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Ritorno a Belluno

Settembre 2010. Mirco, detenuto da circa due anni nel carcere di Baldenich, muore a tre mesi dalla data di scarcerazione. Le circostanze precise riguardanti la sua morte non verranno mai chiarite del tutto, come quelle di tanti altri ragazzi entrati e mai più usciti dalle mura delle carceri italiane. Grazie alla determinazione di amici e familiari la vicenda di Mirco non viene però dimenticata: il suo nome si trasforma in un grido di libertà, la sua storia diviene patrimonio comune di chi pensa che il carcere non possa mai essere la soluzione.

Febbraio 2016. A seguito dell’ennesima prepotenza delle guardie i detenuti del carcere di Belluno danno il via alla rivolta. Vengono allagate le sezioni, divelti gli arredi, scoppiano violenti scontri con la polizia. La situazione ritorna tranquilla solo dopo molte ore, a notte inoltrata. Nei giorni successivi, nel tentativo di spezzare i legami di solidarietà instaurati, molti ragazzi vengono trasferiti in altri penitenziari della regione, qualcuno persino in Piemonte e in Sardegna.

Il 13 aprile prossimo Mirco avrebbe compiuto 33 anni. Vogliamo ricordarlo con una giornata di solidarietà a tutti i detenuti del carcere di Belluno. Per non scordare la sua storia, per non lasciare solo chi continua a ribellarsi contro quelle stesse mura assassine.

MERCOLEDì 13 APRILE, DALLE ORE 15 IN VIA SAN GIUSEPPE. PRESIDIO CON MUSICA E MICROFONO APERTO.

Sulla vicenda di Mirco rimandiamo a un dossier scritto all’epoca dei fatti, completo di testimonianze e articoli di giornale. Lo trovate qui : Dossier Mirco.

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Novità dalle alpi

Pubblichiamo qui alcuni estratti di una testimonianza arrivata dal carcere di Belluno, che da più di un ragguaglio sulla rivolta di sabato 28 febbraio .

Belluno 25 febbraio

Ciao ragazzi, come state? Ho ricevuto la vostra lettera oggi, ma le altre ancora no…
Siete stati grandi e calorosi nuovamente con la vostra solidarietà. Dove vi siete messi l’ultima volta purtroppo non vedavamo nulla, ci sono le finestre che sono chiuse e saldate, ma potevamo solo sentirvi ragazzi miei…
Qui ci sono state alcune battiture, hanno fatto diverse proteste e hanno incendiato i materassi. Celle a fuoco e tutti all’aria. Non una sola, ma ben 4 celle diverse e quella sera è venuto anche il provveditorato di Belluno in carcere a vedere cosa hanno fatto.
Ci sono stati trasferimenti a Trento di alcuni detenuti. In tutto 16 trasferimenti fino ad oggi [ 25/3], uno ogni tre giorni… e sono andati a Vicenza, Verona, Padova, in Sardegna, Bolzano, Trieste e Vercelli.
Sono state tirate le bombole del gas come molotov… olio caldo addosso agli agenti, la notizia è uscita sul Corriere delle Alpi di Belluno.
Poi ci sono state rivolte con gli agenti, i detenuti con pentole, ferri dei tubi dell’acqua e loro con scudi e caschi e manganelli. Sono arrivati con gli idranti e anche i carabinieri di Pordenone e la polizia, saranno state 150 guardie contro quasi tutti con tavole e sedie che volavano e materassi bruciati. E’ successo proprio di tutto!
Spero al più presto di vedervi ancora più calorosi!
Un abbraccio e continuate così

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Metti un sabato a Rovigo

Giornata impegnativa per la questura rodigina, quella di sabato 19 marzo.

Centro completamente blindato, negozi e attività chiuse su tutta via Mazzini, celere schierata e digos in assetto molesto per tutta la durata del presidio sotto al vecchio carcere di via Verdi, una struttura in via di dismissione vista l’imminente apertura di una nuova galera da duecento posti (estendibili a quattrocento).

