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Due sabati

Lo scritto che segue è un breve resoconto delle due iniziative messe in campo a Vicenza sabato 28 gennaio e il successivo 4 febbraio. Appuntamenti che hanno dato buoni spunti come sollevato criticità importanti, da cui sarà necessario partire per continuare ad organizzarsi attorno a ciò che succede dentro e fuori il carcere di San Pio X.

Il 28 gennaio ci si è ritrovati a Campo Marzio, ampio parco prospiciente alla stazione dei treni, al contempo punto di grande passaggio e luogo di forte presenza poliziesca. In questa zona, recentemente, sono stati intensificati controlli e retate ai danni dei tanti “irregolari” che la popolano. Negli ultimi due mesi, sono stati almeno 4 i rastrellamenti compiuti dagli uomini dell’appena insediato questore Petronzi, personaggio fin troppo noto per essere stato uno dei principali persecutori del movimento No Tav e dei compagni torinesi. 
Per tutti questi motivi venire qui a parlare di ciò che succede al San Pio X ha avuto molto più senso che altrove: chiameremo carcere non solo le mura che ne ospitano l’istituzione, ma anche tutte quelle maglie di repressione e sfruttamento che portano le celle a riempirsi.
Tramite volantini e microfono si sono ricordate le più recenti problematiche del penitenziario berico: i tre tentati suicidi in due giorni di metà novembre, il suicidio riuscito di Carlo Helt avvenuto appena dieci giorni prima, l’ormai confermata esistenza di una squadretta punitiva di secondini (denominata il “Nucleo”), che si avvale della collaborazione di alcuni infami per “regolare i conti” con i più intransigenti. Il tutto sotto l’egida e la protezione del comandante delle guardie Giuseppe Lo Zito, sindacalista CGIL, già indagato nel 2014 per maltrattamenti e pestaggi ai danni di alcuni detenuti dello stesso carcere. Fatti per i quali oggi 4 agenti della penitenziaria saranno processati con l’accusa di “abuso d’autorità”.
Sabato 4, sotto una pioggia battente, un imponente dispositivo poliziesco ha di fatto impedito l’avvicinamento di qualsiasi solidale al perimetro del carcere. Unico spazio “concesso” per montare l’impianto del presidio una piazzola-parcheggio distante diverse centinaia di metri dalle mura della struttura, troppo distante per pensare di farsi udire in qualche modo dai reclusi. Un’imposizione provocatoria che si è deciso di evitare, preferendo sbucare “a sorpresa” in centro città per guastare la quiete del sabato pomeriggio nella pettinata Vicenza con megafonate, volantinaggi e striscioni in solidarietà ai prigionieri del San Pio X
Una scelta, quella della questura, che esprime chiara la volontà di impedire con ogni mezzo qualsiasi contatto con la popolazione detenuta. Una scelta che si può interpretare con il fatto che, molto probabilmente, al San Pio X vi sono dei grossi punti oscuri non ancora noti, oltre ai problemi già sopracitati.In ultima analisi una presa di posizione netta contro la quale, nei prossimi tempi, sarà necessario attrezzarsi adeguatamente. Consapevoli che l’unica arma che impensierisce chi vorrebbe tenere il carcere di Vicenza sotto una coltre di silenzio è la solidarietà diretta e senza mediazioni.

Due iniziative a Vicenza

Proprio oggi, poco prima di decidere di pubblicizzare le due iniziative di cui sopra, è giunta la notizia di un suicidio al San Pio X di Vicenza. Carlo Helt, 40 anni, accusato di omicidio si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo alle sbarre della cella. Ciò è avvenuto in un contesto dove i tentativi di suicidio sono praticamente all’ordine del giorno: almeno quattro resi noti dalla stampa negli ultimi due mesi.

Per questo e per molti altri motivi è stato indetto un presidio sotto al carcere San Pio X sabato 4 febbraio. Una settimana prima, il 28 gennaio, si svolgerà invece un’iniziativa di lancio a Campo Marzio, il parco prospicente alla stazione della città berica, teatro negli ultimi tempi di retate contro i tanti “irregolari” e spauracchio nelle locali retoriche sul degrado.

Di seguito trovate il manifesto dell’iniziativa e qualche riga scritta nei giorni scorsi.


