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Vicenza odia, la polizia non può sparare

Bel presidio oggi in quel di Vicenza. Nonostante il freddo un buon numero di solidali ha ribadito la propria vicinanza ai ragazzi del San Pio X, raccontato di Manuel (detenuto morto di recente nel carcere di Venezia) e della manifestazione in solidarietà ai detenuti e contro i fogli di via di sabato scorso.

Che la polizia fosse particolarmente nervosa lo si era già capito a metà giornata, quando un impavido dirigente di piazza, individuando un paio di malintenzionati intenti a battere delle pietre contro una recinzione per far rumore, ha iniziato ad attaccarsi alla radiolina per chiamare rinforzi.

Ma il vero film d’azione inizia a presidio terminato. Alcuni solidali rientrano alle macchine dopo un colorato e rumoroso saluto, a cui i reclusi hanno risposto con una battitura. Sul loro percorso irrompe una macchina della polizia, portiera spalancata, da cui scendono nientepopodimeno che due secondini (!) imbruttiti che, mano sul ferro d’ordinanza, tentano goffamente di placcare chi se ne sta andando.

Sirene spiegate in via della Scola, sopraggiungono altri tutori dell’ordine che identificano tutti i presenti e se ne vanno. Nel frattempo una vettura particolarmente intrepida viene inseguita fino al distributore di benzina più vicino, gli sbirri scendono e, con tanto di pistole spianate e battute da copione (“Fine della corsa!”), intimano i presenti a mettersi faccia a terra.

Piano sequenza su periferia veneta con nebbia crescente. Stacco. Alla prossima.

vicenza odia


Trasferimenti e fogli di via?Saremo ovunque!

Continuano ad arrivare notizie di numerosi trasferimenti dal carcere di Venezia ad altri penitenziari della regione. C’è chi parla di un ritmo di una decina di “sballati” al giorno. Benché siano ancora da capire le ragioni di tali spostamenti, riteniamo necessario seguire quei fili invisibili che hanno determinato il dispiegarsi delle lotte degli ultimi mesi.

Domenica 13 dicembre è stato organizzato un presidio sotto il San Pio X, a Vicenza. Un carcere balzato agli onori delle cronache a fine ottobre per i vermi e gli scaraffaggi rinvenuti nel vitto dei secondini e per diversi episodi di insubordinazione. Un racconto di questi fatti potete trovarlo qui.

Di seguito pubblichiamo la locandina e l’appello scritto dagli organizzatori. Ci vediamo a Vicenza.


 

Domenica 13 dicembre
ore 15.00
Presidio al San Pio X per rompere il silenzio assordante che ci separa da chi vive oltre le mura del carcere di Vicenza.

In tutto il Veneto, la situazione dentro alle galere è esplosiva: diverse sono state le proteste dei detenuti da Venezia a Vicenza, passando per Verona.
La solidarietà è l’arma più grande per dare forza e non lasciare soli i prigionieri che si ribellano contro condizioni di detenzione al limite della dignità e ogni sorta di angheria o sopruso da parte di secondini e amministrazione penitenziaria.
Da fuori il sostegno alle rivendicazioni di chi lotta è scomodo, lo dimostrano le decine di fogli di via dispensati ai solidali che hanno sostenuto le mobilitazioni di questi ultimi mesi. Non sarà la repressione a frenare la nostra passione per la libertà.
Il carcere non è la soluzione, ma parte del problema!
Interventi, microfono aperto, musica e concerto hip-hop con Mistura mortale crew

Il carcere si trova in Via Basilio dalla Scola 150

presidio vicenza 2

 


