FILI INVISIBILI
Dalla fine dello scorso luglio qualcosa è cambiato nella quotidianità del carcere veneziano di Santa Maria Maggiore. La rivolta che ha fatto riaprire i blindi, chiusi per rappresaglia dopo il ferimento di una guardia da parte di un detenuto, ha divelto le gabbie della rassegnazione e ha aperto a possibilità inedite.Da quel momento molti mezzi sono stati messi in campo da chi, da fuori, crede che il carcere non sia poi così diverso da tutti gli altri dispositivi che governano le nostre vite: saluti pirotecnici, presidi con microfono aperto, colloqui selvaggi e spontanei dalle finestre, relazioni con parenti e amici dei ragazzi reclusi. Pratiche che hanno svelato tutta la vulnerabilità e l’inutilità di quelle mura, inceppandone per qualche istante il funzionamento e incrinandone la funzione.
La continua corrispondenza tra ciò che accadeva dentro e l’esterno ha permesso a molti incontri di avere luogo, di comprendere i meccanismi materiali e immaginari che permettono a quella fabbrica di solitudine e menzogna di continuare ad esistere.
La lotta dei detenuti si è mossa seguendo fili invisibili, con ritmi propri e l’oscillare di fortunate congiunture. L’esserci stati nel momento culminante della protesta, e il fatto che questa sia stata direttamente efficace ha concretizzato l’idea che ribellarsi è giusto e, soprattutto, serve. Una consapevolezza che ha dato il la allo “sciopero” dei detenuti di settembre: una mobilitazione organizzata con obiettivi specifici, ma divenuta dirompente per merito di tutte le sfaccettature che l’hanno resa difficilmente controllabile: accanto alle rivendicazioni c’era chi barricava le sezioni, incendiava i materassi e chi lottava semplicemente per il desiderio di mettersi in gioco.
Da quel momento anche altre carceri del Veneto hanno visto nascere al loro interno momenti di insubordinazione e di lotta. A Vicenza l’eco di una clamorosa protesta estiva, con i detenuti saliti sul tetto, ha risuonato in svariate battiture per la pessima qualità del vitto e la condizione di sovraffollamento. A Verona due incendi in 48 ore hanno intossicato una ventina di agenti nel mese di ottobre.
Eventi senz’altro conseguenti al pessimo stato nel quale si trovano i penitenziari, ma anche corrispondenze sotterranee, altri fili invisibili che, da dietro le sbarre, partono per riannodarsi ovunque qualche amante della libertà trova il coraggio di alzare la testa. Contro le condizioni che rendono la permanenza in carcere insopportabile ma, soprattutto, contro la propria condizione di reclusi.
CONFINI E BANDITI
In seguito alle proteste di Santa Maria Maggiore il Questore ha notificato 15 fogli di via da Venezia ad altrettanti solidali, per un periodo che va da uno a tre anni.
Il foglio di via rende illegale la permanenza in un territorio di persone ritenute sgradite o pericolose, anche in assenza di condotte penalmente perseguibili. In virtù della sua estrema versatilità, non necessita dell’approvazione di un magistrato, è una delle misure preventive più usate, da qualche anno a questa parte, per bandire chiunque non abbia una residenza certificata, un contratto di lavoro regolare o altri “leciti interessi” produttivi che lo leghino a un dato luogo.
Gli incontri, le amicizie, la voglia di vivere in un modo diverso da quello che ci dicono essere l’unico accettabile non rientrano nei codici della produttività e della tracciabilità, pertanto sono da considerare illeciti e dannosi.
Una concezione dell’abitare totalmente subordinata all’economia, funzionale a chi, assieme al completo controllo dello spazio pubblico, vorrebbe accaparrarsi la gestione delle vite che lo attraversano.
L’epoca che viviamo, nella sua ingovernabilità, rende necessario erigere nuovi confini, materiali o immateriali, per garantire che nulla turbi i flussi mercantili, fino a fare di “ogni sbirro una frontiera”.Fino a rendere la nostra presenza la discriminante tra il poter camminare per strada o l’essere denunciato, arrestato o deportato in un Cie per averlo fatto.
Quando un territorio diventa desiderabile non per i rapporti economici che lo sfruttano ma per le geografie improduttive che lo percorrono, il foglio di via traccia un ennesimo confine, più labile di altri, tra chi siamo e gli affetti che intratteniamo. La Val di Susa e la lotta contro l’Alta Velocità, Ventimiglia con il presidio No Border, l’opposizione alle basi militari in Sardegna rappresentano gli esempi più recenti di come il foglio di via cerchi di frapporsi tra un territorio e chi lo abita per trasformarlo. Ma anche di tante città dove le prospettive di una radicale rottura con l’esistente sono state il principale motivo che ha portato qualcuno a stabilirvisi.
Trovare la forza necessaria per schiantare questi confini, svelandoli nella loro fragilità di carta e cemento, significa attaccare direttamente chi li ha eretti.
CITTà COME PRIGIONI
Nella sola Venezia, quest’anno, sono stati più di duecento i provvedimenti di allontamento emessi dalla questura, la maggior parte nei confronti di senzatetto, abusivi, furfanti e altre categorie “sospette”. Non solo chi si organizza, ma anche chi lotta a proprio modo per vivere meglio in un mondo sempre più atomizzato e ostile diventa un soggetto indesiderabile, qualcuno “di troppo” da cacciare arbitrariamente.
Sebbene sia prassi dappertutto, lo scarto tra i flussi di milioni di visitatori economicamente produttivi e i suoi “rifiuti” a Venezia è reso ancora più stridente. Un ambiente reso inospitale dal suo totale essere merce, dove ci sono più alberghi che case e dove la priorità dei proprietari è non concedere nessuna residenza per poter meglio lucrare su fuori sede e turisti.
Scegliere di abitare in questo ambiente significa, inevitabilmente, affrontarlo: combattere la solitudine che irradia, dotarsi delle armi necessarie per non farsi rinchiudere nella scelta tra il vendere sè stessi e l’andarsene.
Sottrarsi ai dispositivi polizieschi, intessere relazioni di solidarietà non assistenziale, iniziare a vivere qui e ora seguendo il corso dei propri desideri. Non per costruire un altro carcere, un ghetto alternativo dove essere i carcerieri di noi stessi, ma per abbattere l’idea stessa di una società modellata sulle proprie prigioni.
A SABATO 5 DICEMBRE
A fronte di queste riflessioni abbiamo deciso di indire un corteo a Venezia per sabato 5 dicembre. Vogliamo non solo dare una risposta ai fogli di via arrivati nella nostra città ma che, come tutti i confini, anche quelli tracciati dai provvedimenti come questo smettano di esistere.
Per farlo cercheremo di renderli inefficaci, stavolta senza delegare al singolo l’onere di trovare il modo migliore per farlo.
Il nostro invito è aperto ai nemici del carcere e delle frontiere, a chi non rispetta i divieti, a chi ha sempre qualcosa da nascondere.
Violeremo i fogli di via attraversando la città da cui vorrebbero cacciarci, a fianco dei nostri compagni e le nostre compagne banditi, senza chiedere il permesso a nessuno.
Perchè i banditi non sono mai soli.
Perchè dove stare dobbiamo deciderlo noi, forti dei nostri illeciti interessi, dei nostri affetti criminali, delle nostre geografie pericolose.
Ci vediamo Sabato 5 Dicembre, Campo Santa Margherita, Venezia ore 15.00.
Contro i fogli di via e in solidarietà a tutti i detenuti in lotta!