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Tre giorni contro la Sorveglianza

Una proposta. Tre giorni di discussione e iniziative contro la richiesta di Sorveglianza Speciale. Tre spazi di confronto e possibile azione.

A Venezia, il prossimo 16, 19 e 20 settembre.

Sempre contro ogni galera, con o senza sbarre.

 

Troverete tutti i materiali fin’ora prodotti sulla questione (volantini e manifesti scaricabili) a questo indirizzo.

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Un anno dopo

Lo scorso 29 luglio, nell’anniversario della prima rivolta di Santa Maria Maggiore, la Questura di Venezia ha formalmente notificato la chiusura delle indagini per i fatti accaduti all’esterno del carcere veneziano lo scorso anno. Ai 25 indagati vengono contestati reati che vanno dall’oltraggio a pubblico ufficiale al danneggiamento, reati che sarebbero stati commessi nelle giornate del 29 e 30 luglio, 21 agosto, lo sciopero di settembre e il 3 ottobre.

Ricordando quelle fantastiche giornate, esprimiamo solidarietà totale a tutti e tutte gli indagati!IMG_0456


Dalla quarta sezione

Riportiamo una lettera arrivata dal carcere San Pio X di Vicenza, firmata da alcuni detenuti della quarta sezione. La richiesta di diffusione di questo scritto nasce dalla necessità di far conoscere il comportamento delle guardie durante l’incendio di quattro giorni fa, guardie che avrebbero volontariamente omesso di soccorrere un detenuto asmatico svenuto per il denso fumo in sezione.

Nello scritto si fa anche riferimento ad un altro incendio, avvenuto tre giorni prima.

Il testo è riportato in maniera integrale, con l’aggiunta di qualche elemento di punteggiatura e un’ortografia normata. La sintassi è invece totalmente originale.


Noi detenuti della 4a sezione testimoniamo con questo foglio che la notte del 12/07/16 verso le ore 22 circa è stato dato fuoco a un lenzuolo che ha causato fumo sintetico [sic], e poi sono state avvisate le guardie di intervenire con un modo rassicurante, per spegnere l’incendio e di bagnare tutta la cella, così il detenuto che si trovava dentro non poteva appiccare il fuoco di nuovo.

Ma non è stata una richiesta per la nostra sicurezza e vita ed infatti fu [sic] incendiata di nuovo la cella con i materassi di prodotti chimici, cosa che ha riempito tutta la sezione di fumo sintetico e molto tossico. A quel punto le guardie spengono il fuoco e ci fanno uscire per le scale. Un’ora dopo qualcuno di noi si accorge dell’assenza di E. che tutti sappiamo che soffre d’asma visto che è stato intossicato e ha respirato [il fumo di un] incendio di un cuscino la sera del 9/7, cioè tre giorni prima.

E solo un’ora dopo quest’ ultimo incendio sono andati a portare E. che era svenuto, e noi tutti eravamo al cancello.

Come si fa a non intervenire e spegnere il fuoco subito causati detenuti e cercare di non farci intossicare?

Come si fa ad abbandonare un detenuto che soffre di asma respiratoria quando tutte le guardie sono a conoscenza del suo problema ? Poi abbiamo visto che e assistito a questa cattiva azione , sappiamo che sono andati subito all’ospedale per disintossicarsi , speriamo che diano a noi il modo di disintossicarsi, visto che abbiamo respirato la stessa aria delle guardie.

Vi ricordiamo che siamo esseri umani anche noi!!

Seguono le firme di 17 detenuti della quarta sezione

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Sette anni, sette mesi

E’ arrivato ieri a sentenza il processo a carico di alcuni secondini di Santa Maria Maggiore, accusati di omicidio colposo per la morte di Cherib Debibjavi, avvenuta nel 2009 all’interno del carcere veneziano.

Cherib, dopo essere stato salvato dai propri compagni di cella da un tentativo di suicidio, si è impiccato il giorno seguente dopo essere stato sbattuto nella cella 408, la famigerata “liscia” (una stanza priva di suppellettili e di arredi), con la sola compagnia di una coperta che ha usato come corda. La sua storia, anche grazie alle coraggiose testimonianze di altri reclusi che l’hanno fatta uscire, ha iniziato a portare l’attenzione sulla sadica amministrazione del carcere veneziano, sviluppando una sensibilità alla solidarietà che ha saputo riflettersi fino agli ultimi eventi.