Per chi ha orecchie per sentire

Sabato scorso un corteo ha attraversato le calli e i campi di Venezia.
Un corteo che voleva mettere al centro la solidarietà verso i detenuti del carcere di Santa Maria Maggiore e gli ormai 20 compagni e compagne colpiti dai fogli di via.
Provvedimenti di allontamento emessi dalla questura proprio a seguito della vicinanza dimostrata alle mobilitazioni dei carcerati, in lotta contro le disumane condizioni di detenzione, le angherie delle guardie e le sadiche disposizioni dell’amministrazione.
Una situazione che è lungi dall’essere risolta a Venezia come in altre carceri del Veneto, dove continuano a susseguirsi episodi di insubordinazione e ribellione da parte dei detenuti e dove la presenza di solidali, pronti a dar voce a ciò che succede dentro, inizia a spaventare per la sua efficacia.
Un corteo che volevamo così. In grado di muoversi per la città grazie ai legami che ha saputo costruire attorno a questa lotta, garantendo il fatto che le persone con il foglio di via potessero parteciparvi, comunicando con molte pratiche: dall’attacchinaggio al volantino, dal microfono aperto alle scritte.
Scendere in piazza ha significato riappropriarsi dello spazio, lì dove ci sarebbe stato vietato.
Dispositivi come la videosorveglianza, il foglio di via o il permesso di soggiorno, la gentrificazione dei quartieri sono funzionali a mantenere il dominio della merce sulla vita.
A presiedere l’esistenza di tutti questi dispositivi vi è quella fabbrica di rassegnazione chiamata carcere, primo pilastro dell’ordine sotto al quale nulla deve accadere.
La scelta della polizia di presidiare in forze quest’ultimo, assieme al Tribunale e alla Questura, e la “galleria commerciale” tra Rialto e San Marco risponde in pieno a questa esigenza: difendere l’immagine delle Istituzioni e garantire il quieto scorrere dei flussi mercantili.

Molto è stato scritto sugli esiti della giornata.
L’indignazione per le scritte lasciate sui muri, sulle vetrine delle banche o di negozi di lusso fa il paio con chi, senza aver mai rischiato di finire in un carcere, invoca la galera a vita per chi usa una bomboletta spray.
Non ci stupisce, è lo spirito dell’epoca.
Il “Cleaning day” chiamato per “ripulire lo scempio anarchico” assomiglia tanto, troppo, al “popolo delle spugnette” del 2 maggio a Milano, come alla marcia in difesa della Repubblica, convocata dai peggiori guerrafondai d’Occidente, in seguito alla strage di Charlie Hebdo.
Momenti in cui chi governa invita a prendere posizione, la loro posizione, per farla diventare l’unica possibile.Contarsi in seguito al manifestarsi di una minaccia, reale o immaginaria, è l’unico modo per fingere che esista ancora una società a cui aggrapparsi.
Un’operazione che trova ampio risalto quando si riesce, letteralmente, a far ammalare di terrore una popolazione, rovesciando il significato delle parole e delle azioni.
Parlare di “scempio” e “paura” riguardo alla manifestazione di sabato ci sembra l’ennesima occasione persa per parlare della realtà.
Lo “scempio” di Venezia è abitare in una città dove ci sono più alberghi che case abitate, dove ogni anno cinquecento persone vengono deportate a spostarsi in terraferma per lasciare spazio a un numero sempre maggiore di turisti.
Lo “scempio” è lasciare che il patrimonio storico venga venduto, per sempre, al ricco investitore di turno, accorgendosi della sua esistenza solo quando questo viene imbrattato.
Lo “scempio” è dover camminare chilometri per fare la spesa, perchè tutte le vetrine sono diventate negozi di maschere e souvenir.
Lo scempio è permettere che esista un luogo di tortura come Santa Maria Maggiore, dove si continua a morire, e che si scenda in piazza per cancellare delle scritte sui muri.
La “paura” è non poter camminare per la città dove si è scelto di vivere senza il timore di venire fermato, identificato e espulso per avere i documenti non in regola o un foglio di via.
Paura la fanno i militari nelle calli equipaggiati come nelle zone di guerra, i poliziotti che ammazzano nelle caserme, i giudici pronti a sbatterti in cella per avere del fumo in tasca o aver rubato a un supermercato.
Paura la fa il carcere, quando si è soli e senza nessuno con cui potersi ribellare.

Pensiamo sia opportuno, in questa fase, non aggiungere ipocrisia all’ipocrisia.
Sappiamo bene che le modalità con cui si è stati in piazza sabato scorso possono non piacere a tutti.
Siamo consci che, in una città organizzata per essere nient’altro che un museo, una presenza che rifiuta il proprio essere nient’altro che merce possa apparire intollerabile.
Scriviamo queste riflessioni, come sempre, per chi ha ancora orecchie per sentire, oltre il martellamento mediatico dei giornali e il tintinnare delle manette.


Lagne e infamità

In questo articolo riportiamo per intero una lettera firmata “dei semplici (?) poliziotti penitenziari”, pubblicata oggi sulla Nuova di Venezia.