Calorosa, almeno in un primo momento, la risposta dei ragazzi dentro: le urla si fanno sentire tra le mura di una città resa deserta dal massiccio schieramento di polizia. I numerosi interventi che si sono susseguiti hanno raccontato le rivolte che hanno preso vita negli altri penitenziari della regione, la prossima giornata di mobilitazione contro carcere e 41bis del 16 aprile e la funzione di “valvola di sfogo” che il nuovo carcere cittadino ricoprirà nell’immediato futuro. Uno striscione è dedicato anche alla Uil-Pa (ci si trova proprio sotto la sede), e ai suoi interventi per mettere a tacere le rivendicazioni dei detenuti di Santa Maria Maggiore lo scorso settembre, cercando di strumentalizzarle a vantaggio dei secondini.

Da segnalare il maldestro intervento di Massimo Bergamin, il sindaco leghista di Rovigo, che, non senza un’ammirabile nonchalance, tenta di avvicinarsi al presidio per instaurare un improbabile dialogo su solo lui sa cosa. Dopo essere stato allontanto, definirà, con mirabile sintesi di linguaggio,  dei “mona”i partecipanti alla manifestazione.

Qui di seguito trovate il testo del volantino distribuito:

Un nuovo carcere, un altro carcere.

A Rovigo è da poco terminata la costruzione del nuovo carcere. Recentemente inaugurato con i suoi 200 posti estendibili a 400, si appresta a diventare uno dei penitenziari più grandi della regione. Nonostante i fasti della cerimonia inaugurale, la struttura non aprirà i battenti prima della prossima estate. La funzione riservata a questa piccola “grande opera” costata 29 milioni di euro sta nel fare da valvola di sfogo a una situazione in continua ebollizione.

Le carceri del Veneto versano infatti in una situazione di sovraffollamento inumano che nell’ultimo anno, è stata tra le cause principali di proteste portate avanti dai detenuti, sfociate in alcuni casi in vere e proprie rivolte. A Venezia, a Verona, ma anche a Belluno e Vicenza i reclusi hanno dato vita a mobilitazioni sia spontanee che organizzate, dimostrando che, dentro come fuori, l’unica libertà possibile e desiderabile è quella che risiede nella lotta stessa.

La risposta delle amministrazioni carcerarie, accanto ai provvedimenti disciplinari, è stata quella di trasferire i detenuti più attivi in altre prigioni, cercando di recidere i legami di solidarietà instaurati e allontanando le persone dai propri familiari e affetti. Provvedimenti odiosi, ma che non sono stati in grado di fermare la voglia di alzare la testa di chi è dentro; tant’è che le proteste, lungi dall’essere cessate, si sono diffuse in altre strutture.

Un carcere tutto da riempire, all’avanguardia e lontano dal centro abitato, è lo strumento perfetto per governare ogni possibile eccedenza di un sistema che, nel prossimo futuro, dovrà presentarsi ancora più solido ed efficiente.

L’apertura di una nuova galera non può essere una “festa” (per usare le parole del ministro Orlando), e nemmeno la soluzione di un problema endemico e radicale, che va al di là del freddo conteggio dello spazio vitale di un individuo.

Narrazioni pericolose.

Negli ultimi mesi le uniche notizie riguardanti la situazione interna al carcere di Rovigo sono giunte dalle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria. Queste sigle (Sappe, Osapp, Uilpa) lamentano le drammatiche condizioni in cui si troverebbe a operare il personale di custodia e, dall’inizio di gennaio, hanno indetto uno stato di agitazione che si è concretizzato nell’astensione dalla mensa per alcuni giorni e in una manifestazione per le vie della città. A ciò si aggiunga che, nella storia raccontata dalle organizzazioni sindacali, la nuova struttura sarebbe già infestata dai topi e compromessa dalle infiltrazioni d’acqua ancor prima di essere riempita.