VICENZA, due appuntamenti contro il carcere
Dall’apertura del nuovo padiglione “del Papa” la quotidianità all’interno del carcere di Vicenza non ha fatto che peggiorare. I 200 nuovi posti, inaugurati durante l’estate senza un reale adeguamento dei servizi, hanno portato all’aggravamento di una situazione già da tempo critica. Da quanto si apprende i pestaggi e le angherie delle guardie sono all’ordine del giorno, perpetuati tavolta anche attraverso la complicità degli stessi detenuti, opportunamente prezzolati o ricattati dagli agenti. Mentre i sindacati di polizia si lamentano della qualità della mensa, sono almeno tre i casi di tentato suicidio registrati dalle cronache negli ultimi due mesi. Così come si riportano casi di proteste individuali contro ogni tentivo di pacificazione o assopimento.
A finire al San Pio X, ultimamente, sono anche i tanti irregolari arrestati durante le retate che nell’ultimo anno hanno colpito Campo Marzio e i quartieri limitrofi. Vere e proprie incursioni intimidatorie dirette contro poveri, che conducono in carcere chi campa di espedienti o nell’inferno della macchina delle espulsioni chi non ha tutti i documenti a posto. Il carcere, del resto, è solo una delle facce di un dispositivo più grande, che mira alla completa gestione dei corpi e delle vite che li attraversano per sottometterli alle leggi dell’economia. Chi contrasta queste leggi, per scelta o per necessità, viene sistematicamente bandito dai luoghi dove ha scelto di stare, a ulteriore riprova che lo “spazio pubblico” è ormai realmente tale solo per le forze di polizia.
Eppure, in questo fosco quadro c’è ancora chi decide di mettere la propria vita in gioco a fronte dell’ennesimo ricatto, sia esso rappresentato dall’arroganza di un secondino o da un permesso di soggiorno. 
Esempi di ribellione  – urla di libertà che vogliamo ascoltare e non lasciare isolati.
Sabato 28 gennaio ore 15.00 
Campo Marzio (lato Viale Roma)
PRESIDIO CON CONCERTO
 Al fianco di chi resiste e lotta dentro le prigioni.

In solidarietà ai migranti che si ribellano. Premi e punizioni, ricatti e sfruttamento: sono parole d’ordine che regolano la vita in carcere così come nei C.I.E., negli hotspot e nei centri d’accoglienza. Luoghi di segregazione e morte – luoghi di controllo e prevaricazione dove annientare l’individuo.

Contro le misure sbirresche che vorrebbero cacciare dal centro chi vive la strada e non si conforma ai canoni della città vetrina.

musica con Mistura Mortale crew – microfono aperto – distro e materiale informativo
Sabato 4 febbraio dalle ore 15.00
carcere San Pio X (lato Via Aldo Moro)
PRESIDIO SOLIDALE
con i prigionieri
Galere e C.I.E non ne vogliamo più!

Cie a Campalto?A volte ritornano

Quattro giorni fa una rivolta ha scosso il centro di prima accoglienza di Cona, in seguito alla morte per cause naturali di una ragazza e al ritardo nell’arrivo di medici e ambulanza per soccorrerla. Molto si è detto e scritto in questi giorni su ciò che è accaduto nella ex base militare, che “ospita” al momento più di 1500 persone. In mancanza di ulteriori fonti dirette e aggiornamenti sulla situazione rimandiamo al bell’articolo apparso sul blog Hurriya ieri, di cui qui trovate il link.

Sull’escalation di vessazioni che ha portato all’esplosione del 2 gennaio rimandiamo ad un altro articolo del medesimo blog (qui), dove vengono anche sollevate le responsabilità della cooperativa Ecofficina, nota anche come Edeco, vincitrice del bando per la gestione del centro. Responsabilità che appaiono tutt’altro che secondarie, data la fama che la cooperativa di Battaglia Terme si è guadagnata negli ultimi anni nei centri di accoglienza di Bagnoli di Sopra, Montagnana, Due Carrare e Oderzo.

Notizia odierna, tutta da confermare ma con buoni margini di attendibilità, è invece l’ apertura, nel prossimo futuro, un Cie nella zona di Campalto, conformemente alla volontà del governo di istituire un centro di identificazione e di espulsione in ogni regione.

Un progetto non nuovo, di cui si è molto parlato tra il 2010 e il 2011, che inizialmente doveva prevedere anche la costruzione di un nuovo carcere, attiguo al centro per migranti. All’epoca furono in molti a mobilitarsi, dalla Lega alla sinistra radicale, con presupposti in aperta contraddizione . Il progetto, che doveva rientrare nel piano carceri nazionale del 2009, finì con un nulla di fatto dovuto essenzialmente alla mancanza di fondi, già destinati alla costruzione della nuova ala del San Pio X e del nuovo carcere di Rovigo.

