https://www.facebook.com/events/990212361015937/)

22 APRILE 2016 ORE 18.00
Mentre, tra Siria ed Iraq, il Califfato comincia a “farsi Stato”, con i massacri, le deportazioni, le esecuzioni sommarie che ciò comporta, migliaia di giovani partono per arruolarsi tra le sue fila. Fanno esperienza della morte, alcuni tornano a casa con la determinazione necessaria per muovere guerra al ventre dello stesso Occidente da cui provengono. A spingerli non è il fervore religioso nè l’ortodossia, ma l’odio verso una società vuota di presenze, dove la morte sembra essere l’ultima delle avventure possibili.

Ne parleremo a partire dalla presentazione de “Il gioco più vecchio del mondo”, delle edizioni Cirtide. Per riflettere sui limiti delle nostre prospettive, su ciò che abbiamo perso per strada, sulla desiderabilità delle nostre ipotesi rivoluzionarie.

Per vedere, sfogliare, leggere il testo (https://editricecirtide.noblogs.org/files/2016/04/IlGiocopiùVecchiodelMondo_web.pdf)

Per saperne di più sulle edizioni Cirtide e per leggere gli altri titoli (https://editricecirtide.noblogs.org/)

A SEGUIRE MUSICA LIVE CON PIOTRE (UD)!

impaginato due giorni


Su di noi nemmeno una nuvola

Noi non scordiamo Mirco. Dentro come fuori solidali con chi si ribella- Baldenich 28/2.

Due striscioni ricordano i motivi del presidio odierno: ricordare Mirco Sacchet, il giovane detenuto morto all’interno del penitenziario bellunese nel 2010 e non lasciare solo chi, poco più di un mese fa, si è ribellato contro quelle stesse mura assassine.

La giornata vede una grossa partecipazione che si fa subito sentire con cori e, più tardi, anche con l’impianto sonoro. L’attenzione è maggiore rispetto alle volte precedenti: più di un passante si ferma e sarà fondamentale l’apporto di qualche abitante della zona per risolvere i consueti problemi tecnici.

La risposta dei ragazzi dentro non si fa attendere, calorosa come sempre. A presidio in corso qualche solidale armato di megafono riesce a portare un saluto alle celle su un altro lato del carcere, più vicino alla strada e alle case circostanti.

Finisce con dei sentiti ringraziamenti oltre le sbarre, improbabili ma efficaci traduzioni dal francese e le note di un noto cantautore italiano, in una delle canzoni preferite da Mirco.

Molti ombrelli aperti, per paura delle pessime previsioni meteo. E invece, su di noi nemmeno una nuvola…


 

Di seguito il testo di uno dei volantini distribuiti, in merito alla rivolta dello scorso 28 febbraio:

Oggi 13 aprile Mirco Sacchet avrebbe compiuto 33 anni. Ma Mirco, come tanti altri detenuti, non è mai uscito dalle mura del carcere dove era finito. Le circostanze della sua morte, avvenuta nel 2010 al Baldenich e archiviata come “suicidio”, non sono ancora state chiarite, e probabilmente non lo saranno mai.

L’ unica cosa certa è che Mirco, come tanti altri detenuti, è morto di carcere. Un’istituzione che uccide attraverso i pestaggi e i soprusi delle guardie, il bisogno indotto di psicofarmaci come mezzo di controllo, l’isolamento e la rassegnazione che produce quotidianamente. Uno stato di cose che, seppur pensato in ogni dettaglio per apparire ineluttabile, può essere ribaltato attraverso la lotta, la solidarietà, la rabbia di chi vi si trova rinchiuso. Come è recentemente accaduto all’interno del penitenziario bellunese.

Il 28 febbraio scorso i detenuti del Baldenich fanno partire una rivolta. Allagano le sezioni, sradicando i tubi dell’acqua e usandoli per difendersi dalle guardie. Barricano le sezioni con gli arredi delle celle, attaccano la polizia, accorsa in forze anche da fuori regione, lanciando le bombole del gas usate per cucinare. Solo a tarda notte l’amministrazione riesce a riprendere il controllo della struttura.

Un episodio importante le cui conseguenze, anche se non percepibili nell’immediato, apriranno possibilità inedite in un presente altrimenti sempre uguale a sé stesso. Da sempre infatti ogni piccola miglioria delle condizioni carcerarie è passata attraverso la ribellione dei reclusi. Il numero di oggetti da poter tenere con sé, le ore d’aria, i colloqui con parenti e congiunti e mille altri piccoli aspetti della detenzione sono stati strappati con proteste durissime, pagate a caro prezzo da chi ha avuto il coraggio di portarle avanti. Lotte che sono servite a rendere più sopportabile la permanenza ma, soprattutto, a preservare la possibilità di continuare a lottare anche in un luogo come il carcere

L’amministrazione ha reagito trasferendo una ventina di ragazzi in altre strutture della regione e alcuni persino in Piemonte e Sardegna. Un tentativo di spezzare i legami di solidarietà e complicità instaurati, base imprescindibile per poter pensare di alzare la testa.