In tutte queste narrazioni, che hanno trovato ampio spazio sui giornali locali, non vengono mai menzionati i detenuti, se non per urlare allo scandalo quando il personale di custodia è protagonista di qualche screzio o per lamentarsi delle loro “eccessive” libertà di movimento all’interno del carcere. Un copione che abbiamo visto inscenare già a Venezia, dove i sindacati di polizia penitenziaria hanno cavalcato le proteste dei reclusi per far ottenere alle proprie istante maggiore visibilità. Un mezzuccio che, se da una parte mette a tacere la voce di chi da dentro si ribella, è utile a trasmettere l’idea di un carcere dove tutti stanno male allo stesso modo e dove la rabbia dei detenuti può essere concertata come un orario lavorativo.

Sappiamo che la realtà è ben diversa, che nessuna pace può esserci tra chi rinchiude e chi è recluso, tra servi e sfruttati di questa società!

Strumentalizzazioni simili concorrono al progressivo affermarsi dei sindacati di polizia come forza politica vera e propria. I recenti connubi tra le sigle di cui sopra e partiti come la Lega di Salvini, sempre pronta a sostenere chi fomenta la guerra tra poveri per fini elettorali, rappresentano una pericolosa novità di cui è impossibile non tenere conto, anche quando si parla di detenzione.

Una riorganizzazione al passo con i tempi.

La costruzione delle nuove strutture, e l’ampliamento di quelle esistenti, prevista dal piano carceri del 2009 è quasi completata. In più, nella seconda metà del 2015, il piano straordinario per le carceri ha subito un’accelerazione con raffiche di bandi e gare d’appalto che a dicembre hanno sfiorato i 60 milioni destinati al prossimo e incessante ampliamento di numerosi istituti da Nord a Sud della penisola.

In linea parallela si sta facendo sempre più ricorso a forme di detenzione alternative: il rapporto tra carcerati e detenuti ai domiciliari è passato da 1 a 4 a 1 a 1 e continua a venire incoraggiato l’uso di queste misure per pene inferiori ai quattro anni.

Nel campo della detenzione amministrativa molti centri di identificazione ed espulsione (C.IE.) sono al momento in via di ristrutturazione, dopo essere stati dati alle fiamme dai reclusi, e sono in cantiere altrettanti “hotspot” che assumeranno a tutti gli effetti caratteristiche di centri di smistamento, molto simili a dei lager. Di fatto, queste nuove strutture di detenzione amministrativa renderanno più facili le procedure di identificazione, schedatura (con tanto di prelievo di impronte digitali) ed espulsione dei migranti non inclini a conformarsi alle leggi dei “democratici” paesi europei.

La cosiddetta “emergenza terrorismo”, ovvero ciò che rappresenta il ritorno della guerra in casa nostra, allarga i suoi orizzonti e sembra direzionarsi verso l’estensione del paradigma di detenzione amministrativa anche ad altre categorie, oltre ai migranti, sulla base non di prove ma di semplici indizi.

Dalla stessa motivazione parte anche l’esigenza di razionalizzare le sezioni ad “alta sicurezza” presenti in molte carceri, accorpandole e manifestando sempre più la tendenza di istituire nuove prigioni ad esclusivo regime “speciale”.

Ciò che si va prospettando è un futuro in cui sarà il carcere stesso ad uscire dalle mura, a diffondersi in altri luoghi e ad assumere connotati inediti.

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A questo link trovate invece un contributo dei compagni e delle compagne di Out On Polesine sulla giornata:

http://outonpolesine.altervista.org/prigioni-di-parole/


Carceri a Rovigo

Una gabbia di ferro e cemento, ancora vuota, con vista sulla tangenziale.

Una trentina di milioni di euro per edificare l’ennesimo luogo di isolamento e rassegnazione nel paesaggio urbano: il nuovo carcere di Rovigo.Una struttura che quando aprirà i battenti, con i suoi 200 posti estendibili a 400, diventerà la prima “soluzione” ai problemi degli altri penitenziari della regione.