A chi avese avuto la sventura di finire in carcere, di avere un parente o un amico rinchiuso, di conoscere la prigione, anche da fuori, per quello che realmente è la sola lettura di questo testo dovrebbe bastare a rendere l’idea di che razza di esseri sono i secondini. Per tutti gli altri, le note in calce.

Buona lettura.


“Un carcere gestito dai detenuti”

Il carcere di Santa Maria Maggiore è arrivato all’ennesima pagliacciata in fatto di gestione, trattamento e rieducazione dei detenuti. Termini o parole che fino a qualche tempo fa avevano un significato e un peso notevole all’interno dell’istituto (1), così come era tato pensato, ideato e messo in pratica dai compilatori ed esecutori del trattamento (2) penitenziario, riassunto nel motto della Polizia penitenziaria “Vigilando redimere”.

I poliziotti penitenziari non possono più procedere(3) verso i detenuti che -“poverini”- hanno diritto a distruggere celle, mettere a soqquadro un’intera sezione, minacciare i poliziotti e gli altri operatori penitenziari (infermieri, dottori, etc) con le lamette, gridare, dare fuoco agli armadietti delle stanze (4), tutti costi che dopo vengono addebitati alla collettività educata che vive fuori dal carcere, ovvero noi cittadini, in quanto queste persone “brave e meritevoli” si fanno risultare nulla tenenti e se solo il personale vestito con una divisa che dovrebbe rappresentare lo Stato, ovvero l’autorità, si permette di pronunciare parole quali “fai silenzio o stai zitto”, vengono perseguiti e allontanati dai dirigenti, perchè così facendo è un’istigazione.

Guai soprattutto a eseguire una qualsiasi perquisizione sulla persona di questi soggetti, perchè gli si mette “le mani addosso”, viene visto come un maltrattamento nei loro confronti . Però, dopo, vengono richieste le motivazioni per cui si trovano proiettili dentro le sezioni, o circolano sostanze stupefacenti. Lo stesso comandante di reparto deve avere il permesso di parlare dai detenuti, il direttore non svolge il Consiglio di disciplina perchè ha paura di peggiorare la situazione, quindi è meglio chiudere gli occhi affinché questi delinquenti finiscano in fretta il fine pena e si levano (sic) di torno dall’istituto, con il paradosso che, rimessi in libertà, questi in meno di qualche settimana, rientrano in carcere per qualche altro reato che periodicamente leggiamo sui giornali, e dove tutti ci indigniamo.

A questo punto l’indignazione è una pura mascherata di fronte all’opinione pubblica. Adesso, comunque, i poliziotti penitenziari hanno la possibilità, se vogliono cambiare lavoro, di fare domanda direttamente agli hotel e alberghi extralusso, perchè non penso che in queste strutture ci sia il personale che accompagna il “cliente” in giro per tutta la struttura e far scegliere la stanza dove trascorrere le ferie pagate, tutto compreso, vitto-alloggio-quotidiano-visite mediche-dallo Stato; si è arrivati anche a questo negli ultimi giorni (5).

Ormai l’opinione pubblica deve capire che le grate che vede alle finestre dei carceri (sic) servono per tenere lontani i cittadini onesti da questo paradiso, e i poliziotti penitenziari sono diventati i “gorilla” dei detenuti affinché stiano tranquilli dai delinquenti che siamo noi cittadini.


Prendendo le distanze dall’imbarazzante sintassi, un paio di annotazioni:

(1)Termini come “gestione, trattamento, rieducazione” hanno avuto effettivamente un significato ed un peso notevole, fino a qualche tempo fa. Ricordiamo tutti i bei tempi della cella 408, la “liscia”, una stanza priva di arredamento e suppellettili usata per sbatterci dentro, nudi, i detenuti più impertinenti. Li devono ricordare in particolar modo gli amici e i parenti di Cherib, il ragazzo marocchino lasciato impiccare dai secondini nella suddetta cella nel 2009.

(2)Interessante che la permanenza in carcere, anche in attesa di giudizio, venga interpretata dai suoi guardiani come un “trattamento”. Una redenzione che passerebbe attraverso cibo marcio, illuminazione scarsa o inesistente, sadiche angherie quali il divieto di fare telefonate, il divieto di giocare a pallone, il divieto di leggere nella propria lingua madre e via dicendo.

(3)In pratica, come viene meglio esplicitato nelle righe successive, si lamenta il fatto di non poter più alzare le mani sui detenuti. Diversamente dai comunicati dei sindacati di polizia che abbiamo avuto modo di leggere, dove le lagne erano sempre funzionali a chiedere un miglioramento della propria misera condizione di lavoro, in questa lettera emerge tutta la frustrazione di dover sottostare a un regolamento troppo rigido e il rancore provato verso i “poveretti”.