Ieri, dopo 7 anni e numerose udienze, sono stati assolti l’ispettore Leonardo Nardino e il vice-sovrintendente Francesco Sacco, accusati di aver presieduto e sorvegliato il trasferimento di Cherib nella “liscia”. Condannato invece a 7 mesi di reclusione, per i reati di omicidio colposo e abuso di autorità, l’ispettore Stefano di Loreto, colui che avrebbe materialmente chiuso la porta della cella, abbandonando il ragazzo a un destino già scritto.

Condannata in primo grado ma già assolta in appello la sorvrintendente capo Daniela Caputo, che avrebbe convalidato formalmente il trasferimento.

Come in altri casi simili la Giustizia assolve sè stessa, preservando intatta la catena di comando e affibiando pene a dir poco simboliche agli esecutori materiali. Pene che suonano come l’ennesimo schiaffo alla memoria di un ragazzo morto perchè finito nelle mani dello Stato.

Chi muore in carcere muore di carcere, scrivevamo dopo il decesso di Manuel a Santa Maria Maggiore nel novembre dell’anno scorso, decesso le cui circostanze rimangono tuttora oscure. Un messaggio che resta ancora valido e pieno di senso.

La giustizia dei tribunali ha fatto il suo corso. Ora non resta che evitare di seppellire ancora una volta Cherib sotto una coltre di oblio e di pacificazione.

E per non dimenticare bisogna, prima di tutto, non perdonare.

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Fuoco nel fuoco

Ancora fuochi nel carcere San Pio X, a Vicenza. Un detenuto italiano, esasperato dalle condizioni sempre più critiche di uno dei penitenziari più infernali della regione, avrebbe dato fuoco al materasso della propria cella, intossicando 5 agenti di polizia penitenziaria. Secondo i giornali l’episodio non sarebbe isolato, ma si inscriverebbe in un’escalation, l’ennesima, di violenze ai danni delle guardie e di insubordinazioni iniziate in questi giorni, con l’arrivo del gran caldo. I sindacati di polizia più attivi (i soliti Uil-Pa e Sappe) lamentano come al solito le precarie condizioni di sicurezza in cui sono costretti (?) ad operare, assieme a una cronica mancanza di organico.

Mancanza di organico che si andrà ad aggravare dal prossimo mese. Il 26 luglio prossimo è infatti prevista la visita al San Pio del ministro della giustizia Orlando, che inaugurerà il nuovo padiglione del carcere berico, con 200 posti nuovi di zecca pronti ad essere riempiti. Un progetto, quello del nuovo padiglione, previsto dall’ultimo piano carceri, che in Veneto ha riguardato principalmente la costruzione del nuovo carcere di Rovigo.

Un ampliamento che sicuramente non andrà a risolvere una situazione da più di un anno in costante ebollizione, tra vermi e altri insetti nel vitto, prepotenze delle guardie e rivolte sedate con l’intervento di reparti speciali.

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Il cerchio si chiude (?)

ACCADIMENTI

Qualche giorno addietro, in una umida e piovosa mattina di giugno, due loschi figuri bussano alla porta di una casa nel quartiere di Santa Marta, pianeta Terra, lembo sud-occidentale della città di Venezia. “Che novità sono queste? Voglio proprio vedere chi c’è di là, e che scuse accamperà la signora Grubach per questa seccatura”. In mano un plico di fogli recante foto sbiadita dell’interessato, corredato da timbri e controfirme:”Richiesta di sorveglianza speciale. No sta rider. No xe da rider”.

NOTE DI INTERMEZZO

La Sorveglianza Speciale è una misura di prevenzione regolata da una legge del 27 dicembre 1956, ma l’idea, ad occhio e croce, risale almeno a una ventina d’anni prima. Erede diretta dell’ “ammonizione” fascista (un provvedimento che, tra le altre cose, impediva di camminare sui marciapedi), è stata rimaneggiata più volte fino al 2011, con l’unico scopo di renderla ancora più pesante e invasiva.