In tutto questo l’unica narrazione che è riuscita a imporsi è quella del Sappe, il meschino sindacato di polizia penitenziaria che, negli ultimi mesi, non ha risparmiato lagne sulle proprie condizioni lavorative, sul ritardo nella consegna della nuova struttura e sullo stato delle proprie divise.

Eppure le mura di Vicenza, Verona, Venezia e Belluno ci hanno raccontato un’altra storia. La storia di chi smette di avere paura delle sbarre e delle guardie, di chi si organizza per ribellarsi a uno stato di cose intollerabile e umiliante.

Abbiamo deciso di portare quelle voci anche a Rovigo, per espanderne l’eco.

Perchè nessun nuovo carcere può essere una soluzione. Perchè, dentro come fuori, l’unica libertà possibile è nella lotta contro questo presente.

Sabato 19 marzo, dalle ore 14.30 sotto al carcere di via Verdi con musica e microfono aperto, per un pomeriggio di solidarietà a tutti i reclusi.

ROVIGO WEB

Versione stampabile del manifesto qui CARTEL ROVIGO


Rivolta al Baldenich!

Stamattina con questo titolo molti giornali locali hanno aperto la cronaca del bellunese.

Secondo le ricostruzioni, per ora unica fonte in nostro possesso, la rivolta sarebbe scoppiata per protestare contro le condizioni generali del carcere, le solite lungaggini burocratiche e il sovraffollamento. Si parla di tubi dell’acqua divelti per allagare le sezioni, di bombolette del gas incendiate e di una battitura collettiva durata fino a tarda notte. Per cercare di sedare gli animi l’amministrazione avrebbe richiesto supporto al personale di altri penitenziari, su tutti quello del Due Palazzi. Sempre stando alle dichiarazioni dell’amministrazione la principale preoccupazione, per tutta la nottata, è stata quella che dalle celle coinvolte la protesta divampasse all’intero carcere.

La rivolta è avvenuta a una settimana esatta dal presidio del 20 febbraio, indetto in solidarietà a tutti i detenuti e per salutare i più di 40 “sballati” dal carcere di Venezia a quello di Belluno a seguito delle proteste della scorsa estate. Trasferimenti che, nonostante i dati “truccati” diffusi fino a oggi, hanno effettivamente portato ad una condizione di sovraffollamento, oltre che, ci auguriamo, un certo savoir faire nell’arte di erigere barricate in sezione.

Le notizie da Belluno arrivano proprio nel giorno dell’inaugurazione ufficiale del nuovo carcere di Rovigo, alla presenza dello stesso ministro della Giustizia. Una struttura che, siamo sicuri, diventerà la “soluzione” a tutti i problemi, e alle proteste, che hanno contraddistinto l’ultimo anno nelle prigioni del Veneto. Lotte che hanno saputo parlare all’esterno ma soprattutto tra carcere e carcere, dipanando fili e trame inedite che non resta che seguire fino in fondo.

Nel pomeriggio una fugace ma calorosa presenza sotto Santa Maria Maggiore ha portato ai detenuti veneziani un racconto su quanto accaduto tra i monti. Con i migliori saluti dei trasferiti.

Servizio n.1194421: 20 Febbraio 2016 - Via San Giuseppe Localita' Baldenich - BELLUNO (Belluno) - Presidio davanti alle carceri di Baldenich di Belluno - Un momento del presidio - - - fotofecaberlotto

Belluno 20 febbraio

 


Anche tra i monti

“Nuove carceri, trasferimenti, fogli di via?Portare la lotta ovunque!”