Singolare che l’ultima volta in cui pubblicamente si è riproposta la questione della costruzione di una struttura di reclusione in quell’area fu in seguito ad un’altra rivolta, quella dei detenuti di Santa Maria Maggiore nel 2015. Poco dopo i fatti il Movimento 5 Stelle dichiarò la necessità di disporre di un carcere più moderno ed efficiente, immaginandolo proprio sul vecchio progetto caldeggiato da Maroni.

Una volontà che sembra dunque persistere nel tempo, venendo rispolverata al manifestarsi di qualsiasi situazione di criticità e che ha tutta l’aria di essere “già pronta” nelle teste e nelle tasche di qualcuno.

Occhi e orecchie ben aperte, dunque.

 


Parole da Belluno

Pubblichiamo qui sotto alcuni stralci di una lettera proveniente dal Baldenich, datata qualche giorno precedente al presidio di sabato scorso. La missiva racconta un pezzetto di quotidianità del carcere bellunese, ennesima conferma che, nonostante la bella faccia dell’amministrazione, le condizioni del penitenziario restano ad oggi problematiche.


Ciao XXX

Come stai? Qui per il momento quasi bene a differenza di qualche settimana fa.

Sono contento che veniate qui il 10 dicembre […] e più siete meglio è .

[…] Dovreste scrivere che nel carcere di Belluno non c’è l’acqua calda in cella e nemmeno la doccia. Abbiamo quelle comuni e sono non igieniche, c’è la muffa verde nei bagni. Il mangiare del carrello non cambia mai, è immangiabile.

Le istituzioni all’interno del carcere non funzionano: l’educatrice non si sa che ruolo abbia, non chiama i detenuti e per avere un colloquio dobbiamo aspettare settimane.

In questo carcere non danno permessi o permessi premio e l’articolo 21 non esiste proprio!


Ancora a Baldenich

Il 10 dicembre alcuni solidali con tutti i reclusi si sono ritrovati sotto le mura del Baldenich, per la terza volta in un anno. Abbiamo già avuto ampiamente modo di parlare delle tante problematiche riguardanti il carcere bellunese le quali, a sentire le voci dei ragazzi dentro e non quelle dei giornalisti, paiono ben lungi dall’essere risolte. Aspetto positivo, dato dalla continuità di attenzione a questo penitenziario, è sicuramente il fatto che il presidio sia stato avvicinato da più di qualche residente del quartiere, uno dei più popolari della città, per chiedere informazioni su quanto stava avvenendo e notizie dall’interno.

Calorosa come sempre la risposta dei detenuti con i quali, nonostante qualche problema tecnico, si è riusciti per tutto il tempo a comunicare agevolmente.

Anche stavolta un pensiero particolare è stato rivolto a Mirco, ragazzo morto tra le mura di quel carcere nel 2010, in circostanze mai chiarite. Un fatto la cui memoria è ancora viva, grazie alla caparbietà dei suoi parenti e a quei fili invisibili che riescono a legare chi finisce privato della propria libertà.

Alla prossima!

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Volo diretto

Il 5 e 6 novembre scorsi in molte carceri italiane hanno avuto luogo delle proteste a favore dell’amnistia e dell’indulto, promosse in concomitanza con la manifestazione romana del Partito Radicale. Tra i molti detenuti che hanno aderito a questo appello anche quelli del carcere veneziano di Santa Maria Maggiore, dove ci sono state battiture concentrate in tre diversi momenti di ogni giornata.

Pare che l’iniziativa in questione, dato il suo carattere prettamente rivendicativo e “ufficiale”, sia stata persino autorizzata dal comandante delle guardie. Eppure si sa per certo che un detenuto, ma forse più di uno, è stato trasferito in tutta fretta nel carcere calabrese di Paola proprio per aver promosso queste due giornate di mobilitazione. Un trasferimento avvenuto nottetempo via aereo,  senza informare l’interessato della destinazione e dei motivi del provvedimento, di cui si è venuti a conoscenza solo giorni dopo.

Un comportamento di certo inusuale, ma che può aiutarci a delineare il quadro di come viene trattato il dissenso dei detenuti del carcere veneziano. Se possibile, seguiranno aggiornamenti.

Foto: carcere di Baldenich, 10 dicembre scorso

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Di nuovo al Baldenich

Dopo qualche mese di assenza, sabato 10 dicembre prossimo ci si ritroverà nuovamente sotto al carcere di Belluno. La situazione al Baldenich ha visto qualche piccola “miglioria” di facciata dopo la rivolta dello scorso febbraio, ma sappiamo che non è bastata a sopire la voglia di battersi contro le condizioni di uno dei penitenziari peggiori (e più caldi) della regione.