(4)Gli echi e l’efficacia delle rivolte estive a Santa Maria Maggiore continuano a farsi sentire, e non può che farci piacere. Rivolte maturate, vale la pena ricordarlo, da condizioni di detenzione insostenibili ed esplose sempre dopo prepotenze delle guardie. Momenti di insubordinazione che hanno portato dei miglioramenti, anche se sempre troppo piccoli, all’interno del carcere, molti dei quali sono probabilmente l’oggetto della lamentela dei “semplici poliziotti”. Il “diritto di distruggere celle” di cui si parla non può essere che l’estrema conseguenza di una situazione insopportabile dove, per farsi minimamente valere, si arriva a devastare anche il proprio ridotto spazio vitale, gli oggetti quotidiani, quando non il proprio stesso corpo. Parlando di “lamette” ricordiamo tutti i ragazzi che, per avere un incontro con un congiunto o per lavorare in carcere, hanno praticato atto di autolesionismo, tagliandosi o ingoiando batterie.

(5)Il gran hotel con cui si fa il paragone è un posto dove le “stanze” ospitano il doppio delle persone previste, dove non c’è lo spazio per stare in piedi tutti nello stesso momento e manca completamente l’intimità. Dove, in un anno, sono morte due persone (Adrian, impiccatosi in cella e Manuel, pochi giorni fa, in circostanze ancora da chiarire) e non si contano i tentativi di suicidio. Un luogo dove, e qui i secondini ci azzeccano, chi è rinchiuso diventa il “cliente” di un sistema dai contorni indefiniti, pagando di tasca propria i generi di prima necessità, i costi di eventuali danni e il proprio mantenimento.

Traspare chiaramente una malcelata invidia nei confronti di chi, pur scontando una pena o in attesa di giudizio, a differenza di chi scrive prima o poi uscirà dal carcere. Un’invidia così viscerale che non si tace nemmeno per decenza, a pochi giorni dalla morte di un ragazzo fra le mura di quel luogo infernale.

Nulla di nuovo, si potrebbe dire.

Eppure tutto ciò non la smette di farci schifo.

 


A Santa Maria Maggiore si continua a morire

Ieri, 28 novembre, un ragazzo detenuto nel carcere di Santa Maria Maggiore è morto, dopo aver accusato un malore all’interno della propria cella. In attesa di saperne di più riportiamo la versione dei giornali locali, che parla di arresto cardiaco. Apprendiamo, sempre dai giornali, che la famiglia si sta affidando a un legale di fiducia per seguire da vicino la cosa, intuendone dei contorni poco chiari.

Si tratta del secondo decesso del 2015 avvenuto tra le mura di Santa Maria Maggiore. Una struttura dove le negligenze del personale e le pessime condizioni di detenzione hanno a più riprese scatenato esplosioni di rabbia e proteste, di cui abbiamo già avuto ampiamente modo di parlare.

Seguiranno aggiornamenti. A questo link trovate la notizia come è stata riportata

http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2015/11/28/news/detenuto-trovato-morto-in-cella-il-pm-dispone-l-autopsia-1.12525601?ref=hfnvveer-1


Giorno per giorno

Riportiamo qui di seguito una breve cronistoria degli eventi accaduti nelle carceri del Veneto nell’ultimo anno solare.

Ricordiamo che in Veneto sono presenti 10 penitenziari (uno per capoluogo di provincia, più un secondo carcere a Padova, il femminile di Venezia e il minorile di Treviso) e che il totale della popolazione carceraria nella regione ammonta a 2.243 reclusi (data 31 ottobre 2015, fonte www.giustizia.it).

L’elenco che segue riporta notizie da fonti ufficiali (comunicati degli agenti di polizia, giornali etc) e non (colloqui con i detenuti, informazioni di prima mano da chi vive in carcere).

ANNO 2015

5 gennaio Venezia: Adrian, un giovane detenuto di 19 anni, si toglie la vita impiccandosi nella sua cella di Santa Maria Maggiore, dove era stato tradotto pochi giorni prima per scontare una misura di custodia cautelare.