Una pratica, quella dei trasferimenti in massa, che abbiamo già visto in atto a Venezia a seguito delle proteste della scorsa estate, ma che è risultata inefficace nel momento in cui i trasferiti hanno trovato situazioni ancora più “calde” di quelle originarie.

Sostenere oggi chi ha prerito la rivolta al ricatto delle detenzione vuol dire fare in modo che parole come auto-organizzazione, complicità e solidarietà non perdano di senso. Significa fare in modo che, in altre prigioni come nelle strade, qualcun altro trovi il coraggio di prendere in mano la propria vita e scagliarla contro la miseria che lo rinchiude.

Perchè se il carcere può essere abbattuto, assieme al mondo che lo regge, non possiamo che sostenere chi, da dentro, ha già iniziato a togliere la terra dalle sue fondamenta.

Belluno 13


Ritorno a Belluno

Settembre 2010. Mirco, detenuto da circa due anni nel carcere di Baldenich, muore a tre mesi dalla data di scarcerazione. Le circostanze precise riguardanti la sua morte non verranno mai chiarite del tutto, come quelle di tanti altri ragazzi entrati e mai più usciti dalle mura delle carceri italiane. Grazie alla determinazione di amici e familiari la vicenda di Mirco non viene però dimenticata: il suo nome si trasforma in un grido di libertà, la sua storia diviene patrimonio comune di chi pensa che il carcere non possa mai essere la soluzione.

Febbraio 2016. A seguito dell’ennesima prepotenza delle guardie i detenuti del carcere di Belluno danno il via alla rivolta. Vengono allagate le sezioni, divelti gli arredi, scoppiano violenti scontri con la polizia. La situazione ritorna tranquilla solo dopo molte ore, a notte inoltrata. Nei giorni successivi, nel tentativo di spezzare i legami di solidarietà instaurati, molti ragazzi vengono trasferiti in altri penitenziari della regione, qualcuno persino in Piemonte e in Sardegna.

Il 13 aprile prossimo Mirco avrebbe compiuto 33 anni. Vogliamo ricordarlo con una giornata di solidarietà a tutti i detenuti del carcere di Belluno. Per non scordare la sua storia, per non lasciare solo chi continua a ribellarsi contro quelle stesse mura assassine.

MERCOLEDì 13 APRILE, DALLE ORE 15 IN VIA SAN GIUSEPPE. PRESIDIO CON MUSICA E MICROFONO APERTO.

Sulla vicenda di Mirco rimandiamo a un dossier scritto all’epoca dei fatti, completo di testimonianze e articoli di giornale. Lo trovate qui : Dossier Mirco.

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Novità dalle alpi

Pubblichiamo qui alcuni estratti di una testimonianza arrivata dal carcere di Belluno, che da più di un ragguaglio sulla rivolta di sabato 28 febbraio .

Belluno 25 febbraio

Ciao ragazzi, come state? Ho ricevuto la vostra lettera oggi, ma le altre ancora no…
Siete stati grandi e calorosi nuovamente con la vostra solidarietà. Dove vi siete messi l’ultima volta purtroppo non vedavamo nulla, ci sono le finestre che sono chiuse e saldate, ma potevamo solo sentirvi ragazzi miei…
Qui ci sono state alcune battiture, hanno fatto diverse proteste e hanno incendiato i materassi. Celle a fuoco e tutti all’aria. Non una sola, ma ben 4 celle diverse e quella sera è venuto anche il provveditorato di Belluno in carcere a vedere cosa hanno fatto.
Ci sono stati trasferimenti a Trento di alcuni detenuti. In tutto 16 trasferimenti fino ad oggi [ 25/3], uno ogni tre giorni… e sono andati a Vicenza, Verona, Padova, in Sardegna, Bolzano, Trieste e Vercelli.
Sono state tirate le bombole del gas come molotov… olio caldo addosso agli agenti, la notizia è uscita sul Corriere delle Alpi di Belluno.
Poi ci sono state rivolte con gli agenti, i detenuti con pentole, ferri dei tubi dell’acqua e loro con scudi e caschi e manganelli. Sono arrivati con gli idranti e anche i carabinieri di Pordenone e la polizia, saranno state 150 guardie contro quasi tutti con tavole e sedie che volavano e materassi bruciati. E’ successo proprio di tutto!
Spero al più presto di vedervi ancora più calorosi!
Un abbraccio e continuate così

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Metti un sabato a Rovigo

Giornata impegnativa per la questura rodigina, quella di sabato 19 marzo.