Una presenza molto calda e partecipata sotto le mura del Baldenich, quella di sabato 20 febbraio. Una presenza che ha cercato di seguire e riallacciare i fili delle lotte degli ultimi mesi nelle carceri della regione. La vicinanza tra la strada e le celle permette di comunicare bene: dopo un’oretta di “riscaldamento” la risposta da dentro si fa sentire forte e rabbiosa. Vengono salutati i numerosi trasferiti da Santa Maria Maggiore e ricordato come questo carcere, oltre a fungere da “serbatoio” per mitigare i problemi si sovraffollamento di altre strutture, sia l’unico in zona ad avere una sezione dedicata alle persone transgender e un reparto psichiatrico (dove sono stati recentemente smistati alcuni dei reclusi dell’ex Opg di Castiglione delle Stiviere).

Tra i vari interventi che hanno intervallato i gruppi hip-hop provenienti da tutto il Veneto, particolarmente significativo quello che ha ricordato Mirko, ragazzo morto suicida tra le mura del penitenziario bellunese nel 2010.

Tra cori, fumogeni e improvvisate arrampicate sulla rete del campo antistante le mura si conclude una giornata importante per gli eventi e le prospettive che l’hanno motivata: riuscire a mantenere una continuità tra i momenti di protesta tra le mura e la quotidianità, tra la corrispondenza e una presenza tangibile fuori le mura.

Nel frattempo l’inaugurazione del nuovo carcere di Rovigo è stata fissata per il prossimo lunedì.

Qui di seguito riportiamo (dal Corriere delle Alpi) alcune statistiche sul carcere Baldenich uscite il giorno successivo al presidio:

I numeri di Baldenich. Nella struttura cittadina, l’unica del Veneto ad avere una sezione psichiatrica e una riservata ai transessuali, le cifre sono in controtendenza, rispetto alle altre case circondariali regionali. La capienza regolamentare è di 89, mentre quella tollerabile arriva a 134. Le presenze medie nel periodo monitorato dal primo luglio 2014 al 30 giugno dell’anno scorso sono state 78. Infine le presenze registrate al 30 giugno dell’anno scorso sono state 67.

Le statistiche più allarmanti sono quelle che si chiamano eventi critici: nel periodo

 tra il primo luglio 2014 e il 30 giugno dell’anno scorso, non ci sono stati suicidi, ma in sei ci hanno provato, come a Padova e più che nelle altre carceri e gli atti di autolesionismo sono stati 37. I numeri sono stati diffusi il giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.
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Riallacciare i fili della lotta, ci vediamo a Belluno!

ATTENZIONE! LA DATA DEL PRESIDIO è STATA MODIFICATA:

CI VEDIAMO SABATO 20/02/2016 ALLE 14.00 IN VIA S.GIUSEPPE (non più domenica 21)

Quattro suicidi, 55 tentativi di darsi la morte, 318 casi di autolesionismo. 2808 detenuti a fronte di una capienza regolare di 1693 unità.
Sono questi alcuni dei numeri che raccontano il 2015 tra le mura delle carceri del Veneto. Una situazione al collasso che ci parla di strutture fatiscenti, sovraffollamento, vitto scarso e immangiabile, sadiche ripicche di direttori e guardie.
In questo tetro quadro in molti hanno scelto di non abbassare più la testa, organizzandosi e preferendo ribellione al ricatto a cui chi è rinchiuso è costantemente sottoposto. L’anno passato la monotonia quotidiana delle prigioni di Venezia, Verona e Vicenza è stata interrotta da battiture di protesta, scioperi della fame e del carrello, conflitti con le guardie e vere e proprie rivolte.
Abbiamo ascoltato quelle grida di libertà, le stesse di sempre, e abbiamo cercato di sostenerle, amplificarle, diffonderle ovunque ci sembrasse necessario, per renderle più forti e incisive.
Perchè sappiamo che la giustizia, quella vera, non passa attraverso i rituali moriferi dei tribunali e delle prigioni.
Perchè ci è sembrato giusto dare una risposta all’altezza di chi, con caparbietà e coraggio, è stato in grado di inceppare quel dispositivo di solitudine e rassegnazione chiamato carcere.
Perchè il carcere, volenti o nolenti, è qualcosa che riguarda tutti, che è presente in ogni aspetto delle nostre vite. E vogliamo smettere di averne paura.