18 gennaio Belluno: una detenute transessuale denuncia un agente di custodia per violenza sessuale. Di recente un altro secondino aveva ricevuto una condanna per il medesimo reato, perpetrato all’interno dello stesso carcere, l’unico in regione dotato di una sezione per persone transgender.

23 gennaio Padova: vari episodi di insubordinazione in una sezione del Due Palazzi.

31 marzo Venezia: un detenuto ammesso al lavoro esterno al carcere non fa più ritorno al termine del permesso.

7 aprile Verona: rivolta dei detenuti al Montorio.Vengono incendiati materassi e altri oggetti presenti nelle celle, 11 agenti rimasti intossicati.

3 maggio Vicenza: come protesta per le pessime condizioni detentive alcuni detenuti riescono a salire sul tetto del carcere.

15 aprile Belluno: un detenuto ammesso al lavoro esterno al carcere, al termine del permesso, non fa più ritorno nella struttura.

20 maggio Belluno: viene inaugurato il nuovo reparto psichiatrico all’interno del carcere dove vengono trasferite 6 persone internate nell’ OPG di Reggio Emilia, in via di dismissione.

15 luglio Venezia: per protestare contro il proprio trasferimento in un’altra sezione del carcere, un detenuto incendia la propria cella. Tre agenti intossicati. Il detenuto viene trasferito nel carcere di Belluno.

29 luglio Venezia: un detenuto stacca con un morso la falange di un agente di custodia. Vengono chiusi i blindi, subito riaperto a seguito di una lunga battitura supportata dall’esterno. La battitura diventa una protesta per le pessime condizioni detentive. La Uil-Pa (sindacato dei secondini) parlerà di almeno 9 agenti feriti nei giorni precedenti e successivi all’episodio.

15 agosto Padova: 77 agenti di polizia penitenziaria inviano una lettera al Ministero della Giustizia in cui dichiarano la sospensione del pagamento del canone di locazione mensile (37 euro per una stanza singola, 64 per la doppia, 76 per una tripla) degli alloggi all’interno del carcere Due Palazzi, a causa delle condizioni fatiscenti delle strutture. Dal 2006 gli agenti di custodia pagano un canone per gli alloggi all’interno dei penitenziari, che restano invece gratuiti per gli alti gradi.

21 agosto Venezia: un presidio con musica all’esterno del carcere infiamma la situazione all’interno. Vengono rotti i lucchetti che chiudono le finestre, urla, battiture e incendi di carta di giornale per tutto il pomeriggio.

3 settembre Padova: detenuto affetto da tubercolosi evade dal reparto malattie infettive dell’ospedale gettandosi dalla finestra.

10 settembre Venezia: i detenuti di Santa Maria Maggiore si organizzano e indicono un sciopero contro le condizioni di detenzione e le angherie della direttrice del carcere. I detenuti del braccio destro scrivono un documento di rivendicazione in cui viene chiesta, tra le altre cose, anche l’amnistia. Più spontanea e incontrollabile la protesta nel braccio sinistro: battiture, sezioni barricate e incendi feriscono diversi agenti. In entrambi i bracci scioperi della fame e del carrello.

15 settembre Rovigo: il DAP annuncia che il nuovo carcere cittadino, i cui lavori sono iniziati nel 2007, sarà operativo dal gennaio 2016.

16 settembre Venezia: termina lo sciopero dei detenuti di Santa Maria Maggiore. Nelle settimane successive alcuni dei ragazzi più attivi nella protesta verranno trasferiti in altre carceri della regione.

2 ottobre Venezia: un detenuto tenta di impiccarsi alle sbarre della propria cella. Salvato dalle guardie, aggredisce una di queste ferendola. Nei giorni successivi verranno elargiti 30 euro di “sussidio” a tutti i detenuti del penitenziario veneziano.

12 ottobre Verona: due detenuti incendiano materassi e altre suppellettili della cella per protestare contro le condizioni di detenzione. Verranno subito trasferiti in altre strutture.

17 ottobre Padova: un detenuto ricoverato in ospedale in seguito a un tentativo di suicidio riesce a fuggire lanciandosi dal secondo piano.

20 ottobre Vicenza: vengono rinvenuti prima vermi, poi scarafaggi nel cibo servito alla mensa dei secondini del San Pio X.

25 ottobre Verona: un detenuto si rifiuta di rientrare in cella dopo l’ora d’aria. Aggredisce e ferisce alcuni agenti di custodia.

28 ottobre Vicenza: colluttazione tra secondini e detenuti. Uno di questi viene trasferito in isolamento. Proteste e battiture in sezione.