Centro completamente blindato, negozi e attività chiuse su tutta via Mazzini, celere schierata e digos in assetto molesto per tutta la durata del presidio sotto al vecchio carcere di via Verdi, una struttura in via di dismissione vista l’imminente apertura di una nuova galera da duecento posti (estendibili a quattrocento).

Calorosa, almeno in un primo momento, la risposta dei ragazzi dentro: le urla si fanno sentire tra le mura di una città resa deserta dal massiccio schieramento di polizia. I numerosi interventi che si sono susseguiti hanno raccontato le rivolte che hanno preso vita negli altri penitenziari della regione, la prossima giornata di mobilitazione contro carcere e 41bis del 16 aprile e la funzione di “valvola di sfogo” che il nuovo carcere cittadino ricoprirà nell’immediato futuro. Uno striscione è dedicato anche alla Uil-Pa (ci si trova proprio sotto la sede), e ai suoi interventi per mettere a tacere le rivendicazioni dei detenuti di Santa Maria Maggiore lo scorso settembre, cercando di strumentalizzarle a vantaggio dei secondini.

Da segnalare il maldestro intervento di Massimo Bergamin, il sindaco leghista di Rovigo, che, non senza un’ammirabile nonchalance, tenta di avvicinarsi al presidio per instaurare un improbabile dialogo su solo lui sa cosa. Dopo essere stato allontanto, definirà, con mirabile sintesi di linguaggio,  dei “mona”i partecipanti alla manifestazione.

Qui di seguito trovate il testo del volantino distribuito:

Un nuovo carcere, un altro carcere.

A Rovigo è da poco terminata la costruzione del nuovo carcere. Recentemente inaugurato con i suoi 200 posti estendibili a 400, si appresta a diventare uno dei penitenziari più grandi della regione. Nonostante i fasti della cerimonia inaugurale, la struttura non aprirà i battenti prima della prossima estate. La funzione riservata a questa piccola “grande opera” costata 29 milioni di euro sta nel fare da valvola di sfogo a una situazione in continua ebollizione.

Le carceri del Veneto versano infatti in una situazione di sovraffollamento inumano che nell’ultimo anno, è stata tra le cause principali di proteste portate avanti dai detenuti, sfociate in alcuni casi in vere e proprie rivolte. A Venezia, a Verona, ma anche a Belluno e Vicenza i reclusi hanno dato vita a mobilitazioni sia spontanee che organizzate, dimostrando che, dentro come fuori, l’unica libertà possibile e desiderabile è quella che risiede nella lotta stessa.

La risposta delle amministrazioni carcerarie, accanto ai provvedimenti disciplinari, è stata quella di trasferire i detenuti più attivi in altre prigioni, cercando di recidere i legami di solidarietà instaurati e allontanando le persone dai propri familiari e affetti. Provvedimenti odiosi, ma che non sono stati in grado di fermare la voglia di alzare la testa di chi è dentro; tant’è che le proteste, lungi dall’essere cessate, si sono diffuse in altre strutture.

Un carcere tutto da riempire, all’avanguardia e lontano dal centro abitato, è lo strumento perfetto per governare ogni possibile eccedenza di un sistema che, nel prossimo futuro, dovrà presentarsi ancora più solido ed efficiente.

L’apertura di una nuova galera non può essere una “festa” (per usare le parole del ministro Orlando), e nemmeno la soluzione di un problema endemico e radicale, che va al di là del freddo conteggio dello spazio vitale di un individuo.

Narrazioni pericolose.

Negli ultimi mesi le uniche notizie riguardanti la situazione interna al carcere di Rovigo sono giunte dalle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria. Queste sigle (Sappe, Osapp, Uilpa) lamentano le drammatiche condizioni in cui si troverebbe a operare il personale di custodia e, dall’inizio di gennaio, hanno indetto uno stato di agitazione che si è concretizzato nell’astensione dalla mensa per alcuni giorni e in una manifestazione per le vie della città. A ciò si aggiunga che, nella storia raccontata dalle organizzazioni sindacali, la nuova struttura sarebbe già infestata dai topi e compromessa dalle infiltrazioni d’acqua ancor prima di essere riempita.