A seguito delle proteste numerosi detenuti sono stati trasferiti in altre carceri del Veneto. Provvedimenti che fungono da palliativo per alleviare le condizioni di sovraffollamento, ma anche da deterrente per lo scoppio di nuove rivolte.
Negli ultimi mesi più di quaranta ragazzi sono stati “sballati” dal carcere di Venezia a quello di Belluno, una struttura non ancora satura e “periferica” rispetto ai grossi penitenziari della regione.
Non far sentire soli i trasferiti, e tutti i loro compagni di detenzione, significa in questo momento riannodare i fili di una lotta non ancora sopita, che ha saputo parlare anche a chi, del carcere, non ha mai fatto esperienza.

L’appuntamento è per domenica 21 febbraio alle ore 15, sotto al carcere di Belluno (via Baldenich) con musica e microfono aperto.

In solidarietà a tutti i detenuti, per continuare a lottare.

 

Qui sotto trovate il Manifesto in formato stampa

e il volantino in A5

Manifesto Belluno


1970 Santa Maria Maggiore

Santa Maria Maggiore, 31 ottobre 1970.
Abbiamo visto nei giornali le foto dei compagni di Lotta Continua, che stanno facendo lo sciopero della fame a Porto Marghera. Buona parte di noi si trova qui dentro vittima di questo sporco sistema che colpisce i proletari in tutti i modi. Quando parliamo tra di noi e ci raccontiamo le nostre esperienze, il risultato finale è un odio accanito contro tutti gli sbirri, i manicomi, le galere, i tribunali e tutta la “malavita”: quella vera, degli imbroglioni, e ladri di prima classe, i padroni. I padroni e i loro servi che vivono sulle spalle del popolo. Oggi leggevamo sul “Gazzettino” del “Caso Boato” e ognuno di noi ritrovava se stesso e mesi e mesi di carcere preventivo, di umiliazioni, di segregazione, che centinaia di giovani devono subire per dei reati quasi sempre dettati da necessità economiche o addirittura inesistenti.
Bisogna essere qui dentro per capire la freddezza con cui si lascia marcire qui tanta gente, senza avere nessuna vera prova in mano; bisogna essere qui dentro per accorgersi che la stragrande maggioranza è gente povera: i signori, i padroni come Riva trovano sempre il modo di cavarsela; soprattutto se dietro c’è la Montedison, come per gli assassini del Vajont che non hanno rubato qualche carta da 100 mila, ma hanno ammazzato freddamente ben duemila persone. Basterebbe pochi giorni qui per accorgersi che i “delinquenti” sono una minoranza: ci sono ragazzi che aspettano da mesi il processo, per essere stati trovati con due grammi e mezzo di droga. C’è un vecchio dentro per vecchi rancori tra famiglie. C’è un negro di venti anni del Sud Africa qui da quasi un mese per una baruffa al porto (in questura ha perso anche i vestiti). Quando l’hanno interrogato parlavano solo italiano: non ha capito niente né lui né l’interprete. Ora è qui, senza i soldi per l’avvocato, abbandonato dalla sua nave di squadristi bianchi. Un ragazzo di Milano, orfano, senza una lira, è qui da agosto e aspetta il processo che chissà quando verrà: questo per aver dato un bacio ad una tedesca a Iesolo dove lavorava. Venendo in prigione, ha perso anche la stanza dove abitava, il comune l’ha passata ad un altro.
E ci sarebbe da parlare anche di quelli di noi che sono “ladri”: abbiamo tutta una nostra morale al fondo del nostro comportamento, una serie di principi: ci rifiutiamo di lavorare da schiavi: “lavorare un mese per portare a casa una miseria”, la ridistribuzione dei soldi rubati dai borghesi alla povera gente. I soldi infatti non si trovano dove non ci sono, cioè nelle case degli operai.
Se usiamo la violenza è perché alla “giustizia” dello stato capitalista cerchiamo di opporre la nostra giustizia. Il nostro errore è stato quello di interpretare individualisticamente questi principi, in modo cioè da perpetuare lo sfruttamento e non da eliminarlo.