Essendo, per l’appunto, una misura di prevenzione, la sua applicazione può venire richiesta anche in assenza di reati passati in giudicato, purché si comprovi la “pericolosità sociale” del soggetto. Pericolosità che si delinea attraverso un minuzioso collage dei comportamenti penalmente rilevanti e non dell’interessato, comprese le sue frequentazioni abituali, il suo stato patrimoniale, le idee a cui si richiama e ciò che fanno i suoi amici in sua assenza.

La Sorveglianza ha lo scopo dichiarato di favorire la resipiscenza del soggetto, mirabile termine giuridico che designa il “ravvedimento operoso” (e che deriva dal latino resipiscere, riprendere i sensi, o, più volgarmente, darsi una reffata). Per raggiungere questo scopo la misura, una volta effettiva, impedisce al sorvegliato di frequentare luoghi pubblici o assemblee, di incontrarsi con più di tre persone alla volta, di parlare con pregiudicati o sottoposti ad altre misure di prevenzione, di essere fuori casa dopo le 21 e di non frequentare bettole, osterie o postriboli (ah, i postriboli!). Il provvedimento, come nel nostro caso specifico, può essere aggravato dall’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, dall’obbligo di firma in questura o da quello di comunicare alla polizia ogni proprio spostamento. Il tutto per una durata tra gli uno e i cinque anni, che si sospende in caso di carcerazione e che può essere comunque rinnovata in caso di mancato ravvedimento del soggetto, potenzialmente all’infinito.

La seguente citazione, tratta da uno scritto sulla sorveglianza speciale di alcuni “insuscettibili di ravvedimento”, ne fornisce senza ombra di dubbio una descrizione calzante:

“Una repressione fuori e dentro il Diritto, una sorta di carcerazione “a costo zero” che raccoglie e affina diversi arnesi del potere: antropologia criminale, ortopedia sociale, giudizio psichiatrico, sospetto fascista, rieducazione stalinista e perbenismo democratico. Non un’anticaglia del passato, dunque, ma il volto del presente”.

MA NON DOVEVAMO VEDERCI PIù?

Nella richiesta formulata a Venezia ad essere presa in esame è la vita dell’interessato dal 2008 ai giorni nostri, illustrando con dovizia di particolare una lunga serie di episodi “dall’alto valore sintomatico” che lo ricondurrebbero alla categoria di persone pericolose per la tranquillità e la sicurezza pubblica. Tra questi, tanto per dire, l’essere stato presente mentre veniva acceso un fumogeno allo stadio o essere stato avvistato nella ridente cittadina di Rovereto (TN).

Se i sintomi designano una malattia, la cura va presto somministrata: due anni ben lontano dai propri affetti e dalle proprie geografie, pur non potendo lasciare il posto dove si vive. Ma, come si evince dalla conclusione del rapporto questurino, tutto a fin di bene: in fin dei conti l’interessato ha persino lasciato gli studi e non possiede un lavoro stabile, perchè troppo occupato ad essere un pericolo sociale ambulante.

Nella relazione, particolare enfasi viene posta alle azioni di solidarietà intraprese a sostegno delle mobilitazioni dei detenuti nell’ultimo anno, a Venezia e nel resto della regione. Presenze solidali che sono già costate più di trenta fogli di via dalla città e tre avvisi orali (provvedimento che, pur non comportando conseguenze nell’immediato, apre di fatto alla procedura per richiedere la Sorveglianza stessa, l’equivalente di un più prosaico “Hai rotto il cazzo”).

Ora, dato che tra le imposizioni della Sorveglianza vi è il divieto di incontro con chi è sottoposto a misure di prevenzione, come il foglio di via, appare chiaro l’intento di disarticolare definitivamente i legami all’interno di un gruppo di persone , individuato come particolarmente attivo nella lotta al sistema carcerario.

IL CERCHIO SI CHIUDE, O FORSE NO.

Con quest’ultima trovata si chiude idealmente il cerchio della repressione preventiva iniziato con i primi banditi lo scorso settembre, anche se tutto fa pensare che non sarà l’unica misura di questo tipo richiesta nei prossimi tempi.

Così la Questura cerca di ottenere il massimo risultato (l’allontanamento delle persone dai contesti di vita e di lotta a cui appartengono) con il minimo sforzo, senza darsi la pena di perdere anni per processare reati comunque, di per sè stessi, poco rilevanti. Per farlo si avvale di un Diritto d’ “eccezione”, ma normato e presente nei codici almeno da un secolo. Così, se per caso qualcuno volesse spenderci una riflessione.