In tutte queste narrazioni, che hanno trovato ampio spazio sui giornali locali, non vengono mai menzionati i detenuti, se non per urlare allo scandalo quando il personale di custodia è protagonista di qualche screzio o per lamentarsi delle loro “eccessive” libertà di movimento all’interno del carcere. Un copione che abbiamo visto inscenare già a Venezia, dove i sindacati di polizia penitenziaria hanno cavalcato le proteste dei reclusi per far ottenere alle proprie istante maggiore visibilità. Un mezzuccio che, se da una parte mette a tacere la voce di chi da dentro si ribella, è utile a trasmettere l’idea di un carcere dove tutti stanno male allo stesso modo e dove la rabbia dei detenuti può essere concertata come un orario lavorativo.

Sappiamo che la realtà è ben diversa, che nessuna pace può esserci tra chi rinchiude e chi è recluso, tra servi e sfruttati di questa società!

Strumentalizzazioni simili concorrono al progressivo affermarsi dei sindacati di polizia come forza politica vera e propria. I recenti connubi tra le sigle di cui sopra e partiti come la Lega di Salvini, sempre pronta a sostenere chi fomenta la guerra tra poveri per fini elettorali, rappresentano una pericolosa novità di cui è impossibile non tenere conto, anche quando si parla di detenzione.

Una riorganizzazione al passo con i tempi.

La costruzione delle nuove strutture, e l’ampliamento di quelle esistenti, prevista dal piano carceri del 2009 è quasi completata. In più, nella seconda metà del 2015, il piano straordinario per le carceri ha subito un’accelerazione con raffiche di bandi e gare d’appalto che a dicembre hanno sfiorato i 60 milioni destinati al prossimo e incessante ampliamento di numerosi istituti da Nord a Sud della penisola.

In linea parallela si sta facendo sempre più ricorso a forme di detenzione alternative: il rapporto tra carcerati e detenuti ai domiciliari è passato da 1 a 4 a 1 a 1 e continua a venire incoraggiato l’uso di queste misure per pene inferiori ai quattro anni.

Nel campo della detenzione amministrativa molti centri di identificazione ed espulsione (C.IE.) sono al momento in via di ristrutturazione, dopo essere stati dati alle fiamme dai reclusi, e sono in cantiere altrettanti “hotspot” che assumeranno a tutti gli effetti caratteristiche di centri di smistamento, molto simili a dei lager. Di fatto, queste nuove strutture di detenzione amministrativa renderanno più facili le procedure di identificazione, schedatura (con tanto di prelievo di impronte digitali) ed espulsione dei migranti non inclini a conformarsi alle leggi dei “democratici” paesi europei.

La cosiddetta “emergenza terrorismo”, ovvero ciò che rappresenta il ritorno della guerra in casa nostra, allarga i suoi orizzonti e sembra direzionarsi verso l’estensione del paradigma di detenzione amministrativa anche ad altre categorie, oltre ai migranti, sulla base non di prove ma di semplici indizi.

Dalla stessa motivazione parte anche l’esigenza di razionalizzare le sezioni ad “alta sicurezza” presenti in molte carceri, accorpandole e manifestando sempre più la tendenza di istituire nuove prigioni ad esclusivo regime “speciale”.

Ciò che si va prospettando è un futuro in cui sarà il carcere stesso ad uscire dalle mura, a diffondersi in altri luoghi e ad assumere connotati inediti.

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A questo link trovate invece un contributo dei compagni e delle compagne di Out On Polesine sulla giornata:

http://outonpolesine.altervista.org/prigioni-di-parole/


Mira-ggi di sgombero

Via Borromini 7, Mira. Una palazzina occupata che, da anni, è al centro delle cronache della Riviera. Prima per le intemperanze degli assistenti sociali del comune, che a più riprese hanno minacciato gli occupanti con figli di togliere loro la patria potestà, poi con l’iniziativa, spinta dalla giunta 5 stelle, di sventrare la strada antistante per tagliare l’allacciamento alla rete idrica.

Una situazione che si trascina da più di tre anni e che trovate riassunta nel Volantino scritto all’epoca dei fatti da un’assemblea solidale.

Ultima minaccia, in ordine di tempo, di sgombero dello stabile era fissata per ieri, 16 marzo. Dalla mattina un picchetto composto da amici e solidali degli occupanti presidia l’ingresso dell’abitazione. Dopo mezzogiorno, cogliendo l’occasione dell’allontamento di alcuni solidali, interviene in forza la polizia locale, con un inedito armamentario di caschi, scudi e spray al peperoncino. Scortano la ditta incaricata di lamierare porte e finestre degli appartamenti.