Dalle 14.30 in via S. Giuseppe ci sarà un presidio solidale con tutti i detenuti, musica e microfono aperto.

Ci si vede tra i monti!

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Scarica manifesto a colori: impaginato-10-dicembre-colore

Scarica manifesto in bianco e nero: 10-dicembre-bn


Rigetto!

In questi giorni è stata comunicata la notizia del rigetto della richiesta di Sorveglianza Speciale ai danni di un compagno di Venezia, in seguito all’udienza dello scorso 20 settembre. Misura a cui, comunque, il proposto aveva dichiarato di non voler sottostare .

Le motivazioni del rigetto si basano essenzialmente sull’impossibilità (per ora, come viene più volte sottolineato) di stabilire un giudizio prognostico sulle future condotte dell’interessato, sebbene venga più volte ribadita la non legittimità di quelle portate avanti fino al momento della richiesta.

Chi fosse interessato a leggere per intero le motivazioni del Tribunale, anche per costruire la base di eventuali future difese a questo tipo di provvedimento, può chiederle all’indirizzo contarinioccupato@gmail.com.

Per adesso chi scrive non può che rallegrarsi del fatto che la richiesta della Questura di Venezia, con tutto il suo corollario di militarizzazione e portate giornalistiche, si sia rivelata nient’altro che una scommessa persa.

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Perchè no (?)

Questo testo è stato scritto dal compagno sottoposto alla richiesta di Sorveglianza Speciale. Per continuare la mobilitazione ricordiamo il prossimo appuntamento del 20 settembre, giorno dell’udienza, dalle ore 10 a Santa Marta, Campo dei Sechi.


Lo scorso 9 giugno, pioveva ed era l’inizio di un gioioso giovedì, la polizia anticrimine di Venezia ha notificato a chi scrive la richiesta di Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza. Un nome da pessimo film-noir che designa la misura di prevenzione più gravosa prevista per chi, come nel mio caso, appartiene alla categoria di persone sospettate di “essere dedite alla commissione di reati che mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”. Minorenni e lsd negli acquedotti a parte, la richiesta in questione è costruita mettendo insieme una lunga serie di fatti riguardanti la mia persona dal 2008 in avanti, rilevanti o meno da un punto di vista penale, e delle considerazioni generali della Questura tese a dimostrare la mia “pericolosità sociale”, requisito fondamentale per l’applicazione di ogni misura preventiva. Un elenco di “indizi e sospetti” che, oltre a ricordarmi un certo numero di bei momenti altrimenti passati nel dimenticatoio, sono definiti “altamente sintomatici”, con piena appropriazione del linguaggio medico, di una patologia a cui la polizia si sta prodigando a trovare una cura.

Ora, che la mancata lealtà verso l’ordine costituito venga perseguitata anche tramite la costruzione di un immaginario di “devianza” non è più una novità dai tempi dell’Inquisizione ma, prerogativa squisitamente democratica spruzzata di stalinismo, la Sorveglianza fa un passo ulteriore: si propone di mettermi da parte per il mio bene, oltre che per preservare “la pacifica coesione sociale tra le parti”.

Nelle 16 pagine di morbosa e voyeuristica compilazione non è dato sapere quale tipo di coesione sociale tra le parti sarebbe da preservare, se quella tra sfruttati e sfruttatori o, ad esempio, quella tra i detenuti e i loro carcerieri o, per non andare troppo in là, quella tra i ricchi di questa città e chi è costretto ad andarsene.

Così la mia partecipazione ai cortei No Tav in Val di Susa, o a molti presidi sotto il carcere di Santa Maria Maggiore, sarebbero sintomi di pericolosità non di per sè stessi, ma in relazione all’ aver abbandonato gli studi o al non possedere un contratto di lavoro stabile. Conseguentemente, con peloso quanto insopportabile paternalismo, viene proposta una guarigione attraverso quella che è, a tutti gli effetti, una pena senza reato.

Il giudizio del Tribunale del Riesame, che si esprimerà sulla convalida della misura il prossimo 20 settembre in mancanza di dati giuridici oggettivi, non potrà quindi che avere un carattere essenzialmente psichiatrico: ad essere valutate saranno le intere condotte della mia vita, sulla base della suggestione proposta da chi, per mestiere, la spia dal buco di una serratura.