Spezzare il cerchio è oggi affare di tutti e di ciascuno. I perchè sono molteplici, si possono ricercare tra le sbarre di quell’inferno che sono le carceri italiane, nei mille immobili vuoti o nei mille alberghi di questa città, nel calore delle sue bettole e osterie (quelle poche che sono rimaste frequentabili). Non è un affare tra anarchici, ma nemmeno si tratta di chiedere indietro uno”Stato di diritto” che non è mai stato altro che bastonate e morti ammazzati in galere e nelle strade.

In ballo c’è la possibilità di decidere della propria vita, dei propri affetti e delle proprie idee, rifiutando l’idea che uno sbirro, una piovosa mattina di giugno, bussi alla tua porta per dirti che devi smettere di essere così, per il tuo bene e quello del prossimo.

Giovedì 30 giugno, alle 10 del mattino, ci sarà l’udienza in cui il Tribunale del Riesame deciderà in merito all’applicazione della Sorveglianza Speciale, nell’Aula Bunker di Mestre. Nonostante molti solidali non disdegnino le gite nei campi, specie se molto isolati e lontani dagli altri esseri umani, nessuna presenza è stata prevista lì per quel giorno.

Prima, dopo, durante le occasioni per farsi sentire si troveranno, basta cercarle.

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Un’occasione

Mercoledì 1 giugno, chiamata dai detenuti del carcere di Siano, è iniziata una mobilitazione dei reclusi in alcune carceri italiane contro l’ergastolo ostativo, di cui in calce ripubblichiamo l’appello.

Diffondere la notizia di questa mobilitazione ha rappresentato un’occasione per tornare sotto Santa Maria Maggiore, parlare con i ragazzi e riprendere alcuni contatti. Così, il pomeriggio del 2 giugno, un nutrito gruppo di solidali ha espresso solidarietà ai detenuti del carcere veneziano, ricevendo come sempre una calorosa risposta e più di qualche invito a farsi sentire ancora più forte.

Negli stessi giorni, almeno stando a ciò che dicono i muri, la Città di Venezia ha annullato buona parte delle mostre e degli eventi culturali in programma per l’inaugurazione della Biennale, in solidarietà alla protesta dei carcerati di cui sopra. Cogliamo l’occasione per apprezzare tanta attenzione, convinti che non sarà certo l’ultima dimostrazione di vicinanza in tal senso.

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DAL 1 GIUGNO SCIOPERO COLLETTIVO CONTRO L’ERGASTOLO OSTATIVO – L’APPELLO ALLA MOBILITAZIONE PARTE DAI DETENUTI DI SIANO

Dal prossimo 1° giugno partirà una mobilitazione collettiva che interesserà diverse carceri e liberi cittadini contro l’ostatività, illegittima, dell’ergastolo. Contro quella condanna che non lascia alcuno spazio di speranza per il condannato contravvenendo ai principi rieducativi della pena. Le modalità di adesione saranno differenti e tutte verranno comunicate al Ministro di Giustizia affinché lo stesso prenda visione delle motivazioni della mobilitazione che sono di seguito riportate:


L’ERGASTOLO OSTATIVO è il risultato di un’imprevedibile interpretazione sfavorevole dell’art. 4bis 1 OP affermatasi dal 2008-2009, e pertanto non applicabile retroattivamente ex art 7 CEDU (Corte EDU, casi Kafkaris, Del Rio Prada, Contrada; Sezioni Unite della Cassazione, caso Beschi 2010, Corte Costituzionale sent. num. 364/1998 e 230/2012), e l’incostituzionalità dell’art. 4bis.1 quale presunzione legale, come dimostrato nella tesi di laurea di Claudio Conte (110 e lode accademica), Profili costituzionali in tema di ergastolo ostativo e benefici penitenziari, Uni-Cz, 2016 (scaricabile:https://drive.google.com/file/d/0B5W1NiiAA7MEQ3NRaVhXLTlHTEk/view?usp=sharing ed in possesso di Marco Pannella, del Garante nazionale dei detenuti prof. Mauro Palma e del prof. Luigi Ventura, Preside della facoltà di Giurisprudenza di Catanzaro e relatore della tesi, che sollecitiamo il Ministro a Convocare).