Giunti sul retro della casa, mentre gli operai provano a chiudere le finestre di un appartamento “per questioni di emergenza sanitaria” (senz’acqua, del resto…), la determinazione del picchetto appena ricomposto fa tornare la polizia a più miti consigli. Non sarebbe stato sicuro proseguire, dichiareranno poi ai giornali.

Ad andarsene a testa bassa, ieri in via Borromini, sono stati solo gli operai e gli agenti incaricati di proteggerli.

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Di seguito il testo di cui sopra, scritto ormai tre anni fa ma che ben illustra la situazione:

Nel corso del 2012 molti comuni della Riviera del Brenta, e tra questi il comune di Mira, si sono dovuti confrontare con la cosiddetta “emergenza casa”.

Le richieste di partecipazione al bando per l’assegnazione di alloggi popolari, a cadenza biennale, sono state più del doppio di quelle del 2010.

Altrettanto numerose sono state le richieste di contribuiti da parte di famiglie per riuscire a pagare l’affitto e non essere considerati morosi. La morosità è infatti una di quelle condizioni che preclude l’accesso alle graduatorie per vedersi assegnata una casa.

Nel 2010 un cittadino mirese, rimasto senza abitazione ed esasperato dai tempi infernali delle gradutatorie, ha condotto una singolare protesta portando tutti i mobili di sua proprietà in sala del consiglio comunale.

A fronte di centinaia di persone che, soffocate dalle condizioni di crisi imposte da padoni e banchieri, necessitano di una casa, ad oggi nel solo territorio comunale di Mira sono presenti 82 alloggi pubblici non assegnati e ben 947 appartamenti di privati lasciati vuoti.

E’ in questo contesto che nel giugno scorso quattro famiglie senza casa hanno deciso di occupare quattro appartamenti in via Borromini 7. Un edificio di proprietà comunale composto da dodici vani, tutti lasciati vuoti ed in stato di abbandono.

Gli occupanti hanno fin da subito reso pubblica la loro scelta attraverso volantinaggi e presidi informativi. Non nascondendo le loro condizioni e i loro bisogni, comuni a quelli di molte altre persone e famiglie, gli occupanti sono riusciti così a squarciare quella cappa di disperazione, vergogna e isolamento in cui spesso si racchiude chi si trova ad affrontare dei problemi.

Purtroppo, come spesso succede in una politica che non sa rappresentare più nulla se non sé stessa, la giunta grillina del Comune di Mira ha dimostrato tutto la sua incapacità e il suo infantilismo nell’affrontare la situazione.

Schermandosi dietro una legalità sorda e cieca, la soluzione più semplice per chi non è in grado di scendere dagli scranni del potere per guardare la realtà, la giunta e il sindaco Maniero hanno prima proposto alle madri e ai figli occupanti la collocazione presso una comunità d’accoglienza (di fatto dividendo il nucleo famigliare), in seguito hanno loro offerto una somma di denaro ridicola per lasciare il Paese (metà degli occupanti sono cittadini italiani…).

Al rifiuto da parte degli occupanti di queste umilianti proposte, il sindaco ha pensato bene di sventrare la strada davanti alla palazzina, tagliando con una ruspa la fornitura idrica in pieno agosto.

Un gesto disumano a cui è seguita la disumana persecuzione perpetrata dagli assistenti sociali del comune, nella persone della sig.ra Squizzato, che, riscontrata la mancanza di condizioni igieniche adeguate (senz’acqua, del resto…) ha spinto per togliere la patria potestà alle famiglie.

Potevamo pretendere maggiore sensibilità da parte di una giunta presieduta da un ragazzo di 26 anni e dalla sua amministrazione a 5 stelle?Probabilmente sì, anche se di certo non possiamo aspettarci che Alvise Maniero, che può permettersi di tenere vuota una casa di sua proprietà a Mira, o personaggi come Gino Biasiolo, che alla giusta rabbia degli occupanti in consiglio comunale risponde con “Che me ne frega, io di case ne ho tre”, si immedesimino nella situazione di chi non ha più un tetto sopra la testa.

Con il passare dei mesi si è costituita un’assemblea di sostegno agli occupanti, che sta riscuotendo crescente simpatia tra Padova e Venezia. Un’assemblea nata per ribadire la necessità, di fronte all’incapacità e agli interessi della politica, di prendersi ciò di cui si ha bisogno senza aspettare.

Appoggiamo via Borromini 7 augurandoci che tanti, nei prossimi tempi, non scelgano la disperazione e l’isolamento ma provvedano da soli alle proprie necessità.

L’acqua e un tetto ci servono subito, per la legalità possiamo aspettare

LA CASA SI PRENDE E SI DIFENDE!