La Sorveglianza, una volta convalidata da un giudice, impedisce la frequentazione di assemblee e locali pubblici, quella delle bettole e delle osterie, obbliga il sorvegliato a stare a casa dall’alba al tramonto e, una specifica del mio e di altri casi, a non lasciare il proprio comune di residenza. Inoltre poichè la Sorveglianza vieta l’incontro con pregiudicati e destinatari di misure di prevenzione, ed essendo praticamente la totalità dei miei compagni affetti da fogli di via o avvisi orali, l’effetto (o lo scopo?) di questa misura sarebbe quello di isolarmi completamente dalle persone con cui ho scelto di vivere e lottare. Il tutto per due anni.

In mancanza di altri strumenti legali per mettermi fuori gioco, la Questura di Venezia cerca di farmi fare lo sbirro di me stesso, delegandomi il controllo delle mie abitudini e delle mie frequentazioni, sotto il costante ricatto di commettere una violazione punibile con la reclusione da 1 a 5 anni.

Un ricatto inaccettabile e un ruolo che non intendo ricoprire.

Per questi, e per molti altri motivi, voglio dire ai miei amici e ai miei compagni che, qualora il giudice dovesse confermare questa misura, non ho nessuna intenzione di sottostarvici. Portare fino in fondo questa scelta significa necessariamente assumersi le conseguenze che potrebbe comportare, non ultima la reclusione. Una prospettiva che non mi fa più paura di passare i prossimi due anni a stare attento a chi incontro per strada, lontano da tutte le cose che faccio, cercando di vivere come la polizia ha detto che dovrei. Del resto, come ci hanno dimostrato le lotte dei detenuti dell’ultimo anno, il carcere non è la fine di niente.

Nei tanti contesti di lotta che ho avuto la fortuna di attraversare ho sempre pensato che l’essenziale, ciò che rende uno slancio generoso realmente rivoluzionario, fosse quanto di noi da quei momenti non sarebbe più tornato indietro come prima. Quante ansie e barriere saremmo riusciti a lasciarci alle spalle, dischiudendo altre possibilità dove prima avremmo visto solo muri.

Più di qualcuno, prima di me, si è trovato per scelta o per necessità ad affrontare a viso aperto lo spinoso terreno della repressione cautelare e preventiva, avendo il coraggio di aprire nuove strade che restano ancora per molti versi inesplorate. Al di là dell’efficacia o meno di questo tipo di risposta, il merito è stato senz’altro quello di rivelare un nuovo campo in cui è possibile battersi, proprio lì dove sembrava più difficile (o nessuno aveva ancora pensato di andare).

Proseguire su questa strada non sarà, per forza di cose, un affare soltanto mio. Ritengo sia imprescindibile un confronto, fra compagni e non, su cosa significa continuare con ciò che si sta portando avanti nonostante le imposizioni poliziesche, e come far fronte ai rischi che comporta la loro violazione trasformandoli, per quanto possibile, in altrettante occasioni di rilancio.

Per ora, semplicemente, intendo proseguire questa discussione non temendo di incontrare i miei affetti, seduto al tavolo di qualche bettola e senza l’ansia di dove tornare a casa la sera.

Nicholas

definitivo IMMAGINA WEB


Oggi a Santa Maria Maggiore

Più o meno un anno fa iniziava, nel carcere di Santa Maria Maggiore, una mobilitazione auto-organizzata, proclamata come “sciopero”, che sarebbe durata il tempo di una settimana.

Oggi la quotidianità tra le mura del carcere veneziano appare decisamente cambiata. La vita dei detenuti vede concretizzate alcune piccole migliorie reali, a scapito di quell’atmosfera di complicità e di quella voglia di lottare che ha caratterizzato l’estate scorsa. In questa affermazione riportiamo l’opinione di chi, dal vivo del carcere, ha assistito a questa parabola, senza alcuna pretesa di giudizio oggettivo.

Per adeguarsi ai rilievi sollevati dall’ispezione del garante nazionale per i diritti dei detenuti, resa pubblica lo scorso 20 giugno, sappiamo che molte celle sono attualmente in fase di ristrutturazione, mentre sono stati acquistati dei tavoli da ping-pong (di cui uno per le guardie..), snellite le procedure per colloqui e telefonate e aggiunti dei canali alla televisione.

Il miglioramento più significativo riguarda però l’estensione dell’orario di apertura delle celle, prolungato per il periodo estivo fino alle ore 20.00. Senz’altro la novità più direttamente collegabile alle lotte dello scorso anno, iniziate proprio in seguito alla chiusura delle celle per motivi disciplinari.

Nel frattempo, qualche giorno addietro, è uscita la notizia che alcune guardie, intervenute pare per sedare una rissa, siano state fatte oggetto di lanci di urina e oggetti.

smm alto