 

Da tale studio si evince che per superare l’abuso dell’ergastolo ostativo, non c’è bisogno di nuove leggi ma basta far rispettare quelle esistenti con una Circolare ministeriale interpretativa ai Giudici di Sorveglianza.I sottoscritti ergastolani/non ergastolani/liberi cittadini, informano il Ministro che dal 1° giugno 2016 attueranno una protesta pacifica (garantita dalla Costituzione), fino a quando Ella non ci farà sapere, anche tramite televisione che è a conoscenza di tale studio, libero poi di ritenerlo fondato o infondato.Ella deve sapere che nella civilissima Italia l’ergastolo ostativo non è stato previsto dalla legge nel 1992 e che 1400 persone sono condannate a morire in carcere solo per una discutibile interpretazione, opera di pochi giustizialisti, e migliaia di reclusi sono esclusi dalle misure alternative illegittimamente


Maggio, su coraggio!

Vicenza. In un assolato sabato mattina viene organizzato un volantinaggio davanti al carcere San Pio X. Più di qualcuno si ferma, si scambiano veloci chiacchiere sotto lo sguardo vigile della penitenziaria. In meno di un’ora accorrono una trentina fra carabinieri, digos e altra polizia che, piazzati all’entrata della struttura, filmano con solerzia chi accenna a prendere i volantini, rendendo di fatto impossibile parlare con un po’ di discrezione. Nei giorni appena precedenti erano state notificate due denunce per oltraggio a pubblico ufficiale, relative al presidio del 13 dicembre scorso.

Belluno. Notizie di richiami e provvedimenti disciplinari per quattro detenuti, accusati di essere tra i principal agitatori della rivolta di febbraio. Un uomo di 45 anni, in cella da meno di 24 ore, si toglie la vita impiccandosi. Giovanni Vona, segretario nazionale del Sappe per il Triveneto, afferma che nel solo 2015, al Baldenich, ci sono stati “30 atti di autolesionismo, 4 tentati suicidi sventati in tempo dagli uomini della Polizia Penitenziaria, 18 colluttazioni e 21 ferimenti, a testimonianza di una costante tensione detentiva”. Il carcere di Belluno non ha mai ospitato più di cento detenuti.

Bolzano. Un accorato saluta porta un po’ di solidarietà ai reclusi, oltre che un sincero ringraziamento per aver accolto i quattro compagni arrestati dopo la manifestazione al Brennero come fratelli. La risposta è come sempre calorosa oltre le aspettative.

Venezia. Distribuiti un’altra decina di fogli di via dalla città. In laguna il numero dei banditi in seguito alle manifestazioni di solidarietà ai detenuti si aggira attorno alla trentina. Notificati, sempre in questo mese, anche tre avvisi orali. Provvedimento che non comporta nessuna limitazione nell’immediato, ma passaggio necessario per formulare un’eventuale richiesta di sorveglianza speciale.

Rovigo. Entrato in funzione il nuovo carcere, dismessa la vecchia struttura in via Verdi. Trasloco effettuato a tempi record, grazie alla manodopera coatta degli stessi detenuti.

per locandina


Altra carta

Sono sei i fogli di via da Venezia notificati negli ultimi giorni, ai danni di altrettante persone non residenti nel comune, a cui viene contestata la semplice partecipazione al corteo dello scorso 5 dicembre.

La strategia della Questura di Venezia, bandire dalla città praticamente chiunque abbia manifestato solidarietà alle rivolte dei detenuti, sembra quindi continuare. Una strategia che, ricordiamo, colpisce in maniera massiccia anche molti altri “sgraditi ospiti”, ma che lo stesso questore reputa totalmente inefficace, come si può leggere qui.

Ancora una volta, lunga vita ai banditi di ogni dove!

 


Su di noi nemmeno una nuvola

Noi non scordiamo Mirco. Dentro come fuori solidali con chi si ribella- Baldenich 28/2.

Due striscioni ricordano i motivi del presidio odierno: ricordare Mirco Sacchet, il giovane detenuto morto all’interno del penitenziario bellunese nel 2010 e non lasciare solo chi, poco più di un mese fa, si è ribellato contro quelle stesse mura assassine.