3 novembre Rovigo: 4 agenti di polizia penitenziaria aggrediti da un detenuto, che si rifiuta di tornare in cella.

5 novembre Vicenza: razzetti sparati sotto al San Pio X vengono “scambiati” per colpi di pistola. Il giorno dopo i giornali riportano la notizia di momenti di agitazione, subito sedati, a seguito dell’accaduto.

La lista è, per forza di cose, incompleta, ma già così rende l’idea della situazione esplosiva che stanno vivendo le carceri, e i detenuti, in Veneto. Invitiamo chiunque abbia registrato altre informazioni a completarla.


Corteo contro i fogli di via- Venezia sabato 5 dicembre ore 15.00

WEB-LOCANDINA corteo


FILI INVISIBILI

Dalla fine dello scorso luglio qualcosa è cambiato nella quotidianità del carcere veneziano di Santa Maria Maggiore. La rivolta che ha fatto riaprire i blindi, chiusi per rappresaglia dopo il ferimento di una guardia da parte di un detenuto, ha divelto le gabbie della rassegnazione e ha aperto a possibilità inedite.Da quel momento molti mezzi sono stati messi in campo da chi, da fuori, crede che il carcere non sia poi così diverso da tutti gli altri dispositivi che governano le nostre vite: saluti pirotecnici, presidi con microfono aperto, colloqui selvaggi e spontanei dalle finestre, relazioni con parenti e amici dei ragazzi reclusi. Pratiche che hanno svelato tutta la vulnerabilità e l’inutilità di quelle mura, inceppandone per qualche istante il funzionamento e incrinandone la funzione.
La continua corrispondenza tra ciò che accadeva dentro e l’esterno ha permesso a molti incontri di avere luogo, di comprendere i meccanismi materiali e immaginari che permettono a quella fabbrica di solitudine e menzogna di continuare ad esistere.
La lotta dei detenuti si è mossa seguendo fili invisibili, con ritmi propri e l’oscillare di fortunate congiunture. L’esserci stati nel momento culminante della protesta, e il fatto che questa sia stata direttamente efficace ha concretizzato l’idea che ribellarsi è giusto e, soprattutto, serve. Una consapevolezza che ha dato il la allo “sciopero” dei detenuti di settembre: una mobilitazione organizzata con obiettivi specifici, ma divenuta dirompente per merito di tutte le sfaccettature che l’hanno resa difficilmente controllabile: accanto alle rivendicazioni c’era chi barricava le sezioni, incendiava i materassi e chi lottava semplicemente per il desiderio di mettersi in gioco.
Da quel momento anche altre carceri del Veneto hanno visto nascere al loro interno momenti di insubordinazione e di lotta. A Vicenza l’eco di una clamorosa protesta estiva, con i detenuti saliti sul tetto, ha risuonato in svariate battiture per la pessima qualità del vitto e la condizione di sovraffollamento. A Verona due incendi in 48 ore hanno intossicato una ventina di agenti nel mese di ottobre.
Eventi senz’altro conseguenti al pessimo stato nel quale si trovano i penitenziari, ma anche corrispondenze sotterranee, altri fili invisibili che, da dietro le sbarre, partono per riannodarsi ovunque qualche amante della libertà trova il coraggio di alzare la testa. Contro le condizioni che rendono la permanenza in carcere insopportabile ma, soprattutto, contro la propria condizione di reclusi.