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Sovraffollamenti

Secondo le ultime indiscrezioni i detenuti rinchiusi nel carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia, sono passati dai 340 di luglio, mese in cui sono iniziate le proteste, a 210. Trasferimenti e scarcerazioni di cui si sarebbe interessato in prima persona il Ministero dell’Interno, dopo le interrogazioni parlamentari presentate a seguito delle rivolte estive.

Un palliativo senza dubbio frutto delle lotte intraprese che, lungi dal risolvere i problemi strutturali del penitenziario, va inteso anche come un mezzo per scoraggiare altre insubordinazioni. Gli “sballati” sarebbero stati scelti tra coloro che intrattenevano meno legami, amicali e di parentela, con la città lagunare, ma sappiamo per certo che alcuni dei trasferiti sono stati tra i più attivi durante le battiture e gli scioperi passati.

Almeno quaranta ragazzi sono stati trasferiti al Baldenich, il carcere di Belluno, una struttura periferica che, fino al mese scorso, contava non più di 70 reclusi.

Altro fronte caldo per i trasferimenti, nel prossimo futuro, potrebbe essere il nuovo carcere di Rovigo, con 400 posti appena inaugurati ma non ancora attivi.

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Chi non va in vacanza

E’ di oggi la notizia ufficiale che il Comune di Venezia si dichiarerà parte civile per quanto riguarda la pulitura delle scritte sui muri lasciate dopo il corteo del 5 dicembre. Il primo cittadino prende la palla al balzo per dichiarare la volontà di vietare le manifestazioni nella zona di Santa Margherita ( “C’è già tanta gente, così è facile dire che la manifestazione è riuscita. Sic)e di spostarne la caratterizzante “movida” in zona Stazione Marittima.  Una decisione, ci sembra, perfettamente in linea con i tempi e i progetti, ormai non più tanto nascosti, di gentrificazione della zona di Santa Marta. Un quartiere ancora tagliato fuori dai flussi turistici e commerciali che attraversano il resto di Venezia e che si vorrebbe “aprire” alla città costruendovi un campus universitario e un distretto del divertimento a pochi passi di distanza. Museificare uno degli ultimi campi ancora vivi, pur con tutte le contraddizioni del caso, per ghettizzare ulteriormente chi ha l’ardire di provare a vivere la propria città anche dopo le sette di sera, e tanto meglio se l’Autorità Portuale o il Costa di turno due palanche riescono a guadagnarle.

Nel frattempo, nonostante il gelo dicembrino, la situazione nei penitenziari della regione non accenna a raffeddarsi. Oggi, verso le sette di sera, una forte battitura ha coinvolto la sezione numero tre del carcere di Vicenza. Le motivazioni non sono ancora note, ma si tratta dell’ennesimo episodio simile che in questo 2015 ha coinvolto la popolazione detenuta nel San Pio X.

A Venezia ancora nessuna notizia ufficiale sulle cause della morte di Manuel, avvenuta il 28 novembre scorso tra le mura del carcere veneziano. E’ sempre di oggi invece la notizia che, verso mezzogiorno, due ragazzi marocchini hanno incediato la propria cella a Santa Maria Maggiore, intossicando alcuni agenti. Secondo le ricostruzioni dei giornali i due sarebbero poi stati tradotti in ospedale per gli accertamenti del caso. Evidentemente la recente visita del Patriarca in occasione del Giubileo non ha portato chissà che speranza tra le sbarre del penitenziario lagunare.

Qui sotto, con i migliori auguri di Natale, l’opera di alcuni vandali.

 

Una delle scritte lasciate dagli anarchici che hanno imperversato nel centro storico di Venezia, 05 dicembre 2015. ANSA