La giornata vede una grossa partecipazione che si fa subito sentire con cori e, più tardi, anche con l’impianto sonoro. L’attenzione è maggiore rispetto alle volte precedenti: più di un passante si ferma e sarà fondamentale l’apporto di qualche abitante della zona per risolvere i consueti problemi tecnici.

La risposta dei ragazzi dentro non si fa attendere, calorosa come sempre. A presidio in corso qualche solidale armato di megafono riesce a portare un saluto alle celle su un altro lato del carcere, più vicino alla strada e alle case circostanti.

Finisce con dei sentiti ringraziamenti oltre le sbarre, improbabili ma efficaci traduzioni dal francese e le note di un noto cantautore italiano, in una delle canzoni preferite da Mirco.

Molti ombrelli aperti, per paura delle pessime previsioni meteo. E invece, su di noi nemmeno una nuvola…


 

Di seguito il testo di uno dei volantini distribuiti, in merito alla rivolta dello scorso 28 febbraio:

Oggi 13 aprile Mirco Sacchet avrebbe compiuto 33 anni. Ma Mirco, come tanti altri detenuti, non è mai uscito dalle mura del carcere dove era finito. Le circostanze della sua morte, avvenuta nel 2010 al Baldenich e archiviata come “suicidio”, non sono ancora state chiarite, e probabilmente non lo saranno mai.

L’ unica cosa certa è che Mirco, come tanti altri detenuti, è morto di carcere. Un’istituzione che uccide attraverso i pestaggi e i soprusi delle guardie, il bisogno indotto di psicofarmaci come mezzo di controllo, l’isolamento e la rassegnazione che produce quotidianamente. Uno stato di cose che, seppur pensato in ogni dettaglio per apparire ineluttabile, può essere ribaltato attraverso la lotta, la solidarietà, la rabbia di chi vi si trova rinchiuso. Come è recentemente accaduto all’interno del penitenziario bellunese.

Il 28 febbraio scorso i detenuti del Baldenich fanno partire una rivolta. Allagano le sezioni, sradicando i tubi dell’acqua e usandoli per difendersi dalle guardie. Barricano le sezioni con gli arredi delle celle, attaccano la polizia, accorsa in forze anche da fuori regione, lanciando le bombole del gas usate per cucinare. Solo a tarda notte l’amministrazione riesce a riprendere il controllo della struttura.

Un episodio importante le cui conseguenze, anche se non percepibili nell’immediato, apriranno possibilità inedite in un presente altrimenti sempre uguale a sé stesso. Da sempre infatti ogni piccola miglioria delle condizioni carcerarie è passata attraverso la ribellione dei reclusi. Il numero di oggetti da poter tenere con sé, le ore d’aria, i colloqui con parenti e congiunti e mille altri piccoli aspetti della detenzione sono stati strappati con proteste durissime, pagate a caro prezzo da chi ha avuto il coraggio di portarle avanti. Lotte che sono servite a rendere più sopportabile la permanenza ma, soprattutto, a preservare la possibilità di continuare a lottare anche in un luogo come il carcere

L’amministrazione ha reagito trasferendo una ventina di ragazzi in altre strutture della regione e alcuni persino in Piemonte e Sardegna. Un tentativo di spezzare i legami di solidarietà e complicità instaurati, base imprescindibile per poter pensare di alzare la testa.

Una pratica, quella dei trasferimenti in massa, che abbiamo già visto in atto a Venezia a seguito delle proteste della scorsa estate, ma che è risultata inefficace nel momento in cui i trasferiti hanno trovato situazioni ancora più “calde” di quelle originarie.

Sostenere oggi chi ha prerito la rivolta al ricatto delle detenzione vuol dire fare in modo che parole come auto-organizzazione, complicità e solidarietà non perdano di senso. Significa fare in modo che, in altre prigioni come nelle strade, qualcun altro trovi il coraggio di prendere in mano la propria vita e scagliarla contro la miseria che lo rinchiude.

Perchè se il carcere può essere abbattuto, assieme al mondo che lo regge, non possiamo che sostenere chi, da dentro, ha già iniziato a togliere la terra dalle sue fondamenta.

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