CONFINI E BANDITI

In seguito alle proteste di Santa Maria Maggiore il Questore ha notificato 15 fogli di via da Venezia ad altrettanti solidali, per un periodo che va da uno a tre anni.
Il foglio di via rende illegale la permanenza in un territorio di persone ritenute sgradite o pericolose, anche in assenza di condotte penalmente perseguibili. In virtù della sua estrema versatilità, non necessita dell’approvazione di un magistrato, è una delle misure preventive più usate, da qualche anno a questa parte, per bandire chiunque non abbia una residenza certificata, un contratto di lavoro regolare o altri “leciti interessi” produttivi che lo leghino a un dato luogo.
Gli incontri, le amicizie, la voglia di vivere in un modo diverso da quello che ci dicono essere l’unico accettabile non rientrano nei codici della produttività e della tracciabilità, pertanto sono da considerare illeciti e dannosi.
Una concezione dell’abitare totalmente subordinata all’economia, funzionale a chi, assieme al completo controllo dello spazio pubblico, vorrebbe accaparrarsi la gestione delle vite che lo attraversano.
L’epoca che viviamo, nella sua ingovernabilità, rende necessario erigere nuovi confini, materiali o immateriali, per garantire che nulla turbi i flussi mercantili, fino a fare di “ogni sbirro una frontiera”.Fino a rendere la nostra presenza la discriminante tra il poter camminare per strada o l’essere denunciato, arrestato o deportato in un Cie per averlo fatto.
Quando un territorio diventa desiderabile non per i rapporti economici che lo sfruttano ma per le geografie improduttive che lo percorrono, il foglio di via traccia un ennesimo confine, più labile di altri, tra chi siamo e gli affetti che intratteniamo. La Val di Susa e la lotta contro l’Alta Velocità, Ventimiglia con il presidio No Border, l’opposizione alle basi militari in Sardegna rappresentano gli esempi più recenti di come il foglio di via cerchi di frapporsi tra un territorio e chi lo abita per trasformarlo. Ma anche di tante città dove le prospettive di una radicale rottura con l’esistente sono state il principale motivo che ha portato qualcuno a stabilirvisi.
Trovare la forza necessaria per schiantare questi confini, svelandoli nella loro fragilità di carta e cemento, significa attaccare direttamente chi li ha eretti.

CITTà COME PRIGIONI

Nella sola Venezia, quest’anno, sono stati più di duecento i provvedimenti di allontamento emessi dalla questura, la maggior parte nei confronti di senzatetto, abusivi, furfanti e altre categorie “sospette”. Non solo chi si organizza, ma anche chi lotta a proprio modo per vivere meglio in un mondo sempre più atomizzato e ostile diventa un soggetto indesiderabile, qualcuno “di troppo” da cacciare arbitrariamente.
Sebbene sia prassi dappertutto, lo scarto tra i flussi di milioni di visitatori economicamente produttivi e i suoi “rifiuti” a Venezia è reso ancora più stridente. Un ambiente reso inospitale dal suo totale essere merce, dove ci sono più alberghi che case e dove la priorità dei proprietari è non concedere nessuna residenza per poter meglio lucrare su fuori sede e turisti.
Scegliere di abitare in questo ambiente significa, inevitabilmente, affrontarlo: combattere la solitudine che irradia, dotarsi delle armi necessarie per non farsi rinchiudere nella scelta tra il vendere sè stessi e l’andarsene.
Sottrarsi ai dispositivi polizieschi, intessere relazioni di solidarietà non assistenziale, iniziare a vivere qui e ora seguendo il corso dei propri desideri. Non per costruire un altro carcere, un ghetto alternativo dove essere i carcerieri di noi stessi, ma per abbattere l’idea stessa di una società modellata sulle proprie prigioni.

A SABATO 5 DICEMBRE
A fronte di queste riflessioni abbiamo deciso di indire un corteo a Venezia per sabato 5 dicembre. Vogliamo non solo dare una risposta ai fogli di via arrivati nella nostra città ma che, come tutti i confini, anche quelli tracciati dai provvedimenti come questo smettano di esistere.
Per farlo cercheremo di renderli inefficaci, stavolta senza delegare al singolo l’onere di trovare il modo migliore per farlo.
Il nostro invito è aperto ai nemici del carcere e delle frontiere, a chi non rispetta i divieti, a chi ha sempre qualcosa da nascondere.
Violeremo i fogli di via attraversando la città da cui vorrebbero cacciarci, a fianco dei nostri compagni e le nostre compagne banditi, senza chiedere il permesso a nessuno.
Perchè i banditi non sono mai soli.
Perchè dove stare dobbiamo deciderlo noi, forti dei nostri illeciti interessi, dei nostri affetti criminali, delle nostre geografie pericolose.

Ci vediamo Sabato 5 Dicembre, Campo Santa Margherita, Venezia ore 15.00.

Contro i fogli di via e in solidarietà a tutti i detenuti in lotta!


A Bologna

Ieri a Bologna, durante la lunga giornata di lotta contro il comizio reazionario di Salvini e soci, sono stati arrestati due compagni di Venezia, dopo aver reagito ad un controllo di polizia mentre si recavano al concentramento di Stalingrado.

Una piccola ma rumorosa presenza di amici e solidali, in serata, ha salutato i ragazzi facendosi sentire all’esterno della questura, subito braccata e spinta ad andarsene dalle provocazioni della Digos e dal sopraggiungere di un plotone di celere.

Dopo una notte in questura, sono stati processati per direttissima con l’accusa di resistenza e lesioni. L’udienza è stata rinviata al 23 novembre e nel frattempo sono stati rilasciati a piede libero.
Cogliamo l’occasione per esprimere la nostra vicinanza e solidarietà anche all’altro compagno fermato nella giornata di ieri!
Con la gioia per aver subito potuto riabbracciare i nostri compagni, ci si vede alla prossima!


Storie dal San PioX

Il carcere, si sa, è il regno della menzogna.

Ed è in questa gabbia di falsità e vigliaccheria che una protesta dei detenuti diventa la rivendicazione di un sindacato di polizia, che l’aggredito diventa l’aggressore e che un fuoco d’artificio diventa un colpo di pistola. Ma andiamo con ordine.

San Pio X, carcere di Vicenza. Verso la fine dello scorso ottobre alcuni secondini trovano nei propri pasti, preparati dalla mensa del carcere, dei vermi. Segue comunicato del solito infame sindacato delle guardie, la Uil-Pa, che si è già contraddistinto per la maldestra opera di mistificazione operata durante lo sciopero dei detenuti del carcere di Venezia.

Passano alcuni giorni e i vermi diventano scarafaggi. Altro comunicato, altra reazione indignata delle guardie, che disertano la mensa. “Sciopero della fame della polizia penitenziaria” titolerà il giornale locale, tanto per dire.

Nel frattempo la situazione tra i detenuti è sempre più calda: si lamenta soprattutto il sovraffollamento e la totale mancanza di condizioni igieniche nella preparazione del vitto (se le guardie mangiano vermi e scarafaggi è solo da immaginare cosa sia riservato ai reclusi).

Il 28 ottobre un alterco fra detenuti e secondini porta a diverse botte e a un ragazzo messo in isolamento. Qualcuno protesta, inizia una battitura subito repressa con caschi e manganelli. Più di uno finisce in infermeria. Nemmeno una parola sui quotidiani locali ma, come al solito, ampio spazio alle lagne dei poliziotti.

6 Novembre, il “Giornale di Vicenza” parla di “colpi di pistola esplosi verso il carcere a scopo intimidatorio”. Qualche ora più tardi gli spari diventano razzi, fuochi d’artificio, ma il titolo resta lo stesso. Ancora da chiarire le ragioni del gesto, secondo gli inquirenti. Fatto sta che i botti esplosi la sera prima hanno scatenato una sonora risposta all’interno, con le guardie costrette ad intervenire in tutta fretta per calmare gli animi, come rivela con imbarazzo una nota della stessa Uil-Pa.

Nota che prosegue, non senza una malcelata preoccupazione, asserendo che “la situazione esplosiva, fuori e dentro, le carceri venete è lungi dall’essere risolta”.

Mentre accade tutto questo le gru e i macchinari all’esterno del San Pio X continuano a lavorare. Un’intera nuova ala del carcere è in costruzione, mitigherà il problema del sovraffollamento e farà girare un bel po’ di soldi pubblici, assecondando la volontà di chi vede necessario avere nuove galere da riempire.

Eppure, da questa estate, la lotta dei detenuti nelle prigioni del Veneto non si è mai acquietata del tutto. Prima Venezia, poi Vicenza e Verona: un’unica musica di fondo trasmessa da fili invisibili ha infiammato le sezioni, costruito scioperi e fatto scoprire complicità inedite. In molti hanno smesso di avere paura.

A Santa Maria Maggiore, nei giorni appena precedenti, un veloce saluto col megafono per raccontare quanto stava accadendo nella città berica ha dato il la ad una battitura dei ragazzi, la più intensa dai giorni dello sciopero di settembre. A volte basta poco.

Seguire questi fili, trovare nuove geometrie e corrispondenze, metterle in comunicazione. Fino a rompere la gabbia di menzogne che sorregge il dispositivo carcere. Farlo fino in fondo.


Tredici

Dopo un mese di relativa tranquillità nel carcere veneziano, il totale dei fogli di via notificati (tra effettivi e avvii di procedimento) è arrivato ormai a tredici.

Tutto fa pensare che il numero sarà destinato a crescere nei prossimi giorni.

In attesa di possibili risposte e mobilitazioni in proposito qui sotto trovate scaricabili un manifesto e la versione stampabile del testo  sul momento .

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